domenica 11 febbraio 2024

I missili cruise del Giappone

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, I missili cruise del Giappone, in "Panorama Difesa", n. 436, anno XLII, gennaio 2024, pp. 70-75. 


I missili cruise del Giappone 

In attesa della fornitura di missili Tomahawk e dei nuovi Type 12 potenziati, il paese del Sol Levante già adesso può contare su un arsenale significativo di vari tipi di missili da crociera acquisiti in precedenza. 

di Cristiano Martorella 


Secondo i piani della National Security Strategy approvata il 16 dicembre 2022, il Giappone dovrebbe acquisire le "capacità di contrattacco" (hangeki noriki) per rispondere a qualsiasi aggressione attraverso lo sviluppo, la realizzazione e l'acquisizione di nuove armi, fra le quali ci sarebbero missili cruise, missili ipersonici e veicoli plananti. Prima che queste armi siano realizzate, si provvederà all'acquisto anticipato dei missili cruise RGM-109E Tomahawk Block IV e V, da installare sui cacciatorpediniere Aegis già in servizio (classi Kongo, Atago e Maya) e sulle future ASEV (Aegis System Equipped Vessel). Tuttavia non si deve pensare che le Forze di Autodifesa non dispongano già adesso di missili cruise, perché in realtà esiste comunque un arsenale consistente di armi utilizzabili di vario tipo. Quindi è utile vagliare questa panoplia di armamenti per valutare le attuali potenzialità del Giappone, conoscerle meglio, e comprendere le effettive capacità di reazione e contrattacco. In particolare, i sistemi d'arma che prenderemo in considerazione sono i missili ASM-2B, ASM-3 e SSM-2 prodotti da Mitsubishi Heavy Industries, e JSM (Joint Strike Missile) fabbricato da Kongsberg, tutti estremamente validi e avanzati, e soprattutto di recente introduzione. 


Il missile aria-terra ASM-2B

L'ASM-2B è un missile aria-terra derivato dal precedente missile antinave ASM-2, ed è possibile impiegarlo contro obiettivi terrestri sfruttando la sua straordinaria manovrabilità e l'ottima precisione. Le capacità di attacco al suolo sono state aggiunte integrando nel missile un sistema di guida satellitare basato sul GPS. Mitsubishi Heavy Industries ha sviluppato l'ASM-2B dal 2000 al 2002, apportando poche lievi modifiche alla versione ASM-2, essenzialmente ridotte al sistema di navigazione. L'ASM-2B è lungo 4 m, ha un diametro di 35 cm, un'apertura alare 1,2 m, e un peso di 530 kg, e monta una testata bellica di ben 220 kg. La propulsione è garantita da un turbogetto Mitsubishi TJM2 che consente una velocità massima di 1.150 km/h e un raggio d'azione di 180 km. Le caratteristiche più interessanti dell'ASM-2B sono le sue qualità di manovrabilità, con la capacità di effettuare un volo radente a soli 5 metri dal suolo o dalla superficie del mare, grazie a un dispositivo TERCOM (Terrain Contour Matching) particolarmente efficiente. In questo modo l'intercettazione da parte dei radar è resa molto difficile, e l'arma diventa estremamente evasiva e insidiosa. La piattaforma di lancio è il cacciabombardiere Mitsubishi F-2, che ne può trasportare fino a un massimo di quattro agganciati ai piloni sotto le ali. Pur non essendo propriamente un missile cruise, l'ASM-2B è importante perché è stato il primo missile aria-terra sviluppato dal Giappone nel dopoguerra, e fornì quindi la necessaria esperienza per ulteriori progetti, come i Type 12 potenziati (Seino kojo gata) di prossima generazione. 


Il missile supersonico ASM-3

L'ASM-3 è un missile supersonico aviolanciabile dual-use, che può essere impiegato contro obiettivi terrestri oppure come missile antinave, e la sua autonomia estesa, con un raggfio d'azione di circa 400 km, lo rende un missile standoff a tutti gli effetti, e quindi comparabile alla categoria dei missili cruise. L'ASM-3 era stato concepito principalmente come missile antinave, ma l'esperienza positiva con l'ASM-2B fece considerare l'opportunità di aggiungere un sistema di guida satellitare, permettendo al missile di colpire anche bersagli terrestri. Inoltre le esigenze di disporre di un'arma aria-terra erano diventate considerevolmente più pressanti a causa del contesto internazionale mutato drammaticamente a causa di scenari sempre più  pericolosi. Il missile presenta dimensioni ragguardevoli, con una lunghezza di 6 metri, un diametro di 35 cm, un'apertura alare di 95 cm, e un peso di 940 kg. Nonostante la significativa mole, si ritiene abbia discrete qualità stealth, con una bassa traccia radar garantita anche dalla configurazione aerodinamica e dalla forma delle superfici squadrate e inclinate delle prese d'aria laterali.. Il sistema di guida è nella prima fase inerziale, poi può utilizzare il GPS, oppure per la fase terminale contro bersagli navali può impiegare un radar attivo (Active Homing Radar- ARH) e uno passivo (Passive Homing Radar - PRH). Inoltre è dotato di adeguate ECCM (Electronic Counter- Countermeasures) che dovrebbero permettere di superare facilmente i disturbi prodotti dalle contromisure elettroniche avversarie. La caratteristica più innovativa è il sistema propulsivo basato sulla tecnologia IRR (Integral Rocket Ramjet) che incorpora un razzo booster inserito in un motore ramjet. Questa tecnologia utilizza in sequenza una stessa camera di combustione, prima per l'impiego di un razzo convenzionale per raggiungere un'elevata velocità, e poi per essere usata successivamente per il funzionamento del motore ramjet. Il ramjet è uno statoreattore, ossia un motore a reazione che non possiede la turbina e il compressore, ma utilizza la velocità del velivolo per comprimere l'aria entrante in una presa d'aria appositamente sagomata. La particolare costruzione della presa d'aria, grazie alla geometria dei condotti, permette di comprimere l'aria e contemporaneamente di rallentarla. In questo modo il flusso diminuisce la sua velocità passando da supersonica a subsonica, mentre aumenta la pressione. La compressione dinamica dell'aria così ottenuta risulta molto efficiente alle alte velocità del velivolo, ed è ottimizzata per il volo supersonico permettendo anche di realizzare temperature di combustione più elevate altrimenti impossibili. Per questi motivi nei regimi supersonici gli statoreattori superano sempre in prestazioni i motori turbogetto, e rispetto ai motori a razzo hanno un migliore comportamento e consumo del combustibile. Queste soluzioni tecnologiche permettono all'ASM-3 di superare facilmente la velocità di Mach 3, con un rendimento ottimale del motore ramjet. Esistono due versioni dell'ASM-3, la prima che è stata completata e acquisita nel 2021, ed è stata chiamata ASM-3A, e la seconda che è una variante migliorata con prestazioni superiori, la quale è ancora in fase di sviluppo, ed è previsto che sia operativa nel 2025. Queste versioni hanno caratteristiche diverse, perché l'ASM-3A è dotato di una gittata fra 300 e 400 km, mentre l'ASM-3 Kai dovrebbe avere un'autonomia molto più estesa, di oltre 400 km. Anche in questo caso la piattaforma di lancio è il cacciabombardiere Mitsubishi F-2, che durante i test ha dimostrato di poter trasportare tranquillamente due missili ASM-3. 


Il missile cruise JSM

Il JSM (Joint Strike Missile) è un missile cruise aviolanciabile dual-use, che può essere impiegato indifferentemente contro obiettvi navali oppure bersagli terrestri. Nella JASDF (Japan Air Self-Defense Force) viene impiegato dai cacciambombardieri Lockheed Martin F-35 Lightning II. Il missile JSM ha una lunghezza contenuta di appena 3,7 metri che gli consente di essere alloggiato internamente nelle due stive degli F-35A, mentre gli F-35B possono trasportalo esternamente sotto le ali. Il peso è di 407 kg, mentre la testata bellica può essere di diversi tipi, da 125 kg fino a un massimo 375 kg. La propulsione è fornita da un turbofan prodotto dalla statunitense Williams International che permette una elevata velocità subsonica (intorno a Mach 0,7-0,95) unita a una buona autonomia. Fra le migliori caratteristiche del JSM spiccano la bassa osservabilità grazie al sofisticato disegno stealth della sagoma del missile, e una buona maneggevolezza che permette di intraprendere sorprendenti manovre evasive. Queste capacità di volo risultano particolarmente utili essendo associate a un avanzatissimo sistema di guida TERCOM (Terrain Contour Matching) che attraverso le informazioni registrate in precedenza elabora una mappa del terreno confrontabile con i dati forniti dall'altimetro. Questo sistema, chiamato anche TRN (Terrain Referenced Navigation), viene integrato alla navigazione inerziale, ai dati del GPS, e da un networking data-link a due vie che permette la comunicazione con gli altri missili e un centro di comando, rendendo possibile anche la riprogrammazione e l'aggiornamento degli obiettivi. La guida terminale sul bersaglio è garantita infine da un seeker con camera all'infrarosso. Ciò che rende il JSM davvero eccezionale è la sua capacità di volare al livello del mare (sea skimming), ad appena un metro dalla superficie, permettendo di evadere l'intercettazione della gran parte dei radar esistenti. Nonostante le modeste dimensioni, il JSM ha una buona autonomia che ne consente l'impiego anche come missile cruise. Il missile lanciato da alta quota può raggiugere un raggio d'azione di 560 km seguendo un profilo di volo hi-hi-low, invece se ricorre a un profilo di volo low-low-low può essere sganciato a bassa quota percorrendo la rotta stabilita al livello del mare (sea skimming) giungendo sul bersaglio inosservato, e in questo caso l'autonomia si riduce a 290 km. Ovviamente l'autonomia del missile si riduce ulteriormente quando viene impegnato in manovre evasive specialmente se complesse, oppure utilizzzando testate belliche più pesanti (in base all'obiettivo da colpire). Infine il JSM è dotato di un sofisticato apparato computerizzato capace di gestire l'enorme quantità di dati e le operazioni eseguite tramite un sistema operativo creato da Green Hills Software, che è in grado di garantire l'assoluta affidabilità dell'intera macchina e coordinare i movimenti in collaborazione con gli altri missili. 


Il missile superficie-superficie SSM-2

L'SSM-2, noto anche come Type 17, è un missile superficie-superficie imbarcato sulle unità navali giapponesi, normalmente impiegato come missile antinave, ma anch'esso dotato di capacità per l'attacco a bersagli terrestri, e quindi dual-use. Derivato dal precedente Type 12, ha incrementato notevolmente il raggio d'azione, con una gittata di 400 km. Il missile SSM-2 ha una lunghezza di 5 m, un diametro di 35 cm, un'apertura alare di 1,2 m, e pesa 700 kg. La testata bellica, contenente esplosivo ad alto potenziale, ha un peso di 250 kg. Il missile è dotato al momento del lancio di un razzo booster che ne permette la rapida accelerazione. Il propulsore è il turbogetto Mitsubishi TJM2 che consente la velocità massima di 1.150 km/h. Il sistema di guida utilizza la navigazione inerziale, il sistema di posizionamento satellitare GPS (indispensabile per colipre gli obiettivi terrestri), e il sistema di guida radar attiva per l'impiego contro le navi. L'utilità dell'SSM-2, già adottato dai cacciatorpediniere Maya e le fregate Mogami, consiste nella possibilità di essere adoperato contro bersagli terrestri dalle unità navali che dispongono di una grande mobilità e autonomia, potendo raggiungere quindi obiettivi posti a una notevole distanza. 


Il missile cruise Tomahawk

I piani di potenziamento dell'arsenale giapponese sono così ampi da meritare un ulteriore approfondimento. Infatti, oltre all'acquisto degli RGM-109 Tomahawk da utilizzare sulle unità navali di superficie, si prevede anche l'acquisizione degli UGM-109, la versione del Tomahawk per i sottomarini, da installare sui futuri battelli che verranno dotati di lanciatori verticali. Quindi non ci sarà soltanto una componente imbarcata sulle navi, ma anche i sottomarini saranno armati con missili cruise. In particolare si tratta delle prossime unità della classe Taigei, sottomarini straordinariamente furtivi e silenziosi, ma non si esclude che si possa creare una nuova classe con dislocamento più grande in modo da ospitare un maggior numero di missili. Per quanto riguarda i Tomahawk imbarcati sulle navi, si sono scelte due versioni: RGM-109E Block IV e Block V. La versione RGM-109E Block IV ha apportato significativi miglioramenti che includono il raggio d'azione accresciuto intorno a 1.600 km, mentre la versione Block V ha aggiunto un sistema di comunicazioni molto più avanzato, miglioramenti nel sistema di navigazione, e dispositivi anti-jamming più efficaci. Inoltre la sottovariante Block VA è fornita di un seeker che consente di attaccare e colpire le navi, ed è quindi utilizzabile sia contro obiettivi terrestri che navali. 


