sabato 4 novembre 2023

Il potenziamento navale giapponese

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il potenziamento navale giapponese, in "Panorama Difesa", n. 434, anno XLI, novembre 2023, pp. 70-75.  

 

Il potenziamento navale giapponese 

L'importanza del potenziamento navale del Giappone e la crescita del suo arsenale missilistico non è stata ancora ben compresa, tuttavia ciò comporta delle implicazioni enormi che non possono essere ignorate ed è giusto conoscere. 

di Cristiano Martorella 


Quando nel 2012 si infiammò la disputa per le Senkaku, cinque minuscole isole controllate dal Giappone, ma rivendicate dalla Cina sulla base di risibili motivazioni, la stampa e gli altri media italiani sposarono acriticamente le ricostruzioni della propaganda di Pechino, attribuendo essenzialmente le cause dello scontro all'eccessivo e fanatico nazionalismo giapponese, come se l'integrità territoriale del proprio paese non fosse una legittima preoccupazione. Dopo qualche tempo, come accade spesso, la superficialità della comunicazione dei media portò a dimenticare molto presto la questione, che invece aveva assunto uno spazio rilevante nella politica e nell'opinione pubblica in Giappone. Il governo nipponico infatti prese in considerazione molto seriamente la situazione, e attuò provvedimenti drastici per impedire qualsiasi appropriazione illecita dei propri territori. Sull'isola di Ishigaki, che dista soltanto 150 km dalle contese Senkaku, è stata costruita una base militare che ha il compito di ospitare la 303rd Surface-to-Ship Missile Company (Dai 303 chitaikan misairu chutai) dotata dei potenti missili antinave Mitsubishi Type 12 in grado di colpire un bersaglio a 250 km. Ciò significa che il mare intorno alle isole Senkaku è stato completamente precluso all'attività delle navi da guerra cinesi, e così si impedisce che venga effettuata qualsiasi operazione navale ostile contro il paese del Sol Levante. Inoltre sono state rafforzate le difese sulle isole dell'arcipelago delle Ryukyu, piazzando batterie di missili antiaerei Type 03 Chu-SAM e antinave Type 12, in particolare a Miyako, Ishigaki e Amami Oshima, creando una poderosa A2/AD (Anti-Access/Area Denial) per impedirne l'accesso e precludere l'area. Se ciò non bastasse è stata formata una Brigata Anfibia, ufficialmente denominata Amphibious Rapid Deployment Brigade (in giapponese Suirikukidodan) composta da tre reggimenti, cinque battaglioni specializzati, e una compagnia per le comunicazioni, equipaggiati adeguatamente con mezzi efficienti come i veicoli anfibi AAV7A1 (Assault Amphibious Vehicle) e armi potenti e polivalenti come i missili Chu-MMP (Middle range Multi-Purpose Missile). Queste realizzazioni costituiscono un cambiamento paradigmatico degli equilibri in Asia, perché il Giappone passa così da una difesa statica, limitata a una Basic Defense Force (Kibanteki boei ryoku), a una difesa dinamica integrata fondata sul concetto di Dynamic Joint Force (Togo kido boei ryoku), che rappresenta una rivoluzione nella postura della sicurezza dell'arcipelago. Geograficamente il Giappone impedisce alla Cina l'accesso all'Oceano Pacifico, in maniera fisica ineludibile, e ciò determina la frustrazione di Pechino che non potrà mai realizzare i suoi sogni di egemonia finché la situazione rimarrà condizionata in tal guisa. 


Il modello sbagliato

Spesso si compiono gli errori più gravi perché si possiede una visione non adeguata e non corrispondente alla realtà che si intende analizzare, e ciò avviene molto più frequentemente di quanto si creda. Questa difficoltà riguarda anche la Cina che è un paese distante, non soltanto fisicamente, ma soprattutto culturalmente. Recentemente si è affermato un modello che propone un dualismo fra Cina e Stati Uniti, in una rivalità e contrapposizione bipolare che ricorda molto precisamente la Guerra Fredda (1947-1991), e lo scontro con il blocco guidato dall'Unione Sovietica. L'autore che ha meglio interpretato questa visione è stato il politologo Graham Allison che ha coniato l'espressione "trappola di Tucidide" per descrivere l'inevitabile sontro fra Cina e Stati Uniti. Nell'antichità una nuova potenza emergente, rappresentata da Atene, minacciò l'esistenza di una potenza egemone già consolidata, la città di Sparta, cercando di sostituirla. La paura degli spartani che temevano di essere superati e battuti condusse appunto alla Guerra del Peloponneso, così come ci narra lo storico Tucidide. Il difetto del modello dualistico di Graham Allison risiede nell'aver delimitato e ristretto in maniera semplicistica la questione. La Cina non può essere considerata una potenza egemone perché non solo non lo è nel mondo, nonostante le sue ambizioni, ma non lo è nemmeno in Estremo Oriente dove viene contrastata e contenuta da altre potenze, fra le quali spiccano il Giappone e l'India. Prima di potersi confrontare con gli Stati Uniti, la Cina dovrebbe sbarazzarsi dei suoi rivali in Asia, ma è ben lontana dal poterlo fare. Non c'è dubbio inoltre che ci sia un'eccessiva sottovalutazione delle potenzialità del Giappone da parte degli analisti, nonostante sia risaputo che il paese del Sol Levante è tuttora la terza potenza economica mondiale, e nel ranking delle potenze militari è ormai classificato al quinto posto. Tuttavia chi ha dimestichezza dell'argomento non si sorprende di ciò, perché si può tranquillamente dire che la sottovalutazione del Giappone è un luogo comune divenuto classico. Infatti, ritornando indietro nel tempo, ricordiamo come dopo l'attacco proditorio a Pearl Harbor, l'intelligence americana si affrettò nel denunciare l'errore di aver sottovalutato le capacità industriali e militari del Giappone, e produsse perfino alcuni interessanti documentari per correggere questo punto di vista. Dunque, questo pregiudizio è davvero molto diffuso, ed è storicamente riconosciuto, come abbiamo appena evidenziato. Per spiegare questo atteggiamento bisogna conoscere adeguatamente la cultura giapponese che è davvero ricchissima con una produzione artistica straordinaria e un vivace mondo dell'intrattenimento. Si tende perciò a confondere questo apparente "paese dei balocchi" con il mondo più vasto della nazione ignorandone la realtà piuù complessa e sfaccettata, senza conoscere materie e discipline tediose, ma comunque importanti, come la politica e l'economia, e ovviamente la difesa. 


La potenza marittima 

Nel suo discorso al XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese, l'8 novembre 2012, l'allora segretario Hu Jintao affermò che la potenza militare cinese avrebbe dovuto diventare egemonica, tanto da controllare anche i mari, e trasformando la Cina in una potenza marittima. Ciò corrispondeva pienamente alle ambizioni che da tempo erano maturate negli ambienti militari e politici, e che erano state ben espresse dall'ammiraglio Liu Huaqing (1916-2011), un fiero sostenitore dell'espansionismo cinese. Secondo Liu Huaqing entro il 2010 la Cina avrebbe dovuto ottenere il controllo della prima catena di isole, formate da Giappone, l'arcipelago delle Ryukyu, Taiwan, le Filippine e il Borneo, ed entro il 2020 della seconda catena di isole composte da Bonin, Marianne, Guam e Palau. Come risulta evidente questo piano non è stato realizzato nei tempi previsti, e ci sono delle ragioni precise che ci indicano come potrebbe non essere mai concretizzato. La questione fondamentale è però che non si diviene una potenza marittima semplicemente costruendo tante navi, come invece crede la leadership cinese, ma serve una dottrina, le capacità operative, l'addestramento, e soprattutto esperienza e tradizione. In tal senso in Estremo Oriente esiste già una potenza marittima che vanta una storia di grande rilievo, ed è il Giappone. Le origini della potenza marittima del paese del Sol Levante risalgono al XIX secolo, quando i feudi di Satsuma e Choshu furono i promotori e artefici della Restaurazione Imperiale (1868), e fautori della formazione delle Forze Armate. Choshu fu responsabile dell'organizzazione dell'Esercito Imperiale nel 1871, mentre Satsuma nel 1872 formò la Marina Imperiale, e ciò provocò una divisione e rivalità che consisteva anche in diverse visioni politiche e strategie opposte. La storia della Marina Imperiale è interessante, e risale addirittura alla metà del XIX secolo, quando fu stretta un'alleanza militare con il Regno Unito. Si tratta di una storia interessante e curiosa, che rivela anche alcuni aspetti tipici della mentalità giapponese, e merita perciò un doveroso approfondimento in proposito. Nel 1862 accadde un grave avvenimento, noto come incidente di Namamugi, che vide coinvolti quattro cittadini britannici colpevoli di aver mancato di rispetto al reggente del signore del feudo di Satsuma. Nello scontro morì un mercante londinese, Charles Richardson, e ciò provocò la richiesta di un risarcimento danni che fu accolto dal governo giapponese (bakufu), ma rifiutata dal feudo di Satsuma. Come ritorsione, il 15-17 agosto 1863, la flotta inglese guidata dall'ammiraglio Augustus Leopold Kuper bombardò la città fortezza di Kagoshima. Sorprendentemente dopo lo scontro, che si concluse con un accordo sulla somma da pagare, gli inglesi e il feudo di Satsuma iniziarono a collaborare. Infatti, durante la battaglia emerse la notevole preparazione dei giapponesi nell'uso delle batterie di cannoni, evidenziando come i rapporti con l'Occidente avessero permesso di impossessarsi dell'avanzata tecnologia delle armi da fuoco. Nel corso della guerra di Boshin (1868-1869), che oppose le forze fedeli allo shogun a quelle a sostegno dell'imperatore, gli inglesi appoggiarono apertamente il feudo di Satsuma, che era schierato a favore della Restaurazione Imperiale. Questa situazione portò successivamente a un più forte avvicinamento fra i due paesi, che il 30 gennaio 1902 firmarono a Londra il trattato di Alleanza anglo-giapponese (Nichiei domei), rinnovato nel 1905 e nel 1911, e decaduto soltanto nel 1923, che ebbe notevoli conseguenze dal punto di vista politico e militare. Fino dal periodo della collaborazione con il feudo di Satsuma, gli inglesi addestrarono i giapponesi alle tecniche di combattimento navale più moderne e avanzate, e i risultati si videro molto presto. Il Giappone vinse due guerre grazie alle formidabili vittorie sul mare, infatti con la battaglia dello Yalu si aggiudicò il successo nella Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), e con la battaglia di Tsushima sconfisse la Russia zarista nella Guerra russo-giapponese (1905-1905). Gli inglesi introdussero in Giappone anche le tecnologie militari più rivoluzionarie, come le navi da battaglia del tipo dreadnought, i nuovi modelli di cacciatorpediniere, il siluro e l'aeroplano, e soprattutto le innovative portaerei. I giapponesi divennero maestri in queste tecnologie, tanto da nutrire enormi ambizioni e arrivare all'impressionante espansionismo militare che portò all'occupazione di gran parte dell'Asia Orientale, e fu fermato soltanto dalla forza degli Stati Uniti. 