Il missile cruise AGM-158B JASSM-ER

Un altro missile cruise che sarà acquistato dal Giappone è l'AGM-158B JASSM-ER (Joint Air-to-Surface Standoff Missile Extended Range) da impiegare con i caccia F-15J. L'AGM-158B è un missile cruise aviolanciabile, caratterizzato da un design stealth molto evoluto e una traccia radar molto ridotta, un'elevata furtività e una buona manovrabilità. Ha una lunghezza di 4,28 m, una larghezza di 63 cm, un'altezza di 45 cm, e un'apertura alare di 2,7 m. Il peso del missile è di 1.200 kg, mentre la testata bellica è la WDU-42/B pesante 450 kg. Il motore è un turbofan Williams F-107-WR-105, con una spinta di 6,22 kilonewton, che consente grazie ai consumi contenuti di ottenere un raggio d'azione di 925 km. Il sistema di guida include la navigazione inerziale (INS), il sistema di posizionamento satellitare GPS, e un sensore di immagini all'infrarosso (Imaging Infrared Seeker). Il produttore dell'AGM-158B è Lockheed Martin, che non soltanto garantisce l'assistenza e la manutenzione, ma sta lavorando anche alla sua evoluzione e implementazione, come nel caso del sistema di lancio multiplo Rapid Dragon da montare sugli aerei cargo. Anche il Giappone ha mostrato interesse per il Rapid Dragon, da installare eventualmente sui Kawasaki C-2, perché permette il lancio contemporaneo di più missili sfruttando la rampa di carico dell'aeroplano, e costituisce quindi un ampiamento notevole della potenza di fuoco disponibile. Al momento i primi aeromobili a essere dotati dell'AGM-158B saranno i caccia F-15J, che subiranno anche un aggiornamento e miglioramenti tali da essere portati allo standard F-15 JSI (Japan Super Interceptor).


Il missile Type 12 potenziato

L'arma più importante sulla quale il Giappone fa affidamento per la realizzazione delle "capacità di contrattacco" (hangeki noriki) è il missile Type 12 potenziato che è in fase di sviluppo. Ufficialmente questo missile cruise è indicato con il nome provvisorio di "missile Type 12 con capacità migliorate" (hitoni shiki yudodan noryoku kojo gata), oppure come "modello con capacità superiori" (seino kojo gata). Tuttavia le differenze con il precedente Type 12 sono così enormi che tale denominazione rappresenta un equivoco e risulta per molti aspetti imprecisa, e si spera quindi che venga attribuito un nome più chiaro e definito alla fine del suo sviluppo. Infatti l'aspetto esteriore differisce totalmente dal Type 12, ma anche quasi tutte le caratteristiche tecniche e le componenti interne sono diverse, risultando un missile completamente nuovo. Per quanto riguarda l'esterno, il corpo del missile ha una forma squadrata con superfici laterali inclinate, ed è dotato di lunghe ali ripiegabili, secondo un design stealth chiaramente ispirato ai missili JSM e AGM-158B JASSM-ER. Bisogna notare che mentre il Type 12 derivava dai modelli ASM-1 e ASM-2, che erano chiaramente un'imitazione del francese Exocet, i punti di riferimento e le soluzioni tecniche del nuovo missile sembrano invece ispirate a questi due missili, evidentemente i più avanzati della loro categoria. Infatti anche la propulsione prevede la sostituzione del turbogetto con un turbofan che migliora le prestazioni in termini di consumi e autonomia. In proposito si prevede che la versione iniziale debba avere un raggio d'azione di 900 km, mentre con lo sviluppo finale dovrebbe arrivare addirittura a 1.500 km. Il missile sarà realizzato in tre versioni, ossia per veicolo lanciatore terrestre, per navi e sottomarini, e aviolanciabile. Il TEL (Transporter Erector Launcher) dovrebbe essere il Mitsubishi Omosowa, già impiegato per i Type 12 e Type 03, per le navi e i sottomarini si dovrebbero invece usare dei nuovi tipi di lanciatori verticali (VLS) sviluppati in Giappone, mentre per l'impiego sui velivoli si è scelto di utilizzare inizialmente il collaudato Mitsubishi F-2. 


Un arsenale missilistico che fa paura

Le minacce più serie al Giappone provengono esclusivamente da due paesi, la Cina e la Corea del Nord, che distano più o meno un migliaio di chilometri dal territorio giapponese (la distanza fra Okinawa e Shanghai è di 823 km), uno spazio facilmente percorribile dai missili cruise. C'è poi da considerare che le navi militari giapponesi navigano molto vicino alle coste cinesi, essendo consentito dalle leggi internazionali (le acque territoriali hanno un'estensione di 12 miglia nautiche dalla costa), e quindi si trovano in posizioni ancora più favorevoli per colpire eventuali obiettivi. Anche dal punto di vista della difesa marittima, le capacità giapponesi sono molto elevate. L'arsenale missilistico del Giappone, già adesso, comprende migliaia di missili antinave di diverse tipologie, che sono imbarcati sulle navi, aviolanciabili e trasportati da lanciatori terrestri. Ricordiamo quelli imbarcati, come gli RGM-84 e UGM-84 Harpoon, gli SSM-1B e SSM-2, gli aviolanciabili AGM-84, ASM-1, ASM-1C, ASM-2, ASM-3, JSM, e su lanciatori mobili SSM-1 Type 88 e SSM Type 12. Ciò comporta un grave pericolo per ogni flotta che volesse affrontare le Forze di Autodifesa nipponiche, e il rischio di gravissime perdite. Inoltre, il Giappone possiede una robusta BMD (Ballistic Missile Defense) che ostacola qualsiasi attacco missilistico condotto contro il paese. Attualmente sono operativi migliaia di missili antibalistici che comprendono Patriot PAC-2 e PAC-3 MSE, Type 03 Chu-SAM, Standard SM-2, SM-3 e SM-6. Quindi un attacco al Giappone dovrebbe impegnare una quantità enorme di risorse, con il rischio di esaurire le forze disponibili, e non poterle impiegare contro altri avversari. Il potenziamento dell'arsenale giapponese con altri modelli di missili cruise, più efficaci e letali, costituisce infine un ulteriore salto di qualità che non può essere ignorato, e riscrive perciò gli equilibri nella regione. 



sabato 4 novembre 2023

Il potenziamento navale giapponese

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il potenziamento navale giapponese, in "Panorama Difesa", n. 434, anno XLI, novembre 2023, pp. 70-75.  

 

Il potenziamento navale giapponese 

L'importanza del potenziamento navale del Giappone e la crescita del suo arsenale missilistico non è stata ancora ben compresa, tuttavia ciò comporta delle implicazioni enormi che non possono essere ignorate ed è giusto conoscere. 

di Cristiano Martorella 


Quando nel 2012 si infiammò la disputa per le Senkaku, cinque minuscole isole controllate dal Giappone, ma rivendicate dalla Cina sulla base di risibili motivazioni, la stampa e gli altri media italiani sposarono acriticamente le ricostruzioni della propaganda di Pechino, attribuendo essenzialmente le cause dello scontro all'eccessivo e fanatico nazionalismo giapponese, come se l'integrità territoriale del proprio paese non fosse una legittima preoccupazione. Dopo qualche tempo, come accade spesso, la superficialità della comunicazione dei media portò a dimenticare molto presto la questione, che invece aveva assunto uno spazio rilevante nella politica e nell'opinione pubblica in Giappone. Il governo nipponico infatti prese in considerazione molto seriamente la situazione, e attuò provvedimenti drastici per impedire qualsiasi appropriazione illecita dei propri territori. Sull'isola di Ishigaki, che dista soltanto 150 km dalle contese Senkaku, è stata costruita una base militare che ha il compito di ospitare la 303rd Surface-to-Ship Missile Company (Dai 303 chitaikan misairu chutai) dotata dei potenti missili antinave Mitsubishi Type 12 in grado di colpire un bersaglio a 250 km. Ciò significa che il mare intorno alle isole Senkaku è stato completamente precluso all'attività delle navi da guerra cinesi, e così si impedisce che venga effettuata qualsiasi operazione navale ostile contro il paese del Sol Levante. Inoltre sono state rafforzate le difese sulle isole dell'arcipelago delle Ryukyu, piazzando batterie di missili antiaerei Type 03 Chu-SAM e antinave Type 12, in particolare a Miyako, Ishigaki e Amami Oshima, creando una poderosa A2/AD (Anti-Access/Area Denial) per impedirne l'accesso e precludere l'area. Se ciò non bastasse è stata formata una Brigata Anfibia, ufficialmente denominata Amphibious Rapid Deployment Brigade (in giapponese Suirikukidodan) composta da tre reggimenti, cinque battaglioni specializzati, e una compagnia per le comunicazioni, equipaggiati adeguatamente con mezzi efficienti come i veicoli anfibi AAV7A1 (Assault Amphibious Vehicle) e armi potenti e polivalenti come i missili Chu-MMP (Middle range Multi-Purpose Missile). Queste realizzazioni costituiscono un cambiamento paradigmatico degli equilibri in Asia, perché il Giappone passa così da una difesa statica, limitata a una Basic Defense Force (Kibanteki boei ryoku), a una difesa dinamica integrata fondata sul concetto di Dynamic Joint Force (Togo kido boei ryoku), che rappresenta una rivoluzione nella postura della sicurezza dell'arcipelago. Geograficamente il Giappone impedisce alla Cina l'accesso all'Oceano Pacifico, in maniera fisica ineludibile, e ciò determina la frustrazione di Pechino che non potrà mai realizzare i suoi sogni di egemonia finché la situazione rimarrà condizionata in tal guisa. 


Il modello sbagliato

Spesso si compiono gli errori più gravi perché si possiede una visione non adeguata e non corrispondente alla realtà che si intende analizzare, e ciò avviene molto più frequentemente di quanto si creda. Questa difficoltà riguarda anche la Cina che è un paese distante, non soltanto fisicamente, ma soprattutto culturalmente. Recentemente si è affermato un modello che propone un dualismo fra Cina e Stati Uniti, in una rivalità e contrapposizione bipolare che ricorda molto precisamente la Guerra Fredda (1947-1991), e lo scontro con il blocco guidato dall'Unione Sovietica. L'autore che ha meglio interpretato questa visione è stato il politologo Graham Allison che ha coniato l'espressione "trappola di Tucidide" per descrivere l'inevitabile sontro fra Cina e Stati Uniti. Nell'antichità una nuova potenza emergente, rappresentata da Atene, minacciò l'esistenza di una potenza egemone già consolidata, la città di Sparta, cercando di sostituirla. La paura degli spartani che temevano di essere superati e battuti condusse appunto alla Guerra del Peloponneso, così come ci narra lo storico Tucidide. Il difetto del modello dualistico di Graham Allison risiede nell'aver delimitato e ristretto in maniera semplicistica la questione. La Cina non può essere considerata una potenza egemone perché non solo non lo è nel mondo, nonostante le sue ambizioni, ma non lo è nemmeno in Estremo Oriente dove viene contrastata e contenuta da altre potenze, fra le quali spiccano il Giappone e l'India. Prima di potersi confrontare con gli Stati Uniti, la Cina dovrebbe sbarazzarsi dei suoi rivali in Asia, ma è ben lontana dal poterlo fare. Non c'è dubbio inoltre che ci sia un'eccessiva sottovalutazione delle potenzialità del Giappone da parte degli analisti, nonostante sia risaputo che il paese del Sol Levante è tuttora la terza potenza economica mondiale, e nel ranking delle potenze militari è ormai classificato al quinto posto. Tuttavia chi ha dimestichezza dell'argomento non si sorprende di ciò, perché si può tranquillamente dire che la sottovalutazione del Giappone è un luogo comune divenuto classico. Infatti, ritornando indietro nel tempo, ricordiamo come dopo l'attacco proditorio a Pearl Harbor, l'intelligence americana si affrettò nel denunciare l'errore di aver sottovalutato le capacità industriali e militari del Giappone, e produsse perfino alcuni interessanti documentari per correggere questo punto di vista. Dunque, questo pregiudizio è davvero molto diffuso, ed è storicamente riconosciuto, come abbiamo appena evidenziato. Per spiegare questo atteggiamento bisogna conoscere adeguatamente la cultura giapponese che è davvero ricchissima con una produzione artistica straordinaria e un vivace mondo dell'intrattenimento. Si tende perciò a confondere questo apparente "paese dei balocchi" con il mondo più vasto della nazione ignorandone la realtà piuù complessa e sfaccettata, senza conoscere materie e discipline tediose, ma comunque importanti, come la politica e l'economia, e ovviamente la difesa. 