Il potenziamento della flotta

Tuttavia ciò che più ci interessa non è il glorioso passato della Marina giapponese, piuttosto è quanto sta realizzando attualmente nonostante una certa indifferenza e sottovalutazione della reale portata di questo riarmo. In verità i programmi di potenziamento della flotta nipponica sono davvero impressionanti, e continuamente aggiornati e rivisti, con nuove iniziative che rilanciano e rinvigoriscono i piani di riarmamento. Un esempio clamoroso è fornito dalla recente decisione di investire ulteriormente sul rafforzamento del programma 30FFM, costituito dalle avanzatissime fregate di nuova generazione della classe Mogami. Il 25 gennaio 2023 il governo ha annunciato che le previste 22 navi della classe Mogami sarebbero state ridotte a 12, e le restanti sostituite da un nuovo modello di fregata più grande chiamata "Shingata FFM" (Nuovo modello di FFM). Il 31 agosto è sta comunicata la decisione di aumentare il numero di queste nuove unità a 12, portando il numero totale di fregate a 24. Le Shingata FFM avranno un dislocamento standard di 4.880 tonnellate, e una lunghezza di 142 metri, ossia 1.000 tonnellate e 9 metri in più rispetto alle Mogami, e saranno decisamente più simili ai cacciatorpediniere per potenza di fuoco e dislocamento. Si prevede che l'ingrandimento permetterà di alloggiare un maggior numero di celle del lanciatore verticale, comprendendo fra le armi imbarcate anche la nuova tipologia di missili sviluppata dal Giappone, fra cui il cosiddetto "Seino kojo gata" (Modello con capacità superiori), un missile completamente nuovo derivato dal Type 12 con caratteristiche innovative e gittata fra 900 e 1.500 km, con la capacità di colpire navi e bersagli terrestri indifferentemente. Altre importanti novità provengono dal Defense Build-up Program, documento approvato il 16 dicembre 2022, che costituisce una pietra miliare nella storia del Giappone, prevedendo una crescita degli armamenti senza precedenti e programmi decisamente ambiziosi. Una dettagliata analisi mostra aspetti che erano inizialmente sfuggiti, come la decisione di costruire altri 2 cacciatorpediniere Aegis simili alla classe Maya, oltre alle 2 navi chiamate Aegis System Equipped Vessel (ASEV), e ciò porterà a un totale di ben 12 navi Aegis operative. I cacciatorpediniere lanciamissili (DDG) avranno un dislocamento di circa 10.000 tonnellate, e riprenderanno le soluzioni ingegneristiche delle precedenti navi. Invece gli Aegis System Equipped Vessel (in giapponese Aegis System tosai kan) saranno simili a incrociatori, con un dislocamento di 20.000 tonnellate, lunghezza di 210 metri, e larghezza di 40 metri, quindi in grado di ospitare una gran quantità di armi.Nonostante la definizione di BMD Ship (Ballistic Missile Defense Ship), queste navi non avranno soltanto funzioni difensive, grazie ai missili SM-6 e SM-3 Block IIA, ma spiccheranno per le capacità offensive potendo imbarcare missili cruise, come gli RGM-109 Tomahawk e il nuovo missile giapponese "Seino kojo gata" derivato dal Type 12, e altri armamenti che non sono stati ancora rivelati. Per quanto riguarda le fregate Mogami e le successive unità potenziate, avranno un ruolo fondamentale nella flotta, potendo svolgere missioni HK/SAG (Hunter-Killer/Surface Action Group), ossia la caccia ai sottomarini e il contrasto alle unità navali in superficie. Inoltre, grazie al nuovo missile Type 17 (SSM-2), dotato di guida satellitare GPS e capace quindi di colpire con precisione anche obiettivi terrestri, queste fregate possono compiere azioni di strike e attaccare bersagli posti sulla terra. Una capacità che prima era preclusa alla JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force), ma che adesso non è più un tabù a causa delle crescenti tensioni nella regione dell'Indo-Pacifico. Sorprendente è infine il potenziamento delle portaerei della classe Izumo, che sono da tempo sottoposte a lavori di trasformazione, con l'ingrandimento del ponte di volo e altre modifiche che ne faranno unità decisamente efficienti e poderose. Infatti, la possibilità di imbarcare i cacciabombardieri stealth Lockheed Martin F-35B costituisce un punto di forza difficilmente uguagliabile, se si considerano le capacità di questi avanzatissimi velivoli. Insieme a questo atout, c'è anche il miglioramento delle funzionalità degli elicotteri antisom, con la nuova versione Mitsubishi SH-60L dotata di un multistatic sonar che combina i dati ricevuti da diverse fonti, e l'impiego dei nuovi siluri Type 12 ancora più micidiali.  


Le capacità offensive

L'altro aspetto cruciale che rende il Giappone determinante in questo scenario, è il mutato atteggiamento che ormai non si basa più su una politica puramente difensiva (senshu boei), ma sul concetto di "capacità di contrattacco" (hangeki noriki), e "attacco alla base nemica" (teki kichi kogeki). Per realizzare questa strategia offensiva sono necessarie armi capaci di colpire in profondità il territorio nemico, e valutando che gli avversari presi in considerazione sono la Cina e la Corea del Nord, è evidente che i missili cruise hanno una gittata sufficiente per questo scopo, vantando inoltre una notevole flessibilità di impiego e versatilità. Il Ministero della Difesa giapponese intende perciò realizzare una serie di missili cruise di produzione nazionale, ma siccome ciò richiede un certo tempo e si intende rispondere alle minacce immediatamente, si è stabilito di acquistare missili cruise già disponibili sul mercato e di schierarli al più presto sui mezzi esistenti. La scelta è caduta sul missile RGM-109 Tomahawk nella versione Block VB, che dovrebbe essere schierato già a partire dal 2026, prevedendo di installarli sugli 8 cacciatorpediniere Aegis (classi Kongo, Atago, Maya) già in servizio, e sui 2 futuri incrociatori Aegis programmati. L'acquisto dovrebbe aggirarsi intorno a un numero di crica 400-500 missili, e parte dei finanziamenti sono stati già erogati nel budget per la Difesa del 2023. 

Per quanto riguarda invece i missili cruise di produzione nazionale, la situazione è molto articolata e considera una notevole varietà di progetti. Innanzitutto, come si è giàà detto, si prevede di ottenere un missile da crociera migliorando il missile antinave Mitsubishi Type 12, realizzando così un missile dual-use in grado di colpire sia obiettivi terrestri che navali, con capacità di lancio da lanciatori mobili, aerei, navi, e sottomarini. Attualmente questo missile è identificato semplicemente con il nome di "Modello con capacità superiori" (Seino kojo gata), e fra le sue caratteristiche ci sarà un design stealth per sfuggire ai radar e ali estensibili per prolungarne l'autonomia che dovrebbe raggiungere nella versione finale circa 1.500 km. Mitsubishi Heavy Industries ha indicato la fase di sviluppo dal 2021 al 2025, e una possibile entrata in servizio soltanto dopo il 2026. Anche Kawasaki Heavy Industries avrebbe presentato un'offerta per un altro missile cruise con gittata di 2.000 km, ma al momento il progetto non si è ancora concretizzato e rimane soltanto al livello di proposta. Ancora più interessanti sono i progetti dei missili ipersonici giapponesi che risultano davvero originali e sofisticati. Nel 2020 il Ministero della Difesa ha reso noto ufficialmente lo sviluppo di alcune armi ipersoniche a cui lavorava segretamente da tempo, e ciò ha suscitato un certo scalpore perché si ignoravano completamente questi progetti così ambiziosi. L'ATLA (Acquisition, Technology & Logistics Agency), l'agenzia del Ministero della Difesa che si occupa di acquisizioni e sviluppo tecnologico, ha comunicato che gli ingegneri nipponci sono al lavoro per la realizzazione di due modelli di missili ipersonici, chiamati rispettivamente Hypersonic Cruise Missile (HCM) e Hyper Velocity Gliding Projectile (HVGP). L'HCM è simile a un missile tradizionale, ma è dotato di propulsione basata su uno scramjet che permette elevate velocità ipersoniche e una gittata a lungo raggio. Invece, l'HVGP è fornito di un motore a razzo a combustibile solido, che poi si separa sganciandolo ad alta quota, e possiede sistemi di controllo basati su propulsori di manovra e una piccola deriva. Entrambe le armi potranno utilizzare due modelli di testate: una variante antinave chiamata Sea Buster, composta da due stadi di detonazione (carica cava anti-corazza e carica perforante principale), e una testata del tipo penetrante multipla o Multiple Explosively Formed Penetrator (MEFP), ad alta densità, costituita da una carica sagomata formata da proiettili autoforgianti che al momento dell'esplosione creano uno sciame di frammenti che colpiscono diversi obiettivi. Secondo le informazioni più recenti pubblicate dall'agenzia di stampa Kyodo News, il missile ipersonico HCM dovrebbe avere una gittata di ben 3.000 km , mentre il missile planante HVGP avrebbe un raggio d'azione di 2.000 km. Si stima che i prototipi saranno realizzati fra il 2024 e 2028, così che questi missili possano entrare in servizio nel 2030.


La politica e l'ideologia

Un altro aspetto estremamente sottovalutato è costituito dal fatto che il Giappone si oppone alla Cina non soltanto come potenza militare, ma anche ideologicamente e politicamente criticando il regime di Pechino sotto ogni punto di vista. Forse è bene ricordare che il Giappone è una democrazia liberale che mal sopporta il sistema politico cinese ispirato alle più retrive forme di comunismo autoritario, espressione antitetica di tutti i valori occidentali. La scelta politica del Giappone proviene da lontano, ed è stata maturata attraverso la riflessione filosofica ponderata e approfondita di intellettuali come Yukichi Fukuzawa, che hanno indicato le istituzioni liberali come le migliori per lo sviluppo di un paese. Il Giappone, attuando un vasto programma di riforme, è divenuto la prima democrazia in Asia, con un parlamento chiamato Dieta in vigore dal 1889, e il suffragio universale maschile adottato nel nel 1925. Come l'Italia e la Germania ha conosciuto una svolta autoritaria negli anni '30 e '40 del XX secolo, ma il superamento di questo periodo ha rafforzato la convinzione che il sistema democratico e le garanzie di diritti e libertà siano indispensabili per una società evoluta. A questo punto nessuno vuole riununciare a tutto questo per acconsentire alle manie di grandezza di qualche autocrate. Le ben radicate convinzioni pacifiste non costituiscono più un freno alle richieste di maggiore sicurezza, ed è evidente che soltanto una capacità militare adeguata alla minaccia può impedire l'aggressione al paese. Si percepisce chiaramente che ciò che viene messo in discussione non è soltanto il controllo di alcuni territori, ma l'intero ordine mondiale scaturito alla fine del conflitto mondiale, e con esso le regole che dovrebbero stabilire i rapporti fra nazioni. Il cosiddetto "nuovo ordine mondiale", proposto dalle autocrazie, si fonderebbe semplicemente sulla "legge del piuù forte", e le potenze più grandi detterebbero le loro condizioni, imponendo la loro volontà. La strategia del Giappone si basa quindi sulla cooperazione con gli altri paesi democratici, con una visione postitva del multilateralismo, ma anche sulla crescita militare indispensabile come risposta a queste minaccia.   


 

sabato 7 ottobre 2023

Nell'epoca del caos

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Nell'epoca del caos, in "Panorama Difesa", n. 433, anno XLI, ottobre 2023, pp. 70-75. 


Nell'epoca del caos 

Una riflessione sulla situazione internazionale è doverosa in un contesto che riconosce l'aumento delle difficoltà nel mantenimento della sicurezza a causa di una complessità inedita. 