La potenza marittima 

Nel suo discorso al XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese, l'8 novembre 2012, l'allora segretario Hu Jintao affermò che la potenza militare cinese avrebbe dovuto diventare egemonica, tanto da controllare anche i mari, e trasformando la Cina in una potenza marittima. Ciò corrispondeva pienamente alle ambizioni che da tempo erano maturate negli ambienti militari e politici, e che erano state ben espresse dall'ammiraglio Liu Huaqing (1916-2011), un fiero sostenitore dell'espansionismo cinese. Secondo Liu Huaqing entro il 2010 la Cina avrebbe dovuto ottenere il controllo della prima catena di isole, formate da Giappone, l'arcipelago delle Ryukyu, Taiwan, le Filippine e il Borneo, ed entro il 2020 della seconda catena di isole composte da Bonin, Marianne, Guam e Palau. Come risulta evidente questo piano non è stato realizzato nei tempi previsti, e ci sono delle ragioni precise che ci indicano come potrebbe non essere mai concretizzato. La questione fondamentale è però che non si diviene una potenza marittima semplicemente costruendo tante navi, come invece crede la leadership cinese, ma serve una dottrina, le capacità operative, l'addestramento, e soprattutto esperienza e tradizione. In tal senso in Estremo Oriente esiste già una potenza marittima che vanta una storia di grande rilievo, ed è il Giappone. Le origini della potenza marittima del paese del Sol Levante risalgono al XIX secolo, quando i feudi di Satsuma e Choshu furono i promotori e artefici della Restaurazione Imperiale (1868), e fautori della formazione delle Forze Armate. Choshu fu responsabile dell'organizzazione dell'Esercito Imperiale nel 1871, mentre Satsuma nel 1872 formò la Marina Imperiale, e ciò provocò una divisione e rivalità che consisteva anche in diverse visioni politiche e strategie opposte. La storia della Marina Imperiale è interessante, e risale addirittura alla metà del XIX secolo, quando fu stretta un'alleanza militare con il Regno Unito. Si tratta di una storia interessante e curiosa, che rivela anche alcuni aspetti tipici della mentalità giapponese, e merita perciò un doveroso approfondimento in proposito. Nel 1862 accadde un grave avvenimento, noto come incidente di Namamugi, che vide coinvolti quattro cittadini britannici colpevoli di aver mancato di rispetto al reggente del signore del feudo di Satsuma. Nello scontro morì un mercante londinese, Charles Richardson, e ciò provocò la richiesta di un risarcimento danni che fu accolto dal governo giapponese (bakufu), ma rifiutata dal feudo di Satsuma. Come ritorsione, il 15-17 agosto 1863, la flotta inglese guidata dall'ammiraglio Augustus Leopold Kuper bombardò la città fortezza di Kagoshima. Sorprendentemente dopo lo scontro, che si concluse con un accordo sulla somma da pagare, gli inglesi e il feudo di Satsuma iniziarono a collaborare. Infatti, durante la battaglia emerse la notevole preparazione dei giapponesi nell'uso delle batterie di cannoni, evidenziando come i rapporti con l'Occidente avessero permesso di impossessarsi dell'avanzata tecnologia delle armi da fuoco. Nel corso della guerra di Boshin (1868-1869), che oppose le forze fedeli allo shogun a quelle a sostegno dell'imperatore, gli inglesi appoggiarono apertamente il feudo di Satsuma, che era schierato a favore della Restaurazione Imperiale. Questa situazione portò successivamente a un più forte avvicinamento fra i due paesi, che il 30 gennaio 1902 firmarono a Londra il trattato di Alleanza anglo-giapponese (Nichiei domei), rinnovato nel 1905 e nel 1911, e decaduto soltanto nel 1923, che ebbe notevoli conseguenze dal punto di vista politico e militare. Fino dal periodo della collaborazione con il feudo di Satsuma, gli inglesi addestrarono i giapponesi alle tecniche di combattimento navale più moderne e avanzate, e i risultati si videro molto presto. Il Giappone vinse due guerre grazie alle formidabili vittorie sul mare, infatti con la battaglia dello Yalu si aggiudicò il successo nella Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), e con la battaglia di Tsushima sconfisse la Russia zarista nella Guerra russo-giapponese (1905-1905). Gli inglesi introdussero in Giappone anche le tecnologie militari più rivoluzionarie, come le navi da battaglia del tipo dreadnought, i nuovi modelli di cacciatorpediniere, il siluro e l'aeroplano, e soprattutto le innovative portaerei. I giapponesi divennero maestri in queste tecnologie, tanto da nutrire enormi ambizioni e arrivare all'impressionante espansionismo militare che portò all'occupazione di gran parte dell'Asia Orientale, e fu fermato soltanto dalla forza degli Stati Uniti. 


Il potenziamento della flotta

Tuttavia ciò che più ci interessa non è il glorioso passato della Marina giapponese, piuttosto è quanto sta realizzando attualmente nonostante una certa indifferenza e sottovalutazione della reale portata di questo riarmo. In verità i programmi di potenziamento della flotta nipponica sono davvero impressionanti, e continuamente aggiornati e rivisti, con nuove iniziative che rilanciano e rinvigoriscono i piani di riarmamento. Un esempio clamoroso è fornito dalla recente decisione di investire ulteriormente sul rafforzamento del programma 30FFM, costituito dalle avanzatissime fregate di nuova generazione della classe Mogami. Il 25 gennaio 2023 il governo ha annunciato che le previste 22 navi della classe Mogami sarebbero state ridotte a 12, e le restanti sostituite da un nuovo modello di fregata più grande chiamata "Shingata FFM" (Nuovo modello di FFM). Il 31 agosto è sta comunicata la decisione di aumentare il numero di queste nuove unità a 12, portando il numero totale di fregate a 24. Le Shingata FFM avranno un dislocamento standard di 4.880 tonnellate, e una lunghezza di 142 metri, ossia 1.000 tonnellate e 9 metri in più rispetto alle Mogami, e saranno decisamente più simili ai cacciatorpediniere per potenza di fuoco e dislocamento. Si prevede che l'ingrandimento permetterà di alloggiare un maggior numero di celle del lanciatore verticale, comprendendo fra le armi imbarcate anche la nuova tipologia di missili sviluppata dal Giappone, fra cui il cosiddetto "Seino kojo gata" (Modello con capacità superiori), un missile completamente nuovo derivato dal Type 12 con caratteristiche innovative e gittata fra 900 e 1.500 km, con la capacità di colpire navi e bersagli terrestri indifferentemente. Altre importanti novità provengono dal Defense Build-up Program, documento approvato il 16 dicembre 2022, che costituisce una pietra miliare nella storia del Giappone, prevedendo una crescita degli armamenti senza precedenti e programmi decisamente ambiziosi. Una dettagliata analisi mostra aspetti che erano inizialmente sfuggiti, come la decisione di costruire altri 2 cacciatorpediniere Aegis simili alla classe Maya, oltre alle 2 navi chiamate Aegis System Equipped Vessel (ASEV), e ciò porterà a un totale di ben 12 navi Aegis operative. I cacciatorpediniere lanciamissili (DDG) avranno un dislocamento di circa 10.000 tonnellate, e riprenderanno le soluzioni ingegneristiche delle precedenti navi. Invece gli Aegis System Equipped Vessel (in giapponese Aegis System tosai kan) saranno simili a incrociatori, con un dislocamento di 20.000 tonnellate, lunghezza di 210 metri, e larghezza di 40 metri, quindi in grado di ospitare una gran quantità di armi.Nonostante la definizione di BMD Ship (Ballistic Missile Defense Ship), queste navi non avranno soltanto funzioni difensive, grazie ai missili SM-6 e SM-3 Block IIA, ma spiccheranno per le capacità offensive potendo imbarcare missili cruise, come gli RGM-109 Tomahawk e il nuovo missile giapponese "Seino kojo gata" derivato dal Type 12, e altri armamenti che non sono stati ancora rivelati. Per quanto riguarda le fregate Mogami e le successive unità potenziate, avranno un ruolo fondamentale nella flotta, potendo svolgere missioni HK/SAG (Hunter-Killer/Surface Action Group), ossia la caccia ai sottomarini e il contrasto alle unità navali in superficie. Inoltre, grazie al nuovo missile Type 17 (SSM-2), dotato di guida satellitare GPS e capace quindi di colpire con precisione anche obiettivi terrestri, queste fregate possono compiere azioni di strike e attaccare bersagli posti sulla terra. Una capacità che prima era preclusa alla JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force), ma che adesso non è più un tabù a causa delle crescenti tensioni nella regione dell'Indo-Pacifico. Sorprendente è infine il potenziamento delle portaerei della classe Izumo, che sono da tempo sottoposte a lavori di trasformazione, con l'ingrandimento del ponte di volo e altre modifiche che ne faranno unità decisamente efficienti e poderose. Infatti, la possibilità di imbarcare i cacciabombardieri stealth Lockheed Martin F-35B costituisce un punto di forza difficilmente uguagliabile, se si considerano le capacità di questi avanzatissimi velivoli. Insieme a questo atout, c'è anche il miglioramento delle funzionalità degli elicotteri antisom, con la nuova versione Mitsubishi SH-60L dotata di un multistatic sonar che combina i dati ricevuti da diverse fonti, e l'impiego dei nuovi siluri Type 12 ancora più micidiali.  


Le capacità offensive

L'altro aspetto cruciale che rende il Giappone determinante in questo scenario, è il mutato atteggiamento che ormai non si basa più su una politica puramente difensiva (senshu boei), ma sul concetto di "capacità di contrattacco" (hangeki noriki), e "attacco alla base nemica" (teki kichi kogeki). Per realizzare questa strategia offensiva sono necessarie armi capaci di colpire in profondità il territorio nemico, e valutando che gli avversari presi in considerazione sono la Cina e la Corea del Nord, è evidente che i missili cruise hanno una gittata sufficiente per questo scopo, vantando inoltre una notevole flessibilità di impiego e versatilità. Il Ministero della Difesa giapponese intende perciò realizzare una serie di missili cruise di produzione nazionale, ma siccome ciò richiede un certo tempo e si intende rispondere alle minacce immediatamente, si è stabilito di acquistare missili cruise già disponibili sul mercato e di schierarli al più presto sui mezzi esistenti. La scelta è caduta sul missile RGM-109 Tomahawk nella versione Block VB, che dovrebbe essere schierato già a partire dal 2026, prevedendo di installarli sugli 8 cacciatorpediniere Aegis (classi Kongo, Atago, Maya) già in servizio, e sui 2 futuri incrociatori Aegis programmati. L'acquisto dovrebbe aggirarsi intorno a un numero di crica 400-500 missili, e parte dei finanziamenti sono stati già erogati nel budget per la Difesa del 2023. 