di Cristiano Martorella 


Da alcuni anni gli studiosi utilizzano insistentemente la parola "caos" per descrivere l'attuale condizione del mondo, che registra  una crescita preoccupante della conflittualità, una molteplicità inusuale delle crisi, e la perdita di equilibri consolidati che erano considerati fondamentali per la sicurezza e la stabilità internazionale. Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, usa l'espressione "caoslandia" per indicare questo mondo dominato dalla confusione, dalla mancanza di regole, dal disordine, e soprattutto dalla conflittualità esasperata. Addirittura Lucio Caracciolo raffigura su una cartina geografica la condizione dei vari paesi colorati con tinte diverse secondo il grado di disordine nel quale si trovano, fornendo un'immagine immediata dell'espansione del caos. Quindi, questa tendenza è decisamente consolidata tanto da essere diventata un oggetto di studio molto accurato. Perciò è particolarmente utile anche l'elaborazione del concetto di "policrisi" che indica una molteplicità di crisi che si accumulano e amplificano l'una con l'altra. La parola è stata coniata dal filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni '90, ed è divenuta cruciale per l'uso che ne ha fatto lo storico Adam Tooze, interpretando la confusa situazione mondiale. Secondo Adam Tooze, le crisi sono particolarmente ostiche e difficili perché interagiscono tra loro in maniera che ciascuna diventa un fattore di un'altra crisi, contribuendo ad amplificarla. Da un punto di vista teorico, ciò significa anche che non esiste una sola causa delle crisi, e quindi nemmeno una soluzione unica. Se le crisi sono molteplici, anche le soluzioni devono essere molteplici, secondo una logica che rifiuta le banali semplificazioni, e attinge piuttosto alle indagini e alle scoperte della teoria della complessità. 


Un cambiamento epocale

Gli storici e i politologi sanno molto bene che l'attuale situazione è il risultato di un cambiamento del contesto internazionale avvenuto in questi anni, e in particolare al fatto che è venuto meno il sistema di governance mondiale creato dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Questo sistema era stato organizzato grazie alla straordinaria potenza economica degli Stati Uniti, che aveva consentito di stabilire regole e istituzioni valide in tutto il pianeta, e ciò avvenne attraverso gli accordi di Bretton Woods (stipuluati nel 1944 fra i principali paesi industrializzati, i quali concordarono un insieme di regole economiche internazionali che portarono all'istituzione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale) e del GAAT (General Agreement on Tarifs and Trade - firmato nel 1947 per promuovere il commercio internazionale riducendo o eliminando le barriere doganali). Entrambi questi trattati furono fondamentali perché gettarono le basi dello sviluppo del libero mercato nell'ottica dell'economia capitalistica e delle democrazie liberali. Inoltre bisogna rimarcare che questi accordi furono una brillante applicazione della cooperazione e collaborazione internazionale, e sono stati un grande successo nel dopoguerra che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nel mondo. Questo sistema è praticamente collassato all'inizio del XXI secolo, quando i processi di globalizzazione portarono a far emergere altre potenze economiche, spesso non allineate con i valori e gli interessi dell'Occidente. Il caso più emblematico è rappresentato dalla Repubblica Popolare Cinese, che approfittando delle contraddizioni della globalizzazione, ha imposto un proprio modello economico antitetico a quello occidentale, e potenzialmente pericoloso e distruttivo. Attraverso una concorrenza sleale che ignora completamente il rispetto dei brevetti e del diritto d'autore, e soprattutto non applica nessuna legge per tutelare i diritti dei lavoratori, ha totalmente inondato i mercati occidentali con merci prodotte a basso costo, sfruttando una manodopera in condizioni semi-schiavistiche, e violando palesemente brevetti, marchi e regole sul commercio. Ciò ha comportato anche un abbassamento dei salari nei paesi occidentali, provocato da una concorrenza che insegue irrazionalmente la diminuzione dei costi di produzione a discapito dei lavoratori e della qualità. Dal punto di vista militare, l'emergere di nuove potenze ha determinato la crescita di una molteplicità di attori, sia regionali che mondiali, spesso con interessi conflittuali, e difficilmente definiti e organizzati in schieramenti precisi. Diversamente dal periodo della Guerra Fredda (1947-1991) non si può parlare di due fronti contrapposti, anche se questa retorica è ancora molto utilizzata, ma piuttosto di un multipolarismo caotico con numerose potenze con interessi diversi, a volte divergenti o addirittura in palese contrasto. In conclusione, possiamo affermare che il mondo contemporaneo è divenuto un "mondo senza centro", dove non esiste più un ordine mondiale precostituito e non c'è un unico centro decisivo, e può quindi spesso soggiacere al caos, all'imprevedibilità, e all'incomprensione. 


Equilibrio e disordine

Prima di ulteriori approfondimenti, è necessario fare chiarezza circa il contesto dell'attuale discussione, e fornire delle importanti delucidazioni che permettano di evitare le numerose confusioni ed equivoci alla base dell'incomprensione dell'argomento. Attualmente esiste un atteggiamento irrazionale che assume diverse forme, dal fatalismo rassegnato alla retorica sul declino dell'Occidente, che impediscono di assumere un comportamento serio indirizzato alla ricerca e all'indagine scientifica, lasciando invece prevalere i pregiudizi e le opinioni fallaci che non hanno nessun riscontro oggettivo nella realtà. Questa tendenza è amplificata da due fenomeni considerevoli, da una parte il prevalere nella politica e nell'opinione pubblica di sentimenti populistici, e dall'altra un'invadenza enorme e incontrollata della propaganda di potenze straniere ostili nei mass media occidentali. Chiariti questi aspetti si capisce come spesso l'informazione sia viziata e distorta secondo le varie convenienze, senza nessuna ricerca di unvalore oggettivo, e mancando totalmente di validità. L'idea, per esempio, di un declino inevitabile dell'Occidente è talmente abusata e diffusa da costituire ormai un antipatico cliché, che però manca di qualsiasi verifica, e nonostante tutto viene usata per convalidare l'impressione di una perdita irreversibile di ordine e stabilità. La realtà è tuttavia molto differente, e merita un approccio diverso, che ci liberi dal conformismo di questi stereotipi. Per comprendere la questione del disordine è indispensabile perciò interpellare la teoria della complessità, che si occupa dei sistemi complessi e caotici, permettendo di indagare più a fondo il comportamento reale dei fenomeni, non soltanto in fiscia ma anche nelle scienze sociali (e quindi anche in geopolitica). Fra i principali concetti espressi da questa teoria, c'è l'idea di modelli non-lineari composti da componenti che interagiscono gli uni con gli altri, influenzandosi a vicenda, e ciò impedisce appunto un'analisi lineare che scomponga le varie parti occupandosi di ciascuna separatamente. L'analisi viceversa deve essere olistica, e prendere in considerazione i sistemi nel loro complesso. Il secondo aspetto, che ci riguarda direttamente, è la tendenza all'auto-organizzazione dei sistemi complessi, e cioè a trovare da soli un equilibrio, grazie all'influenza degli stessi elementi che costituiscono il sistema e alle loro proprietà ordinative e limitative. Ciò significa che il caos non può espandersi in un tempo indefinito, trovando invece un limite imposto dalle stesse organizzazioni sociali che minaccia di sovvertire, e arrivando a un termine e a una saturazione. Dunque, si può affermare che i sistemi complessi tendono ad auto-organizzarsi, trovando un equilibrio, e questa tendenza può applicarsi anche alle società, che sono evidentemente sistemi complessi. 