Per quanto riguarda invece i missili cruise di produzione nazionale, la situazione è molto articolata e considera una notevole varietà di progetti. Innanzitutto, come si è giàà detto, si prevede di ottenere un missile da crociera migliorando il missile antinave Mitsubishi Type 12, realizzando così un missile dual-use in grado di colpire sia obiettivi terrestri che navali, con capacità di lancio da lanciatori mobili, aerei, navi, e sottomarini. Attualmente questo missile è identificato semplicemente con il nome di "Modello con capacità superiori" (Seino kojo gata), e fra le sue caratteristiche ci sarà un design stealth per sfuggire ai radar e ali estensibili per prolungarne l'autonomia che dovrebbe raggiungere nella versione finale circa 1.500 km. Mitsubishi Heavy Industries ha indicato la fase di sviluppo dal 2021 al 2025, e una possibile entrata in servizio soltanto dopo il 2026. Anche Kawasaki Heavy Industries avrebbe presentato un'offerta per un altro missile cruise con gittata di 2.000 km, ma al momento il progetto non si è ancora concretizzato e rimane soltanto al livello di proposta. Ancora più interessanti sono i progetti dei missili ipersonici giapponesi che risultano davvero originali e sofisticati. Nel 2020 il Ministero della Difesa ha reso noto ufficialmente lo sviluppo di alcune armi ipersoniche a cui lavorava segretamente da tempo, e ciò ha suscitato un certo scalpore perché si ignoravano completamente questi progetti così ambiziosi. L'ATLA (Acquisition, Technology & Logistics Agency), l'agenzia del Ministero della Difesa che si occupa di acquisizioni e sviluppo tecnologico, ha comunicato che gli ingegneri nipponci sono al lavoro per la realizzazione di due modelli di missili ipersonici, chiamati rispettivamente Hypersonic Cruise Missile (HCM) e Hyper Velocity Gliding Projectile (HVGP). L'HCM è simile a un missile tradizionale, ma è dotato di propulsione basata su uno scramjet che permette elevate velocità ipersoniche e una gittata a lungo raggio. Invece, l'HVGP è fornito di un motore a razzo a combustibile solido, che poi si separa sganciandolo ad alta quota, e possiede sistemi di controllo basati su propulsori di manovra e una piccola deriva. Entrambe le armi potranno utilizzare due modelli di testate: una variante antinave chiamata Sea Buster, composta da due stadi di detonazione (carica cava anti-corazza e carica perforante principale), e una testata del tipo penetrante multipla o Multiple Explosively Formed Penetrator (MEFP), ad alta densità, costituita da una carica sagomata formata da proiettili autoforgianti che al momento dell'esplosione creano uno sciame di frammenti che colpiscono diversi obiettivi. Secondo le informazioni più recenti pubblicate dall'agenzia di stampa Kyodo News, il missile ipersonico HCM dovrebbe avere una gittata di ben 3.000 km , mentre il missile planante HVGP avrebbe un raggio d'azione di 2.000 km. Si stima che i prototipi saranno realizzati fra il 2024 e 2028, così che questi missili possano entrare in servizio nel 2030.


La politica e l'ideologia

Un altro aspetto estremamente sottovalutato è costituito dal fatto che il Giappone si oppone alla Cina non soltanto come potenza militare, ma anche ideologicamente e politicamente criticando il regime di Pechino sotto ogni punto di vista. Forse è bene ricordare che il Giappone è una democrazia liberale che mal sopporta il sistema politico cinese ispirato alle più retrive forme di comunismo autoritario, espressione antitetica di tutti i valori occidentali. La scelta politica del Giappone proviene da lontano, ed è stata maturata attraverso la riflessione filosofica ponderata e approfondita di intellettuali come Yukichi Fukuzawa, che hanno indicato le istituzioni liberali come le migliori per lo sviluppo di un paese. Il Giappone, attuando un vasto programma di riforme, è divenuto la prima democrazia in Asia, con un parlamento chiamato Dieta in vigore dal 1889, e il suffragio universale maschile adottato nel nel 1925. Come l'Italia e la Germania ha conosciuto una svolta autoritaria negli anni '30 e '40 del XX secolo, ma il superamento di questo periodo ha rafforzato la convinzione che il sistema democratico e le garanzie di diritti e libertà siano indispensabili per una società evoluta. A questo punto nessuno vuole riununciare a tutto questo per acconsentire alle manie di grandezza di qualche autocrate. Le ben radicate convinzioni pacifiste non costituiscono più un freno alle richieste di maggiore sicurezza, ed è evidente che soltanto una capacità militare adeguata alla minaccia può impedire l'aggressione al paese. Si percepisce chiaramente che ciò che viene messo in discussione non è soltanto il controllo di alcuni territori, ma l'intero ordine mondiale scaturito alla fine del conflitto mondiale, e con esso le regole che dovrebbero stabilire i rapporti fra nazioni. Il cosiddetto "nuovo ordine mondiale", proposto dalle autocrazie, si fonderebbe semplicemente sulla "legge del piuù forte", e le potenze più grandi detterebbero le loro condizioni, imponendo la loro volontà. La strategia del Giappone si basa quindi sulla cooperazione con gli altri paesi democratici, con una visione postitva del multilateralismo, ma anche sulla crescita militare indispensabile come risposta a queste minaccia.   


 

sabato 7 ottobre 2023

Nell'epoca del caos

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Nell'epoca del caos, in "Panorama Difesa", n. 433, anno XLI, ottobre 2023, pp. 70-75. 


Nell'epoca del caos 

Una riflessione sulla situazione internazionale è doverosa in un contesto che riconosce l'aumento delle difficoltà nel mantenimento della sicurezza a causa di una complessità inedita. 

di Cristiano Martorella 


Da alcuni anni gli studiosi utilizzano insistentemente la parola "caos" per descrivere l'attuale condizione del mondo, che registra  una crescita preoccupante della conflittualità, una molteplicità inusuale delle crisi, e la perdita di equilibri consolidati che erano considerati fondamentali per la sicurezza e la stabilità internazionale. Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, usa l'espressione "caoslandia" per indicare questo mondo dominato dalla confusione, dalla mancanza di regole, dal disordine, e soprattutto dalla conflittualità esasperata. Addirittura Lucio Caracciolo raffigura su una cartina geografica la condizione dei vari paesi colorati con tinte diverse secondo il grado di disordine nel quale si trovano, fornendo un'immagine immediata dell'espansione del caos. Quindi, questa tendenza è decisamente consolidata tanto da essere diventata un oggetto di studio molto accurato. Perciò è particolarmente utile anche l'elaborazione del concetto di "policrisi" che indica una molteplicità di crisi che si accumulano e amplificano l'una con l'altra. La parola è stata coniata dal filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni '90, ed è divenuta cruciale per l'uso che ne ha fatto lo storico Adam Tooze, interpretando la confusa situazione mondiale. Secondo Adam Tooze, le crisi sono particolarmente ostiche e difficili perché interagiscono tra loro in maniera che ciascuna diventa un fattore di un'altra crisi, contribuendo ad amplificarla. Da un punto di vista teorico, ciò significa anche che non esiste una sola causa delle crisi, e quindi nemmeno una soluzione unica. Se le crisi sono molteplici, anche le soluzioni devono essere molteplici, secondo una logica che rifiuta le banali semplificazioni, e attinge piuttosto alle indagini e alle scoperte della teoria della complessità. 


Un cambiamento epocale

Gli storici e i politologi sanno molto bene che l'attuale situazione è il risultato di un cambiamento del contesto internazionale avvenuto in questi anni, e in particolare al fatto che è venuto meno il sistema di governance mondiale creato dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Questo sistema era stato organizzato grazie alla straordinaria potenza economica degli Stati Uniti, che aveva consentito di stabilire regole e istituzioni valide in tutto il pianeta, e ciò avvenne attraverso gli accordi di Bretton Woods (stipuluati nel 1944 fra i principali paesi industrializzati, i quali concordarono un insieme di regole economiche internazionali che portarono all'istituzione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale) e del GAAT (General Agreement on Tarifs and Trade - firmato nel 1947 per promuovere il commercio internazionale riducendo o eliminando le barriere doganali). Entrambi questi trattati furono fondamentali perché gettarono le basi dello sviluppo del libero mercato nell'ottica dell'economia capitalistica e delle democrazie liberali. Inoltre bisogna rimarcare che questi accordi furono una brillante applicazione della cooperazione e collaborazione internazionale, e sono stati un grande successo nel dopoguerra che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nel mondo. Questo sistema è praticamente collassato all'inizio del XXI secolo, quando i processi di globalizzazione portarono a far emergere altre potenze economiche, spesso non allineate con i valori e gli interessi dell'Occidente. Il caso più emblematico è rappresentato dalla Repubblica Popolare Cinese, che approfittando delle contraddizioni della globalizzazione, ha imposto un proprio modello economico antitetico a quello occidentale, e potenzialmente pericoloso e distruttivo. Attraverso una concorrenza sleale che ignora completamente il rispetto dei brevetti e del diritto d'autore, e soprattutto non applica nessuna legge per tutelare i diritti dei lavoratori, ha totalmente inondato i mercati occidentali con merci prodotte a basso costo, sfruttando una manodopera in condizioni semi-schiavistiche, e violando palesemente brevetti, marchi e regole sul commercio. Ciò ha comportato anche un abbassamento dei salari nei paesi occidentali, provocato da una concorrenza che insegue irrazionalmente la diminuzione dei costi di produzione a discapito dei lavoratori e della qualità. Dal punto di vista militare, l'emergere di nuove potenze ha determinato la crescita di una molteplicità di attori, sia regionali che mondiali, spesso con interessi conflittuali, e difficilmente definiti e organizzati in schieramenti precisi. Diversamente dal periodo della Guerra Fredda (1947-1991) non si può parlare di due fronti contrapposti, anche se questa retorica è ancora molto utilizzata, ma piuttosto di un multipolarismo caotico con numerose potenze con interessi diversi, a volte divergenti o addirittura in palese contrasto. In conclusione, possiamo affermare che il mondo contemporaneo è divenuto un "mondo senza centro", dove non esiste più un ordine mondiale precostituito e non c'è un unico centro decisivo, e può quindi spesso soggiacere al caos, all'imprevedibilità, e all'incomprensione. 


Equilibrio e disordine

Prima di ulteriori approfondimenti, è necessario fare chiarezza circa il contesto dell'attuale discussione, e fornire delle importanti delucidazioni che permettano di evitare le numerose confusioni ed equivoci alla base dell'incomprensione dell'argomento. Attualmente esiste un atteggiamento irrazionale che assume diverse forme, dal fatalismo rassegnato alla retorica sul declino dell'Occidente, che impediscono di assumere un comportamento serio indirizzato alla ricerca e all'indagine scientifica, lasciando invece prevalere i pregiudizi e le opinioni fallaci che non hanno nessun riscontro oggettivo nella realtà. Questa tendenza è amplificata da due fenomeni considerevoli, da una parte il prevalere nella politica e nell'opinione pubblica di sentimenti populistici, e dall'altra un'invadenza enorme e incontrollata della propaganda di potenze straniere ostili nei mass media occidentali. Chiariti questi aspetti si capisce come spesso l'informazione sia viziata e distorta secondo le varie convenienze, senza nessuna ricerca di unvalore oggettivo, e mancando totalmente di validità. L'idea, per esempio, di un declino inevitabile dell'Occidente è talmente abusata e diffusa da costituire ormai un antipatico cliché, che però manca di qualsiasi verifica, e nonostante tutto viene usata per convalidare l'impressione di una perdita irreversibile di ordine e stabilità. La realtà è tuttavia molto differente, e merita un approccio diverso, che ci liberi dal conformismo di questi stereotipi. Per comprendere la questione del disordine è indispensabile perciò interpellare la teoria della complessità, che si occupa dei sistemi complessi e caotici, permettendo di indagare più a fondo il comportamento reale dei fenomeni, non soltanto in fiscia ma anche nelle scienze sociali (e quindi anche in geopolitica). Fra i principali concetti espressi da questa teoria, c'è l'idea di modelli non-lineari composti da componenti che interagiscono gli uni con gli altri, influenzandosi a vicenda, e ciò impedisce appunto un'analisi lineare che scomponga le varie parti occupandosi di ciascuna separatamente. L'analisi viceversa deve essere olistica, e prendere in considerazione i sistemi nel loro complesso. Il secondo aspetto, che ci riguarda direttamente, è la tendenza all'auto-organizzazione dei sistemi complessi, e cioè a trovare da soli un equilibrio, grazie all'influenza degli stessi elementi che costituiscono il sistema e alle loro proprietà ordinative e limitative. Ciò significa che il caos non può espandersi in un tempo indefinito, trovando invece un limite imposto dalle stesse organizzazioni sociali che minaccia di sovvertire, e arrivando a un termine e a una saturazione. Dunque, si può affermare che i sistemi complessi tendono ad auto-organizzarsi, trovando un equilibrio, e questa tendenza può applicarsi anche alle società, che sono evidentemente sistemi complessi. 


La funzione dell'ONU

Nel contesto della caotica situazione mondiale si auspica spesso che l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) possa svolgere una funzione pacificatrice, ma quasi sempre questa speranza è vanificata a causa di molteplici fattori (come abbiamo visto in precedenza il concetto di "policrisi" spiega ciò efficacemente). L'idea di un'organizzazione sovranazionale, che possa districare le varie situazioni di conflitto, è molto antica e risale addirittura al libro Per la pace perpetua scritto dal filosofo Immanuel Kant e pubblicato nel 1795. Quest'opera suggerisce che il diritto internazionale debba essere fondato su un federalismo di Stati liberi, quindi un'organizzazione internazionale, e sostiene inoltre un "diritto cosmopolitico" che promuova la libertà di movimento e circolazione di persone e merci. Gli Stati si dovrebbero impegnare tramite un accordo a non aggredire, invadere o usare la forza contro alcun paese. Concretamente l'idea fu realizzata dal presidente statunitense Woodrow Wilson, promotore della Società delle Nazioni istituita formalmente il 28 giugno 1919, in concomitanza con il Trattato di Versailles. Fu la prima e più importante organizzazione intergovernativa, e raccolse significativi consensi, e la speranza che fungesse da baluardo contro nuovi conflitti. La proposta di Wilson intendeva incentivare un'organizzazione a salvaguardia della pace mondiale, in grado di operare diplomaticamente attraverso un miglioramento delle relazioni internazionali. Nonostante alcuni notevoli successi che portarono ad accordi e trattative, la Società delle Nazioni entrò in crisi negli anni '30 a causa dell'aggressività delle potenze dell'Asse, e in particolare con i conflitti in Manciuria (1931-1932), Etiopia (1935-1936) e Spagna (1936-1939), fino a cessare definitivamente le attività alla fine della Seconda guerra mondiale, sciogliendosi definitivamente nel 1946. Subentrò immediatamente un'altra istituzione che era nata in concomitanza con la Conferenza di San Francisco (25 aprile-26 giugno 1945), dove parteciparono ben 50 paesi, che diedero vita finalmente all'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). La guida fu assunta dagli Stati Uniti, che promossero l'istituzione fin dal 1941, quando il presidente Franklin Delano Roosevelt scrisse il testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite, insieme al primo ministro britannico Winston Churchill, costituendo così il fulcro di un'iniziativa che insieme ad altre organizzazioni avrebbe definito il mondo del dopoguerra. Purtroppo il ruolo delle Nazioni Unite venne ridimensionato dalla tensione bipolare della Guerra Fredda (1947-1991) e la sua azione fu inibita dalle rivalità fra paesi che non seguirono obiettivi condivisi, ma i singoli interessi dei governi. Soprattutto è mancato un efficace strumento militare indispensabile per applicare le decisioni politiche, perché l'assenza di proprie forze armate impedisce di attuare le risoluzioni che possono essere semplicemente ignorate. Le Nazioni Unite fanno perciò affidamento sulle truppe fornite dai paesi che cooperano insieme per il ristabilimento della pace. I casi di intervento sono stati perciò rari, con alcune notevoli eccezioni: la Guerra di Corea (1950-1953), durante la quale si costituì una forza guidata dagli Stati Uniti che ha combattuto in nome dell'ONU, la crisi di Suez (1959), l'operazione in Congo (1960-1964), e l'autorizzazione della coalizione intervenuta nella Guerra del Golfo (1990.1991). Si può dire che l'ONU abbia funzionato discretamente finché è stata guidata dagli Stai Uniti che hanno esercitato un'influenza determinante, ma a partire dal nuovo millennio, la Cina e la Russia hanno lavorato continuamente per distruggere gli equilibri esistenti, e scardinare il sistema creato da Washington. L'aspetto più grave e inquietante di questa situazione è rappresentato dalla forte penetrazione della Cina in Africa e America del Sud, con una spregiudicata politica che sfrutta ampiamente la corruzione dei paesi africani, sostenendo dittature feroci e spietate, e contrastando ogni tentativo occidentale per espandere la democrazia, avversata non soltanto ideologicamente, ma anche concretamente attraverso l'economia e l'apparato militare. Per questi motivi l'ONU è diventata estremamente instabile, rischiando di cadere anch'essa nel caos, essendo principalmente vittima della manipolazione della Cina che controllando gli Stati africani, e i loro voto nell'Assemblea Generale, può orientare molte decisioni, oppure bloccarle. 


Il ruolo decisivo della NATO

L'unica organizzazione che attualmente può incidere positivamente sulla sicurezza mondiale è la NATO (North Atlantic Treaty Organization), e ci sono dei motivi ben precisi perché ciò avvenga che è bene ricordare. Nessuna legislazione, giurisprudenza, o diritto internazionale può essere applicato senza una forza armata che lo faccia rispettare, e discettare di regole senza spiegare come si intende farle rispettare è perciò privo di senso. Il giurista Hans Kelsen affermava che una norma risulta essere valida solo se ha la capacità di esprimere una forza vincolante per coloro dei quali viene a disciplinare il comportamento. Quindi il diritto è sostanzialmente una forma di coercizione, che si esprime in una tecnica sociale consistente nell'organizzazione della forza. Dunque, appare evidente che non può esistere nessun diritto senza la presenza di una forza che lo faccia rispettare. Nella vita civile dei cittadini questa forza è rappresentata dalla Polizia, mentre nei rapporti fra nazioni sono le Forze Armate a esprimere l'autorità che impone un ordine e un rispetto delle regole. L'ONU non possiede proprie Forze Armate, e purtroppo nemmeno l'Unione Europea che fa affidamento alle capacità dei singoli Stati, e perciò l'unica organizzazione, volente o nolente, che può far rispettare il diritto internazionale è la NATO. Soltanto nell'ambito delle facoltà della NATO è possibile bloccare un'aggressione, intervenire per prestare soccorso, respingere un'invasione, e non esistono altre organizzazioni internazionali che abbiano simili poteri. Forse ciò non è ben chiaro all'opinione pubblica occidentale, ma al contrario è stato compreso perfettamente dalle classi dirigenti di Russia e Cina, le quali dimostrano un'eccezionale ostilità nei confronti della NATO, e non perdono mai occasione per insultarla e imputarle colpe assurde, attribuendole la responsabilità di creare conflitti e disordini. In realtà è vero il contrario, perché la NATO agisce per ristabilire la stabilità e riportare l'ordine proprio lì dove è stato sovvertito. Invece, Russia e Cina pretendono di imporre un "nuovo ordine mondiale", ma per farlo devono innanzitutto distruggere l'ordine già esistente creato dagli Stati Uniti e i loro alleati. Per rispondere ai cambiamenti epocali che stanno sconvolgendo il mondo, la NATO è costretta a rivedere e modificare la sua tradizionale strategia, ormai inadeguata alle diverse minacce incombenti sempre in aumento. In tal senso il summit della NATO a Vilnius (11-12 luglio 2023) è stato fondamentale per ridefinire obiettivi, strategie e visione dei problemi, e non c'è dubbio che tali questioni meritino un doveroso approfondimento per capirne l'importanza. Inannzitutto c'è un diverso approccio ai problemi, perché si considera la sfida portata avanti dalla Russia come coesa e collegata alla volontà della Cina di sovvertire l'ordine internazionale, istituire una nuova leadership mondiale, e ridefinire anche il controllo dei territori riscrivendo la geografia politica dei paesi. Una prospettiva inquietante per chi subirebbe i danni certi provocati dalla creazione di questo "nuovo ordine mondiale", che in realtà è soltanto un disordine e un caos inedito senza precedenti. La NATO si pone perciò come argine all'incontenibile smania di potere dei regimi autoritari che sarebbero disposti perfino a distruggere il mondo pur di imporre con la forza la loro volontà. Come spiegava il filosofo Friedrich Nietzsche in Ecce homo, la volontà di potenza è una volontà che vuole sé stessa anche a costo di annientarsi, "poiché l'uomo prefersice ancora il nulla piuttosto che non volere". Ed è ciò che ci fa comprendere il vero motivo per il quale il caos sta aumentando sempre di più. 


La NATO globale

Per rispondere adeguatamente a questo nuovo tipo di minaccia che è globale, si intende replicare con alleanze anch'esse di tipo globale che superano l'impostazione tradizionale  del Patto Atlantico, concepito essenzialmente come coalizione di paesi occidentali fra l'Europa e il Nord America, mentre adesso l'attenzione si è spostata con un focus sull'Indo-Pacifico, e quindi deve necessariamente coinvolgere attori in Asia e Oceania. Principalmente si guarda con attenzione alle alleanze già formate, come l'AUKUS (Australia, United Kingdom, United States Security Treaty) che unisce con un patto di sicurezza trilaterale i tre paesi, dei quali due sono già membri della NATO. Poi si prende in considerazione il cosiddetto Quad, ufficialmente definito come Quadrilateral Security Dialogue, che unisce Australia, India, Giappone e Stati Uniti in un'alleanza informale nata per contrastare l'espansionismo cinese. Un'altra iniziativa da considerare attentamente è il Free and Open Indo-Pacific (FOIP) che si pone come baluardo per un'Asia libera, sicura e stabile, che non sia condizionata dalle ingerenze e minacce della Cina, divenuta ormai un pericolo tangibile per tutti i paesi della regione. Infine sono importantissimi, per la loro forza e solidità, sia il Trattato di mutua cooperazione e sicurezza fra Stati Uniti e Giappone, sia il Trattato di mutua difesa con la Corea del Sud, che stabiliscono una presenza militare americana in questi due paesi di straordinaria rilevanza, e decisamente senza paragoni se si considera inoltre la potenza industriale e lo sviluppo tecnologico di entrambi, e il supporto insostituibile che possono fornire. I paesi asiatici quindi possono essere partner della NATO sia direttamente, attraverso accordi di cooperazione e partecipazione alle riunioni degli organi amministrativi, sia indirettamente attraverso le alleanze incrociate strette fra i membri del Patto Atlantico e le nazioni della regione dell'Indo-Pacifico, e in quest'ultimo caso sono in vigore e attuazione anche gli accordi di mutua difesa e lo svolgimento di esercitazioni congiunte. Dunque la NATO è proiettata ad assumere un ruolo globale per contrastare il blocco comune costituito da Russia e Cina, le quali non nascondono più la loro intesa finalizzata al dissolvimento dell'ordine mondiale creato dall'Occidente, e hanno assunto un atteggiamento estremamente aggressivo che peggiora continuamente. Dinanzi a questa condizione caotica è necessario ragionare in termini capaci di considerare il disordine, e reagire adeguatamente rifiutando il fatalismo lassista, cercando al contrario di elaborare una teoria della complessità che possa essere adattata a questo contesto. 


sabato 26 agosto 2023

Il rinnovato concetto di potere navale in Asia

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il rinnovato concetto di potere navale in Asia, in "Panorama Difesa", n. 400, anno XXXVIII, ottobre 2020, pp.42-53.  



Il rinnovato concetto di potere navale in Asia 

Le potenze marittime, in particolare Stati Uniti, India e Giappone, stanno cambiando le loro strategie nell'ambito del controllo dell'Oceano Pacifico, sempre più minacciato dalle ambizioni egemoniche cinesi. 