La funzione dell'ONU

Nel contesto della caotica situazione mondiale si auspica spesso che l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) possa svolgere una funzione pacificatrice, ma quasi sempre questa speranza è vanificata a causa di molteplici fattori (come abbiamo visto in precedenza il concetto di "policrisi" spiega ciò efficacemente). L'idea di un'organizzazione sovranazionale, che possa districare le varie situazioni di conflitto, è molto antica e risale addirittura al libro Per la pace perpetua scritto dal filosofo Immanuel Kant e pubblicato nel 1795. Quest'opera suggerisce che il diritto internazionale debba essere fondato su un federalismo di Stati liberi, quindi un'organizzazione internazionale, e sostiene inoltre un "diritto cosmopolitico" che promuova la libertà di movimento e circolazione di persone e merci. Gli Stati si dovrebbero impegnare tramite un accordo a non aggredire, invadere o usare la forza contro alcun paese. Concretamente l'idea fu realizzata dal presidente statunitense Woodrow Wilson, promotore della Società delle Nazioni istituita formalmente il 28 giugno 1919, in concomitanza con il Trattato di Versailles. Fu la prima e più importante organizzazione intergovernativa, e raccolse significativi consensi, e la speranza che fungesse da baluardo contro nuovi conflitti. La proposta di Wilson intendeva incentivare un'organizzazione a salvaguardia della pace mondiale, in grado di operare diplomaticamente attraverso un miglioramento delle relazioni internazionali. Nonostante alcuni notevoli successi che portarono ad accordi e trattative, la Società delle Nazioni entrò in crisi negli anni '30 a causa dell'aggressività delle potenze dell'Asse, e in particolare con i conflitti in Manciuria (1931-1932), Etiopia (1935-1936) e Spagna (1936-1939), fino a cessare definitivamente le attività alla fine della Seconda guerra mondiale, sciogliendosi definitivamente nel 1946. Subentrò immediatamente un'altra istituzione che era nata in concomitanza con la Conferenza di San Francisco (25 aprile-26 giugno 1945), dove parteciparono ben 50 paesi, che diedero vita finalmente all'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). La guida fu assunta dagli Stati Uniti, che promossero l'istituzione fin dal 1941, quando il presidente Franklin Delano Roosevelt scrisse il testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite, insieme al primo ministro britannico Winston Churchill, costituendo così il fulcro di un'iniziativa che insieme ad altre organizzazioni avrebbe definito il mondo del dopoguerra. Purtroppo il ruolo delle Nazioni Unite venne ridimensionato dalla tensione bipolare della Guerra Fredda (1947-1991) e la sua azione fu inibita dalle rivalità fra paesi che non seguirono obiettivi condivisi, ma i singoli interessi dei governi. Soprattutto è mancato un efficace strumento militare indispensabile per applicare le decisioni politiche, perché l'assenza di proprie forze armate impedisce di attuare le risoluzioni che possono essere semplicemente ignorate. Le Nazioni Unite fanno perciò affidamento sulle truppe fornite dai paesi che cooperano insieme per il ristabilimento della pace. I casi di intervento sono stati perciò rari, con alcune notevoli eccezioni: la Guerra di Corea (1950-1953), durante la quale si costituì una forza guidata dagli Stati Uniti che ha combattuto in nome dell'ONU, la crisi di Suez (1959), l'operazione in Congo (1960-1964), e l'autorizzazione della coalizione intervenuta nella Guerra del Golfo (1990.1991). Si può dire che l'ONU abbia funzionato discretamente finché è stata guidata dagli Stai Uniti che hanno esercitato un'influenza determinante, ma a partire dal nuovo millennio, la Cina e la Russia hanno lavorato continuamente per distruggere gli equilibri esistenti, e scardinare il sistema creato da Washington. L'aspetto più grave e inquietante di questa situazione è rappresentato dalla forte penetrazione della Cina in Africa e America del Sud, con una spregiudicata politica che sfrutta ampiamente la corruzione dei paesi africani, sostenendo dittature feroci e spietate, e contrastando ogni tentativo occidentale per espandere la democrazia, avversata non soltanto ideologicamente, ma anche concretamente attraverso l'economia e l'apparato militare. Per questi motivi l'ONU è diventata estremamente instabile, rischiando di cadere anch'essa nel caos, essendo principalmente vittima della manipolazione della Cina che controllando gli Stati africani, e i loro voto nell'Assemblea Generale, può orientare molte decisioni, oppure bloccarle. 