di Cristiano Martorella 


Il 24 maggio 2020, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi dichiarò che Stati Uniti e Cina si trovavano ormai nella fase di una nuova Guerra Fredda a causa dell'escalation di tensioni fra i due paesi, e probabilmente questo deterioramento dei rapporti è destinato anche a peggiorare in futuro. Una affermazione così netta e chiara, da parte di un esponente politico e istituzionale tanto importante, sancisce in modo inequivocabile ciò che da tempo analisti e politologi ripetono. Lo scontro fra Pechino e Washington sembra inevitabile, e coinvolge tutte le dimensioni, incluse quelle politiche, sociali, culturali, economiche e militari, e non meno cruciale, se non addirittura fondamentale, il controllo dei mezzi di informazione. In questo contesto, il politologo che per primo ha cercato di definire la situazione è stato Graham Allison, che nel libro Destinati alla guerra del 2017 descrisse con preoccupazione il rischio di un possibile conflitto fra Stati Uniti e Cina. Graham Allison raffigurava brillantemente il dilemma coniando l'espressione "trappola di Tucidide", con la quale si indica la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una potenza emergente (nell'esempio storico Atene e Sparta). La situazione descritta dal politologo americano è però rapidamente degenerata, e in questi anni si sta assistendo a un'accelerazione impressionante con modalità impreviste. Ovviamente se questo conflitto dovesse concretizzarsi materialmente, il luogo dove avverrebbe il confronto sarebbe innanzitutto l'Oceano Pacifico dove si fronteggiano le maggiori forze dei due contendenti, Stati uniti e Cina, con la presenza di altri attori regionali di grande importanza come India e Giappone, che svolgerebbero un ruolo di primissimo piano. Ma considerando il complesso quadro geografico, ci sarebbe anche un ampio coinvolgimento degli altri paesi dell'area, che non potrebbero essere esclusi dal conflitto a causa dei contenziosi territoriali avanzati dalla Cina, che riguardano quasi tutti i vicini, come Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei, Malaysia e Indonesia, e nemmeno si può escludere la parteciapazione dell'Australia che ha chiari interessi nella regione. Queste rivendicazioni sono alla base delle gravissime tensioni nell'Oceano Pacifico, provocate dalla pretesa di Pechino di porre sotto la propria sovranità il 90% del Mar Cinese Meridionale, secondo la cosiddetta "nine-dash line" (linea dei nove punti) che demarca, in maniera assolutamente arbitraria, un immenso tratto di mare che risulta essere all'interno delle acque territoriali di altri paesi. L'ampiezza dei contenziosi è così davvero impressionate per il numero dei paesi coinvolti e l'estensione di mare, ed è perciò utile una breve analisi in dettaglio dei punti caldi: la Repubblica Popolare Cinese pretende il possesso delle Paracel contese al Vietnam, le isole Spratly alle Filippine, il Vietnam, Taiwan, la Malaysia e il Brunei, le isole Pratas a Taiwan, lo Scarborough Shoal alle Filippine, e le isole Natuna all'Indonesia. Questi sono i contenziosi nel Mar Cinese Meridionale, ma non soddisfatta Pechino ha anche altre rivendicazioni, e così è in conflitto con la Corea del Sud per il Socotra Rick (in coreano Ieodo) nel Mar Giallo, e con il Giappone per le isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale. Inoltre è sempre più esasperata la questione di Taiwan, che è de facto uno stato indipendente (le cui origini risalgono alla Repubblica Cinese, nota anche come Cina Nazionalista, proclamata nel 1912), ma viene considerata da Pechino come un territorio che deve ritornare sotto la propria sovranità, anche con l'uso della forza. Anche le tensioni sul continente sono gravi, perché vedono la Cina contendere all'India il Ladakh, parte del Kashmir, e l'Arunachal Pradesh, con esplicite richieste di immensi territori rivendicati come proprie regioni. Anche il Bhutan è coinvolto in un contenzioso con la Cina per il Doklam, e più in generale nella regione indiana del Sikkim. Questo quadro ci fa capire quanto sia sbagliato considerare il confronto fra Cina e Stati Uniti in maniera esclusiva, perché i paesi coinvolti sono molto di più, e costituiscono una situazione davvero difficile da comprendere perché estremamente intricata. La complessità di questo quadro viene putroppo molto semplificata da alcuni analisti con spiegazioni superficiali e lacunose che non colgono il punto cruciale della situazione, ovvero la molteplicità dei contenziosi fra la Cina e i suoi numerosi rivali. Ciò che sfugge. troppo spesso, è il fatto non trascurabile che nei mari rivendicati dalla Cina vivono milioni di persone che si vedono defraudate delle proprie risorse naturali, e non sarà certamente la prepotenza di chi si sente più forte a porre fine alla contesa, anzi ciò esaspererà la situazione fino a degenerare in maniera irreversibile. 

Questo fenomeno cognitivo che impedisce di vedere correttamente la complessità non è imputabile a una semplice carenza degli analisti, bensì è un processo sensoriale noto in psicologia come "change blindness" (la cecità al cambiamento), che avviene quando si è talmente concentrati su un unico aspetto da non vedere ciò che avviene intorno, anche quando è un grosso cambiamento. Nel nostro caso gli analisti sono così concentrati sullo scontro fra Stati Uniti e Cina, da dimenticare completamente gli altri paesi, e non vedere il loro costante e consistente riarmo, tanto da cambiare concretamente gli equilibri fra potenze. 


La rinascita dell'aeronavale giapponese

Lo scorso aprile sono cominciati i lavori di ristrutturazione della portaeromobili  Izumo presso i cantieri navali della Japan Marine United (JMU) a Isogo presso Yokohama. Come previsto la conversione in portaerei per imbarcare gli F-35B era iniziata nella primavera del 2020, ma la stampa ha pubblicato le prime immagini soltanto a giugno, mostrando le fotografie delle impalcature intorno alla torre, e lo smontaggio di alcune componenti come CIWS (Close-In Weapon System) e apparati elettronici che saranno cambiati, modificati e spostati. Queste immagini hanno un elevato valore simbolico perché mostrano il ritorno con forza della capacità aeronavale giapponese, e il crollo definitivo del tabù sul possesso delle portaerei. Insieme a queste fotografie sono apparse in precedenza le immagini dell'ottavo cacciatorpediniere Aegis, lo Haguro, partito da Yokohama il 23 giugno, e impegnato nelle prove in mare. Invece l'entrata in servizio del capoclasse Maya è avvenuta il 19 marzo 2020, ed è stato un evento altrettanto significativo, mostrando il pieno successo nella realizzazione dei cacciatorpediniere più potenti della JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force). Questi eventi dovrebbero dare un'idea della crescente forza della Marina del Sol Levante, ma ciò è solo la parte più appariscente di una flotta che sta conoscendo un incremento e potenziamento senza precedenti. A ciò si aggiunge la notizia del cambio di strategia del Ministero della Difesa (Boeisho), che ha rinunciato alle postazioni terrestri del sistema Aegis Ashore, e starebbe considerando un ulteriore aumento dei cacciatorpediniere Aegis, con un passaggio dagli 8 attualmente costruiti, ad almeno 10, e forse anche di più. Inoltre è prevista la realizzazione entro cinque anni di 10 fregate di nuova generazione chiamate 30FFM, e le prime due saranno varate alla fine del 2020. Entro il 2032 si prevede di costruire ben 22 fregate di questo modello, contribuendo alla sostituzione delle unità più piccole e anziane, come gli Abukuma e gli Asagiri. 

Un'analisi dettagliata e approfondita dei numeri di questa crescita della Marina nipponica fornisce un quadro impressionante che merita certamente grande attenzione. All'inizio del 2020 la JMSDF disponeva di 48 cacciatorpediniere, genericamente indicati col termine goeikan (nave scorta), e precisamente 4 portaelicotteri (DDH), 8 lanciamissili (DDG), 30 multiruolo (DD), e 6 di scorta (DE). Le portaelicotteri sono rappresentate dagli Hyuga e Izumo, i lanciamissili dagli Hatakaze, Kongo, Atago e Maya, i multiruolo dagli Hatsuyuki, Asagiri, Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, e i cacciatorpediniere di scorta dagli Abukuma. A queste unità vanno aggiunti i cacciatorpediniere utilizzati come nave scuola, che però conservano l'intero armamento e sono a tutti gli effetti navi da combattimento, e infatti vengono impiegati per il pattugliamento e le esercitazioni. Questi cacciatorpediniere sono inquadrati nel Training Squadron (Renshu kantai) con sede nella base navale di Kure, a cui si è recentemente aggiunto il 19 marzo 2020, anche lo Hatakaze, sostituito dal Maya nella Escort Flotilla 1 (Dai ichi goei taigun). Il Training Squadron è quindi composto dal cacciatorpediniere lanciamissili Hatakaze, dai multiruolo Shimayuki e Setoyuki, e la nave scuola Kashima. Contando anche queste navi, la JMSDF dispone quindi di 51 cacciatorpediniere, fra i quali molti sono di nuova generazione come gli Akizuki e Asahi, e gli Aegis delle classi Atago e Maya, ma anche gli altri hanno ottime prestazioni, come i moderni Murasame e Takanami. In proposito, i cacciatorpediniere multiruolo Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, sono armati con i missili superficie-aria RIM-162 Evolved Sea Sparrow (ESSM) che costituiscono un'eccellente difesa contro i missili antinave supersonici, raggiungendo una velociatà di oltre Mach 4, ed essendo perciò perfettamente in grado di intercettare questo tipo di minaccia. Inoltre, la nuova generazione di cacciatorpediniere Akizuki e Asahi sono dotati di sistemi radar FCS-3A, che sono potenti radar AESA (Active Electronically Scanned Array) al nitruro di gallio, capaci di fornire prestazioni impressionati. Si consideri che questo sistema è superiore all'Aegis per quanto riguarda la scoperta e l'identificazione dei bersagli, la quantità di dati elaborati e la potenza di calcolo, e il numero di missili che possono essere guidati contemporaneamente contro i bersagli. Le caratteristiche dello FCS-3A indicano che il suo raggio d'azione è di 220 km, e ha una capacità di inseguire più di 380 bersagli e di attaccarne contemporaneamente circa 60. I nuovi cacciatorpediniere lanciamissili Maya sono invece dotati dei missili RIM-174 ERAM (Extended Range Active Missile), meglio noti come SM-6, ultima evoluzione della famiglia Standard, realizzati per abbattere i missili balistici a medio raggio come i cinesi DF-21D e DF-26. Le unità della JMSDF hanno quindi una dotazione particolare di armi idonee a controllare lo spazio aereo, e grazie a radar particolarmente avanzati, sono decisamente capaci nell'interdire il cielo ai velivoli nemici, garantendo contemporaneamente anche la protezione dagli attacchi missilistici. Queste caratteristiche sono molto importanti nel contesto della strategia elaborata, come vedremo più avanti, ma c'è anche da segnalare nell'ambito dell'aeronavale, come la JMSDF disponga di una dotazione ragguardevole di aeroplani, idrovolanti ed elicotteri, che la rende certamente molto prestante nel controllo, non soltanto del mare, ma anche del cielo. Un caso particolare riguarda gli aerei da pattugliamento marittimo (in giapponese Taisenshokaiki, in inglese Maritime Patrol Aircraft) da sempre un'eccellenza della JMSDF, che svolgono oltre alle normali funzioni di ricognizione e lotta ai sottamarini, anche un ulteriore ruolo, avendo notevoli capacità di attacco in superficie con i missili antinave, aria-terra, e le bombe guidate. In quest'ultimo caso, sui giornali giapponesi si è molto discusso circa le qualità di bombardiere del nuovo pattugliatore Kawasaki P-1, arrivando addirittura a paragonarlo al bombardiere medio Mitsubishi G3M Nell, noto per le sue imprese durante l'ultima guerra, soprattutto per le sue doti straordinarie di lunga autonomia e buona capacità di carico. In effetti il Kawasaki P-1 ha caratteristiche che ne fanno un ottimo bombardiere, innanzitutto perché è dotato di sensori che permettono di identificare perfettamente il bersaglio, come il radar multifunzione Toshiba HPS-108 (lo stesso adottato sui cacciatorpediniere Asahi), con una portata di 370 km, e il sensore elettro-ottico Fujitsu HAQ-2 FLIR (Forward Looking Infra-Red). L'autonomia è di circa 8.000 km, con un raggio di combattimento di 2.500 km in configurazione armata, e un carico utile massimo di 9.000 kg, che comprende bombe a guida GPS, laser e infrarossa, missili aria-terra AGM-65 Maverick, missili antinave AGM-84 Harpoon e Mitsubishi ASM-1C. Inoltre è in fase di realizzazione un missile antinave specifico per il P-1, ricavato dal mitsubishi Type 17, con una gittata di oltre 300 km. 

Importantissimo è il ruolo che questa flotta aerea di pattugliatori marittimi svolge all'interno della strategia adottata dalla JMSDF, perché riprendendo il concetto della Air-Sea Battle elaborato dagli Stati Uniti, si intendono integrare le capacità di ricognizione, raccolta di informazioni, discriminazione dei bersagli, e controllo del tiro, in modo che i dati siano condivisi da piattaforme diverse e gli attacchi possano provenire da fonti differenti che comunicano fra loro. Questo sistema è chiamato Cooperative Engagement Capability (CEC), in giapponese Kyodokosennoryoku, ed è basato sul controllo di tiro integrato attraverso l'impiego di un sofisticato network-centric warfare, realizzato attraverso l'impiego di mezzi dotati di di sensori e apparati per l'elaborazione dei dati. Il Kawasaki P-1 è dotato di Link 16 e collegamento tattico MIDS-LVT (Multifunctional Information Distribution System- Low Volume Terminal) che permette lo scambio di informazioni con i caccia F-15J ed F-35, e gli aerei radar E-767, e di collaborare con le nuove unità navali fornite di CEC, come i cacciatorpediniere Atago e Maya, e le fregate 30FFM. Un esempio concreto può far comprendere l'utilità e l'effetto di moltiplicatore di forze del CEC. Un aereo in ricognizione, come un P-1, può identificare un bersaglio, comunicarne la posizione a un cacciatorpediniere che provvede a lanciare un missile guidato dal data-link, e attraverso le informazioni fornite dal ricognitore, arrivare a colpire il target anche se è fuori dalla portata dei sensori della nave. Ciò diventa estremamente vantaggioso nel caso di navi armate con missili a lungo raggio come gli SM-6, con la possibilità di un uso duale antiaereo e antinave, ma è utile anche con i meno prestanti SM-2, e micidiale con i nuovi missili antinave Type 17 che posseggono una gittata di oltre 300 km. 