Il ruolo decisivo della NATO

L'unica organizzazione che attualmente può incidere positivamente sulla sicurezza mondiale è la NATO (North Atlantic Treaty Organization), e ci sono dei motivi ben precisi perché ciò avvenga che è bene ricordare. Nessuna legislazione, giurisprudenza, o diritto internazionale può essere applicato senza una forza armata che lo faccia rispettare, e discettare di regole senza spiegare come si intende farle rispettare è perciò privo di senso. Il giurista Hans Kelsen affermava che una norma risulta essere valida solo se ha la capacità di esprimere una forza vincolante per coloro dei quali viene a disciplinare il comportamento. Quindi il diritto è sostanzialmente una forma di coercizione, che si esprime in una tecnica sociale consistente nell'organizzazione della forza. Dunque, appare evidente che non può esistere nessun diritto senza la presenza di una forza che lo faccia rispettare. Nella vita civile dei cittadini questa forza è rappresentata dalla Polizia, mentre nei rapporti fra nazioni sono le Forze Armate a esprimere l'autorità che impone un ordine e un rispetto delle regole. L'ONU non possiede proprie Forze Armate, e purtroppo nemmeno l'Unione Europea che fa affidamento alle capacità dei singoli Stati, e perciò l'unica organizzazione, volente o nolente, che può far rispettare il diritto internazionale è la NATO. Soltanto nell'ambito delle facoltà della NATO è possibile bloccare un'aggressione, intervenire per prestare soccorso, respingere un'invasione, e non esistono altre organizzazioni internazionali che abbiano simili poteri. Forse ciò non è ben chiaro all'opinione pubblica occidentale, ma al contrario è stato compreso perfettamente dalle classi dirigenti di Russia e Cina, le quali dimostrano un'eccezionale ostilità nei confronti della NATO, e non perdono mai occasione per insultarla e imputarle colpe assurde, attribuendole la responsabilità di creare conflitti e disordini. In realtà è vero il contrario, perché la NATO agisce per ristabilire la stabilità e riportare l'ordine proprio lì dove è stato sovvertito. Invece, Russia e Cina pretendono di imporre un "nuovo ordine mondiale", ma per farlo devono innanzitutto distruggere l'ordine già esistente creato dagli Stati Uniti e i loro alleati. Per rispondere ai cambiamenti epocali che stanno sconvolgendo il mondo, la NATO è costretta a rivedere e modificare la sua tradizionale strategia, ormai inadeguata alle diverse minacce incombenti sempre in aumento. In tal senso il summit della NATO a Vilnius (11-12 luglio 2023) è stato fondamentale per ridefinire obiettivi, strategie e visione dei problemi, e non c'è dubbio che tali questioni meritino un doveroso approfondimento per capirne l'importanza. Inannzitutto c'è un diverso approccio ai problemi, perché si considera la sfida portata avanti dalla Russia come coesa e collegata alla volontà della Cina di sovvertire l'ordine internazionale, istituire una nuova leadership mondiale, e ridefinire anche il controllo dei territori riscrivendo la geografia politica dei paesi. Una prospettiva inquietante per chi subirebbe i danni certi provocati dalla creazione di questo "nuovo ordine mondiale", che in realtà è soltanto un disordine e un caos inedito senza precedenti. La NATO si pone perciò come argine all'incontenibile smania di potere dei regimi autoritari che sarebbero disposti perfino a distruggere il mondo pur di imporre con la forza la loro volontà. Come spiegava il filosofo Friedrich Nietzsche in Ecce homo, la volontà di potenza è una volontà che vuole sé stessa anche a costo di annientarsi, "poiché l'uomo prefersice ancora il nulla piuttosto che non volere". Ed è ciò che ci fa comprendere il vero motivo per il quale il caos sta aumentando sempre di più. 


La NATO globale

Per rispondere adeguatamente a questo nuovo tipo di minaccia che è globale, si intende replicare con alleanze anch'esse di tipo globale che superano l'impostazione tradizionale  del Patto Atlantico, concepito essenzialmente come coalizione di paesi occidentali fra l'Europa e il Nord America, mentre adesso l'attenzione si è spostata con un focus sull'Indo-Pacifico, e quindi deve necessariamente coinvolgere attori in Asia e Oceania. Principalmente si guarda con attenzione alle alleanze già formate, come l'AUKUS (Australia, United Kingdom, United States Security Treaty) che unisce con un patto di sicurezza trilaterale i tre paesi, dei quali due sono già membri della NATO. Poi si prende in considerazione il cosiddetto Quad, ufficialmente definito come Quadrilateral Security Dialogue, che unisce Australia, India, Giappone e Stati Uniti in un'alleanza informale nata per contrastare l'espansionismo cinese. Un'altra iniziativa da considerare attentamente è il Free and Open Indo-Pacific (FOIP) che si pone come baluardo per un'Asia libera, sicura e stabile, che non sia condizionata dalle ingerenze e minacce della Cina, divenuta ormai un pericolo tangibile per tutti i paesi della regione. Infine sono importantissimi, per la loro forza e solidità, sia il Trattato di mutua cooperazione e sicurezza fra Stati Uniti e Giappone, sia il Trattato di mutua difesa con la Corea del Sud, che stabiliscono una presenza militare americana in questi due paesi di straordinaria rilevanza, e decisamente senza paragoni se si considera inoltre la potenza industriale e lo sviluppo tecnologico di entrambi, e il supporto insostituibile che possono fornire. I paesi asiatici quindi possono essere partner della NATO sia direttamente, attraverso accordi di cooperazione e partecipazione alle riunioni degli organi amministrativi, sia indirettamente attraverso le alleanze incrociate strette fra i membri del Patto Atlantico e le nazioni della regione dell'Indo-Pacifico, e in quest'ultimo caso sono in vigore e attuazione anche gli accordi di mutua difesa e lo svolgimento di esercitazioni congiunte. Dunque la NATO è proiettata ad assumere un ruolo globale per contrastare il blocco comune costituito da Russia e Cina, le quali non nascondono più la loro intesa finalizzata al dissolvimento dell'ordine mondiale creato dall'Occidente, e hanno assunto un atteggiamento estremamente aggressivo che peggiora continuamente. Dinanzi a questa condizione caotica è necessario ragionare in termini capaci di considerare il disordine, e reagire adeguatamente rifiutando il fatalismo lassista, cercando al contrario di elaborare una teoria della complessità che possa essere adattata a questo contesto. 


sabato 26 agosto 2023

Il rinnovato concetto di potere navale in Asia

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il rinnovato concetto di potere navale in Asia, in "Panorama Difesa", n. 400, anno XXXVIII, ottobre 2020, pp.42-53.  