Il concetto di Multidimensional Joint Defense Force

Il principio della Cooperative Engagement Capability (CEC), che è il pilastro della Naval Intgrated Fire Control - Counter Air (NIFC-CA) sviluppato dall'US Navy, ha influenzato tantissimo la strategia elaborata dalla JMSDF, ma l'idea di integrazione fra le forze armate sta diventando basilare in questi decenni che hanno visto l'elaborazione di complesse concezioni dell'impiego dello strumento militare. Il passaggio a questa idea nella dottrina è stato graduale, ma recentemente ha subito una drastica accelerazione a causa delle tensioni geopolitiche. 

Le National Defense Program Guidelines del 1976 prevedevano per il Giappone soltanto una Basic Defense Force (Kibanteki boei ryoku), ma nel 2010 l'esecutivo di Naoto Kan introdusse il concetto di Dynamic Defense Force (Doteki boei ryoku), a quel tempo assolutamente rivoluzionario per il paese del Sol Levante. Eppoi, le National Defense Program Guidelines del 2013, elaborate dal governo di Shinzo Abe, svilupparono il concetto ancora più ambizioso di Dynamic Joint Defense Force (Togo kido boei ryoku). Questa dottrina spinge fino all'estremo l'idea di elevata mobilità e azione congiunta tra forze terrestri, navali e aeree. Per la realizzazione di un simile obiettivo sono necesssari nuovi e differenti mezzi militari dotati di prestazioni particolari, e il completo rinnovamento delle procedure operative. Infine nelle National Defense Program Guidelines del 2018 si è ulteriormente elaborato il concetto con l'idea di una Multidimensional Joint Defense Force, ossia un sistema integrato di difesa che considera lo spazio cosmico e la dimensione cibernetica e informatica della rete come parti integranti delle forze di difesa terresti, navali e aeree. Per sostenere concretamente questa prospettiva, decisamente innovativa, si è provveduto alla creazione di un'unità spaziale chiamata Uchu sakusen tai (Space Operations Squadron), operativa dal maggio 2020. Ma il potere di controllo dello spazio non viene esercitato soltanto dalle basi spaziali, dai centri di comando, e dalle postazioni di antenne, ubicati in località sulla terraferma, al contrario, è diventato una pertinenza anche delle navi da combattimento che interagiscono con lo spazio in diversi modi, per esempio con il sistema di comunicazione satellitare, il sistema di navigazione, i sistemi di electronic warfare (EW) ed electronic support (ESM), di signals intelligence (SIGINT) ed electronics intelligence (ELINT), e infine con l'attività missilistica. In quest'ultimo caso, il missile SM-3 impiegato dalle navi Aegis, ha dimostrato di possedere capacità antisatellite quando il 14 febbraio 2008 ha abbattuto il satellite USA-193 che era in avaria. L'ultima versione denominata SM-3 Block IIA è in grado di raggiungere un'altitudine di 1.000 km, e ciò costituisce un dato decisamente impressionate che lo rende, a tutti gli effetti, una cosiddetta "arma spaziale". Ricordiamo inoltre che la JMSDF dispone di una propria rete satellitare chiamata Superbird, costituita da satelliti geostazionari, fra i quali anche il DSN-1 e DSN-2 prodotti da Mitsubishi Electric. Il lancio di questi satelliti è avvenuto utilizzando i vettori europei Ariane 4 e 5, e il giapponese H2A. Quest'ultimo è un ottimo razzo della vasta gamma di vettori nipponici a disposizione del paese, che garantiscono anche una certa autonomia nel settore spaziale. 

Il quadro che abbiamo raffigurato dovrebbe fornire una delucidazione su come le navi siano diventate molto di più che semplici mezzi galleggianti adatti alla navigazione, bensì costituiscano delle avanzate piattaforme mobili dotate delle tecnologie più sofisticate, con sensori e missili all'avanguardia, capaci di esercitare il controllo dello spazio aereo e oltre, arrivando fino all'esosfera (al di sopra dei 500 km). In conclusione, le navi da combattimento attuali hanno davvero realizzato l'integrazione del campo di battaglia, con l'unificazione di terra, mare e cielo, e sono effettivamente concepite per combattere una guerra multidimensionale. 


Strategie e battaglie

I luoghi, dove adesso si minacciano nuove battaglie, sono stati in passato lo scenario delle più cruenti battaglie navali della Seconda Guerra Mondiale, ed è perciò opportuno ricordare quali furono le strategie e gli scontri, perché ciò può fornire utili suggerimenti circa le modalità di un conflitto nell'Oceano Pacifico. Infatti, la Marina Imperiale del Giappone (Dai Nippon Teikoku Kaigun) e l'US Navy, insieme ad altri alleati come la Royal Navy e la Royal Australian Navy, furono impegnate in una complessa guerra che impiegò migliaia di mezzi su un'enorme vastita di mari e oceani, dal nord presso le isole Aleutine al sud fino all'Australia, dall'ovest nell'Oceano Indiano a est spingendosi fino alle coste della California. L'immensità del conflitto, per le difficoltà delle operazioni e la grandiosità degli epici scontri, fa apparire quasi ridicole le scaramucce nel Mar Cinese Meridionale (soprattutto se si considera che i cinesi posseggono soltano due portaerei ). All'inizio della guerra e fino al 1943, i giapponesi condussero operazioni offensive (shinko sakusen), per passare poi, a causa della carenza di mezzi, a operazioni difensive (yogeki sakusen). In questa fase iniziale della guerra, nello Stato maggiore della Marina Imperiale vi erano diverse opinioni sulle modalità con cui si sarebbe dovuto affrontare il nemico. Vi erano infatti due strategie, una ispirata al concetto di "battaglia decisiva fra flotte" (kantai kessen), e l'altra alla "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen). Il termine giapponese kessen è composto dalle parole ketsu (decisivo) e tatakai (combattimento), e indica quindi una battaglia decisiva con la quale si determinao le sorti della guerra. Il caso emblematico è la battaglia di Tsushima (27-28 maggio 1905), che portò alla conclusione della Guerra russo-giapponese. Invece, la zengen sakusen era una strategia con operazioni d'attrito che miravano a indebolire il nemico con la graduale riduzione della sua potenza. Per fare ciò era favorito l'impiego di navi veloci come incrociatori e cacciatorpediniere armati di siluri, in grado di compiere attacchi fulminanti e creare scompiglio, anche a danno delle unità più grandi. Esempi di kantai kessen (battaglia decisiva) furono la battaglia di Midway (4-6 agosto 1942), che doveva portare allo scoperto le portaerei americane, ma vide rovesciarsi rovinosamente l'andamento dello scontro, e la battaglia di Leyte (23-26 ottobre 1944), che doveva stringere in trappola la flotta americana, ma si risolse nell'annientamento totale delle navi giapponesi in quella che fu la più grande battaglia aeronavale della storia. Invece un esempio lampante di zengen sakusen (riduzione graduale) fu la battaglia dell'isola di Savo (8-9 agosto 1942), dove vennero affondati 4 incrociatori alleati senza nessuna perdita da parte giapponese, in uno scontro notturno condotto con grande abilità e perizia. 

Ritornando all'attualità, vediamo come in caso di guerra le navi cinesi vorrebbero impegnare quelle giapponesi in punti diversi per distrarle e impedirle di concentrarsi nelle zone delle operazioni anfibie e di sbarco nelle isole meridionali delle Ryukyu (in particolare le Sakishima), e queste sarebbero le azioni preliminari per un'occupazione stabile. Tuttavia questa dispersione di navi non tiene in considerazione il controllo dello spazio aereo, e come le attività marittime siano fortemente condizionate dalla limitazione della libertà di movimento provocata dalle azioni delle forze aeree avversarie. Se consideriamo inoltre la potente capacità antinave dei velivoli giapponesi, sia della JASDF che della JMSDF, c'è da ritenere inopportuna una penetrazione in profondità nei mari controllati dal Giappone, perché così l'esposizione agli aerei che partono da terra aumenterebbe in modo pericolosissimo. Anche l'idea di poter impegnare un grande numero di navi per piegare l'avversario è altrettanto pericolosa e potenzialmente catastrofica. Quando l'Impero Cinese dominato dai mongoli di Kubilai Khan tentò nel 1281 un'invasione del Giappone, poteva contare su un'immensa flotta davvero impressionante per la grandezza. Questa gigantesca flotta era composta da 4.400 navi e 142.000 uomini, e si trattava di una delle più grandi forze navali di tutti i tempi, organizzata e costruita da abili carpentieri cinesi e coreani. L'invasione però fallì perché lo sbarco e la successiva avanzata terrestre furno bloccati ad Hakata (nella battaglia di Koan, giugno-agosto 1281) dove gli invasori furono sconfitti e fermati. Le navi che dovevano supportare l'occupazione si trovarono in estrema difficoltà perché non potevano procedere e completare gli sbarchi, rimanendo in balìa degli eventi, e subendo il peggioramento delle condizioni meteorologiche affondarono a causa dei tifoni. Fu una catastrofe di immense dimensioni che segnò la storia della Cina per sempre, tanto da impedirle in seguito qualsiasi progetto di occupazione del Giappone. 

Anche attualmente le isole del  Giappone sono presidiate da soldati pronti a respingere un tentativo di invasione, e in particolare sulle Ryukyu si trovano le batterie di missili antinave Mitsubishi Type 12 SSM e antiaerei Mitsubishi Type 03 Chu-SAM, e inoltre ci sono anche batterie antibalistiche PAC-3 Patriot, insieme a migliaia di uomini ben armati e organizzati adeguatamente. Perciò le forze di invasione cinesi rischiano seriamente di rimanere vittime della "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen), perdendo lentamente un gran numero di navi. 


La distributed lethality 

La nuova strategia adottata da US Navy e US Marine Corps per rinsaldare la supremazia sui mari è stata chiamata distributed (letalità distribuita), e intende porre rimedio alle criticità emerse a causa della sempre crescente aggressività cinese nell'Oceano Pacifico. La distributed lethality dovrebbe garantire un aumento del potere marittimo semplicecemente incrementando le capacità offensive di ogni singola unità di superficie, e fornendo armamenti altamente distruttivi oltre che agli incrociatori e ai cacciatorpediniere, anche alle navi da combattimento costiere (Littoral Combat Ship), alle navi anfibie e alle imbarcazioni logistiche. Inoltre le unità formerebbero dei gruppi chiamati SAG (Surface Action Group), che essendo più piccoli e meglio disseminati sarebbero un bersaglio più difficile e arduo da colpire. Fra le novità comportate da questa strategia c'è anche la trasformazione delle navi anfibie in portaerei leggere dotate di una componente aerea costituita da F-35B. L'esempio di questa nuova tipologia di nave è la classe America, di cui fanno parte la capoclasse America e la Tripoli, e di cui è pianificata la costruzione di ben 11 unità. Ciò significa che l'US Navy non disporrà soltanto delle super-carrier della classe Numitz e Gerald Ford, ma avrà anche la possibilità di impiegare portaerei più piccole, ma comunque micidiali grazie alla categoria di aerei imbarcati, ossia i cacciabombardieri stealth di quinta generazione F-35B. Se questa strategia può apparentemente sembrare insufficiente e limitata, si deve però prendere in considerazione la reale capacità operativa della Marina Cinese, mettendo da parte le dichiarazioni propagandistiche del regime. Innanzitutto la composizione della flotta cinese risente ancora di un'organizzazione frettolosa che vede una prevalenza delle meno dotate fregate rispetto ai cacciatorpediniere (che sono soltanto 33), e quest'ultimi con la presenza di molti modelli vecchi e osoleti (fra cui i Sovremenny) o meno evoluti (come i Type 051). Viceversa l'US Navy ha molte più navi grandi e prestanti, tra cui 22 incrociatori Ticonderoga, 67 cacciatorpediniere Arleigh Burke, e 3 Zumwalt. Un aumento delle capacità delle unità più piccole porterebbe quindi a un vantaggio attualmente non ancora sfruttato. Il potenziamento delle LCS (Littoral Combat Ship) potrebbe facilmente permettere di eguagliare le numerose fragate cinesi, liberando così nel contempo i più grandi e potenti cacciatorpediniere. 

Un discorso particolare meritano invece le 2 portaerei denominate Type 001 e Type 001A. La Liaoning è la portaerei Type 001, che non è altro che la vecchia nave sovietica Varyag della classe Kutznetsov, varata nel 1988, e acquistata in Ucraina in maniera rocambolesca da una socieà cinese di copertura. Trasferita in Cina nei cantieri di Dalian nel 2000, ha dovuto subire interventi di riparazione e lavori di completamento, anche e soprattutto a causa delle pessime condizione in cui era giunta, e allla situazione di abbandono che ne aveva provocato il grave deterioramento. Fra i problemi tecnici che affliggono la Liaoning c'è l'apparato propulsivo costituito da 8 vecchie caldaie che generano vapore per 4 turboriduttori, con una soluzione che non è particolarmente efficiente e moderna, e spesso poco affidabile a causa dell'osolescenza degli apparati originali. Le caldai a vapore forniscono comunque una potenza di 200.000 cv, sufficiente per la grossa mole di 53.000 t di dislocamento standard, che raggiunge fra 60.000 e 66.000 t a pieno carico. La portaerei Liaoning può imbarcare 26 caccia Shenyang J-15 e 14 elicotteri, tuttavia il sistema di decollo e appontaggio costituisce un altro problema, essendo uno STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery) che utilizza un grosso trampolino (ski-jump) posto a prua con un'inclinazione di 14° gradi. La principale carenza riguarda appunto i caccia Shenyang J-15, che hanno caratteristiche e prestazioni decisamente scadenti. Lo Shenyang J-15 è una versione cinese del Sukhoi Su-33, che a causa delle grosse dimensioni, del peso eccessivo, e della scarsa potenza dell'apparato propulsivo, è costretto a gravi limitazioni per consentire il decollo dal trampolino delle portaerei. Ciò significa che per contenere il peso, e favorire quindi il decollo, viene imbarcato poco combustibile e meno armamenti. Questa situazione è chiaramente visibile con l'osservazione dei J-15 che decollano dalle portaerei con pochi missili, che sono veramente ridotti all'essenziale. Secondo alcune fonti locali cinesi, in queste condizioni lo Shenyang J-15 avrebbe un raggio di combattimento limitato a soli 120 km, un valore decisamente basso che ne compromette l'operatività, riducendone al minimo le capacità offensive. 

Ciò significa che la Type 001, e la sua copia Type 001A, sono nettamente inferiori alle navi anfibie della classe America riconfigurate come portaerei leggere, non soltanto perché quest'ultime impiegano caccia stealth di quinta generazione, ma per le prestazioni complessive, l'affidabilità, e l'efficacia di impiego.  Gli F-35Bhanno un raggio di combattimento di 935 km, e un carico utile di armamento di 6.800 kg. Le America possono trasportare da 16 a 20 di questi aerei, e nelle esercitazioni si è visto fino a 13 F-35B schierati contemporaneamente sul ponte di volo. Attualmente la capoclasse America si trova schierata nella base navale di Sasebo, presso Nagasaki, nel sud del Giappone, pronta a contrastare la Liaoning e la Shandong. La strategia della distributed lethality non riguarda solo le navi, ma interesserà anche l'organizzazione delle basi aeree e navali, come sta accadendo a Guam. Infatti, l'isola di Guam non ospiterà più i bombardieri strategici dell'USAF in maniera permanente, ma li sposterà a rotazione fra le basi aeree della regione, e così anche l'isola di Wake si sta adeguando con la costruzione di una nuova pista e il rafforzamento delle infrastrutture. L'idea è di non fornire facili obiettivi concentrando le forze in pochi punti, ma viceversa si persegue lo scopo è di mettere in difficoltà l'avversario costringendolo a scegliere fra numerosi obiettivi, e disperdendo così la sua potenza di fuoco. Forse non è superfluo osservare che parte di questa strategia riprende e rivaluta l'esperienza della sanguionosa Guerra del Pacifico (1941-1945), e ripropone quanto fatto in quel contesto aggiornandolo ai nostri tempi. 


Tradizione e innovazione dell'aeronavale indiano

Non vedere che l'Asia è composta da tanti e diversi paesi sembrebbe, come accennato all'inizio, un disturbo che purtroppo colpisce molti analisti. Per questo motivo considerare lo scontro fra Cina e Stati Uniti in maniera univoca è assolutamente fuorviante, perché ciò che si sta affermando non è un bipolarismo fra superpotenze, ma invece un multipolarismo caotico fra potenze grandi, medie e piccole. L'india, che è indiscutibilmente un gigante dell'Asia, in questo contesto svolge quindi un ruolo fondamentale, e soprattutto per l'importanza della sua forza aeronavale che avrà un ruolo sempre più consistente nei rapporti di potere marittimo.  

Un'eccellenza della forza aeronavale indiana è rappresentata dalla portaerei Vikramaditya, ex Admiral Gorshkov della classe Kiev, venduta dalla Russia nel gennaio 2004, ricostruita e modificata, e poi entrata in servizio il 14 giugno 2014. Con un dislocamento a pieno carico di 45.000 t, lunga 283 m e larga 60 m, può imbarcare fino a un massimo di 35 velivoli, fra cui i caccia Mikoyan-Gurevich MiG-29K Fulcrum e gli elicotteri Kamov Ka-31 e Ka-28. Un'altra portaerei, la nuova Vikrant (da non confondere con una precedente unità con lo stesso nome), è stata varata il 12 agosto 2013, ed entrerà in servizio verso il 2023. Lunga 262 m, con un dislocamento di circa 40.000 t, permetterà di impiegare fino a 40 velivoli. Si parla molto poco delle portaerei indiane, mentre le equivalenti unità cinesi ricevono un'attenzione spesso spropositata dalla stampa, come nel caso della modesta Liaoning. Al contrario, le portaerei indiane presentano soluzioni più moderne, come l'impiego dei MiG-29K, adottati su suggerimento russo, che dovrebbero costituire una valida alternativa al Su-33, essendo molto più leggeri e versatili (ciò permetterebbe il superamento dei problemi al decollo di cui abbiamo parlato a proposito della Liaoning). Le versioni più recenti del MiG-29, come i modelli Mig-29M e MiG-29K, hanno avuto una riprogettazione di quasi un terzo della cellula, e sono così un aereo molto diverso e più prestante, a cui si aggiunge una strumentazione e avionica molto più avanzata.    

La Marina Indiana (Bharatiya Nau Sena) ha anche un'esperienza molto più lunga e una migliore preparazione, potendo vantare l'impiego della Viraat dal 1987 al 2017, con i cacciabombardieri Sea Harrier, e ancora prima con la vecchia e gloriosa Vikrant, entrata in servizio nel 1961 e radiata nel 1997, divenuta famosa durante la guerra con il Pakistan nel 1971, grazie alle operazioni dei suoi caccia Hawker Sea Hawk. Sulla base di questi fatti storici, si può affermare che l'aeronavale indiano non va affatto sottovalutato, anzi rappresenta senza dubbio una spina nel fianco della Marina Cinese, e delle sue pretese espansionistiche. Tuttavia l'aspetto più geniale della politica di potenza navale dell'India è rappresentata da un'alleanza con il Giappone che sta diventando geopoliticamente sempre più importante, soprattutto  perché realizza una tenaglia che stringe ai lati la Cina, che viene così schiacciata a Oriente dal Giappone e a Occidente dall'India. Ricordiamo brevemente in che cosa consiste questa cooperazione militare che ridisegna i rapporti di forza in Asia: il Giappone e l'India hanno stipulato un accordo chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India, firmato il 22 ottobre 2008 a Tokyo dal primo ministro giapponese Taro Aso e dall'omologo indiano Manmohan Singh. Questo accordo prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, la collaborazione dell'intelligence con lo scambio di informazioni, e possibilmente il sostegno e la compartecipazione ad attività e programmi nel settore dell'industria militare. Come è stato evidenziato in precedenza, l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e queste attività bilaterali hanno assunto sempre di più un ruolo considerevole. Le esercitazioni navali congiunte fra Giappone e India sono chiamate JIMEX (Japan-India Maritime Exercise), e si svolsero per la prima volta il 9-12 giugno 2012 nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, con l'impiego dei cacciatorpediniere giapponesi Ariake e Setogiri, e quattro navi indiane, il cacciatorpediniere Rana, la fregata Shivalik, la corvetta Karmukh e il rifornitore Shakti, inoltre partecipò anche l'aviazione navale nipponica con i pattugliatori P-3C Orion e vari elicotteri. L'esercitazione JIMEX 13 si è svolta l'anno seguente, a Chennai nel golfo del Bengala, il 19-22 dicembre 2013, con la fregata Satpura, il cacciatorpediniere Ranvijay e la corvetta Kuthar. L'esercitazione più recente è stata la JIMEX 18, svoltasi il 7-15 ottobre 2018, a Visakhapatnam, nel sud dell'India, con un dispiegamento di forze notevole che comprendeva la portaeromobili giapponese Kaga, il cacciatorpediniere multiruolo Inazuma, e la fregata indiana Satpura, la corvetta Kadmat e il rifornitore Shakti. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico, stringendo una collaborazione sempre più fruttuosa e importante. Recentemente si è assistito a un'altra prova concreta di questa collaborazione con l'esercitazione congiunta PASSEX (PASSing EXercise) svoltasi il 27 giugno 2020 presso lo stretto di Malacca, a cui hanno partecipato i cacciatopediniere giapponese Shimayuki e la nave scuola Kashima, e per la parte indiana il cacciatorpediniere Rana e la corvetta Kulish. Questo rappresenta il quindicesimo addestramento congiunto fra i due paesi negli ultimi tre anni, dimostrando un'intensità ormai considerevole. Inoltre, l'esercitazione ha anche costituito un segnale politico chiaro, dopo l'incidente alla frontiera presso la valle di Galwan (15 giugno 2020), con lo scontro fra truppe cinesi e indiane. In proposito il governo giapponese ha espresso ufficialmente la sua solidarietà all'India, e le condoglianze per i 20 soldati indiani morti, con una presa di posizione netta e insolita, che ha ignorato qualsiasi tentativo di mediazione e dialogo diplomatico. Possiamo osservare come ciò sia un atteggiamento tipico della nuova fase da Guerra Fredda in cui ci troviamo, ed è un segnale innegabile del nuovo corso della storia. 


Il controllo del mare e il pensiero strategico

Indubbiamente nell'ultimo decennio la Cina ha introdotto un nuovo concetto di potere navale, trasferendo l'idea di controllo territoriale anche al mare secondo modalità inconsuete, che apparentemente sembrerebbero una palese esibizione di forza, ma che secondo alcuni nasconderebbero una grave inesperienza. In effetti, i cinesi non hanno mai vinto una battaglia navale nella loro straordinaria storia millenaria, anzi hanno subito cocenti sconfitte. Innanzitutto ricordiamo la catastrofica spedizione del 1281, con la perdita di una immensa flotta di 4.400 navi che tentarono l'invasione del Giappone, ma ancora più importante è la Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), che vide affrontarsi le flotte dei due paesi. Ciò che mancò ai cinesi in quell'occasione non fu la potenza e il numero di navi, bensì l'addestramento. Al contrario, i giapponesi (in particolare il feudo di Satsuma), avevano appreso dagli inglesi le tecniche più avanzate di combattimento navale, ed erano in grado di applicarle correttamente, ed è ciò che condusse alla vittoria nipponica della battaglia dello Yalu (17 settembre 1894). 

Attualmente la strategia navale cinese sembra ridursi a una politica di potenza basata su un gran numero di navi pesantemente armate. Tuttavia la storia insegna che le battaglie navali non sono necessariamente vinte da chi ha più navi e armamenti, ma da chi li usa meglio. L'esempio classico è ovviamente la sconfitta della Invencible Armada di Filippo II, distrutta nel 1588 dalle meno numerose navi inglesi di Elisabetta I, ma meglio organzizzate e guidate da una strategia precisa. 

In conclusione, se dovessimo chiedere a un esperto militare quale sia la strategia cinese per il controllo del mare, ci verrebbe sicuramente ricordata la militarizzazione delle isole (la cosiddetta "collana di perle"), la creazione della A2/AD (Anti-Access/Area Denial), e lo schieramento dei missili balistici antinave, ma sull'uso delle navi e della strategia navale non saprebbe dirci niente perché i cinesi in realtà considerano le navi soltanto numericamente, stimando la forza come una mera questione di quantità. Per questo motivo la strategia navale gli appare come un inutile orpello del pensiero occidentale, e quest'ultimo è continuamente disprezzato dal regime. Semplicente i cinesi stanno applicando sul mare una strategia continentale, puramente terrestre, basata sull'ampliamento territoriale. Non vi è perciò alcuna concezione e sensibilità nei confronti della strategia navale. Però questa mancanza di pensiero strategico autenticamente marittimo potrebbe rivelarsi fatale, rivelando una carenza esiziale tenuta ben nascosta.