Il rinnovato concetto di potere navale in Asia 

Le potenze marittime, in particolare Stati Uniti, India e Giappone, stanno cambiando le loro strategie nell'ambito del controllo dell'Oceano Pacifico, sempre più minacciato dalle ambizioni egemoniche cinesi. 

di Cristiano Martorella 


Il 24 maggio 2020, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi dichiarò che Stati Uniti e Cina si trovavano ormai nella fase di una nuova Guerra Fredda a causa dell'escalation di tensioni fra i due paesi, e probabilmente questo deterioramento dei rapporti è destinato anche a peggiorare in futuro. Una affermazione così netta e chiara, da parte di un esponente politico e istituzionale tanto importante, sancisce in modo inequivocabile ciò che da tempo analisti e politologi ripetono. Lo scontro fra Pechino e Washington sembra inevitabile, e coinvolge tutte le dimensioni, incluse quelle politiche, sociali, culturali, economiche e militari, e non meno cruciale, se non addirittura fondamentale, il controllo dei mezzi di informazione. In questo contesto, il politologo che per primo ha cercato di definire la situazione è stato Graham Allison, che nel libro Destinati alla guerra del 2017 descrisse con preoccupazione il rischio di un possibile conflitto fra Stati Uniti e Cina. Graham Allison raffigurava brillantemente il dilemma coniando l'espressione "trappola di Tucidide", con la quale si indica la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una potenza emergente (nell'esempio storico Atene e Sparta). La situazione descritta dal politologo americano è però rapidamente degenerata, e in questi anni si sta assistendo a un'accelerazione impressionante con modalità impreviste. Ovviamente se questo conflitto dovesse concretizzarsi materialmente, il luogo dove avverrebbe il confronto sarebbe innanzitutto l'Oceano Pacifico dove si fronteggiano le maggiori forze dei due contendenti, Stati uniti e Cina, con la presenza di altri attori regionali di grande importanza come India e Giappone, che svolgerebbero un ruolo di primissimo piano. Ma considerando il complesso quadro geografico, ci sarebbe anche un ampio coinvolgimento degli altri paesi dell'area, che non potrebbero essere esclusi dal conflitto a causa dei contenziosi territoriali avanzati dalla Cina, che riguardano quasi tutti i vicini, come Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei, Malaysia e Indonesia, e nemmeno si può escludere la parteciapazione dell'Australia che ha chiari interessi nella regione. Queste rivendicazioni sono alla base delle gravissime tensioni nell'Oceano Pacifico, provocate dalla pretesa di Pechino di porre sotto la propria sovranità il 90% del Mar Cinese Meridionale, secondo la cosiddetta "nine-dash line" (linea dei nove punti) che demarca, in maniera assolutamente arbitraria, un immenso tratto di mare che risulta essere all'interno delle acque territoriali di altri paesi. L'ampiezza dei contenziosi è così davvero impressionate per il numero dei paesi coinvolti e l'estensione di mare, ed è perciò utile una breve analisi in dettaglio dei punti caldi: la Repubblica Popolare Cinese pretende il possesso delle Paracel contese al Vietnam, le isole Spratly alle Filippine, il Vietnam, Taiwan, la Malaysia e il Brunei, le isole Pratas a Taiwan, lo Scarborough Shoal alle Filippine, e le isole Natuna all'Indonesia. Questi sono i contenziosi nel Mar Cinese Meridionale, ma non soddisfatta Pechino ha anche altre rivendicazioni, e così è in conflitto con la Corea del Sud per il Socotra Rick (in coreano Ieodo) nel Mar Giallo, e con il Giappone per le isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale. Inoltre è sempre più esasperata la questione di Taiwan, che è de facto uno stato indipendente (le cui origini risalgono alla Repubblica Cinese, nota anche come Cina Nazionalista, proclamata nel 1912), ma viene considerata da Pechino come un territorio che deve ritornare sotto la propria sovranità, anche con l'uso della forza. Anche le tensioni sul continente sono gravi, perché vedono la Cina contendere all'India il Ladakh, parte del Kashmir, e l'Arunachal Pradesh, con esplicite richieste di immensi territori rivendicati come proprie regioni. Anche il Bhutan è coinvolto in un contenzioso con la Cina per il Doklam, e più in generale nella regione indiana del Sikkim. Questo quadro ci fa capire quanto sia sbagliato considerare il confronto fra Cina e Stati Uniti in maniera esclusiva, perché i paesi coinvolti sono molto di più, e costituiscono una situazione davvero difficile da comprendere perché estremamente intricata. La complessità di questo quadro viene putroppo molto semplificata da alcuni analisti con spiegazioni superficiali e lacunose che non colgono il punto cruciale della situazione, ovvero la molteplicità dei contenziosi fra la Cina e i suoi numerosi rivali. Ciò che sfugge. troppo spesso, è il fatto non trascurabile che nei mari rivendicati dalla Cina vivono milioni di persone che si vedono defraudate delle proprie risorse naturali, e non sarà certamente la prepotenza di chi si sente più forte a porre fine alla contesa, anzi ciò esaspererà la situazione fino a degenerare in maniera irreversibile. 

Questo fenomeno cognitivo che impedisce di vedere correttamente la complessità non è imputabile a una semplice carenza degli analisti, bensì è un processo sensoriale noto in psicologia come "change blindness" (la cecità al cambiamento), che avviene quando si è talmente concentrati su un unico aspetto da non vedere ciò che avviene intorno, anche quando è un grosso cambiamento. Nel nostro caso gli analisti sono così concentrati sullo scontro fra Stati Uniti e Cina, da dimenticare completamente gli altri paesi, e non vedere il loro costante e consistente riarmo, tanto da cambiare concretamente gli equilibri fra potenze. 


La rinascita dell'aeronavale giapponese

Lo scorso aprile sono cominciati i lavori di ristrutturazione della portaeromobili  Izumo presso i cantieri navali della Japan Marine United (JMU) a Isogo presso Yokohama. Come previsto la conversione in portaerei per imbarcare gli F-35B era iniziata nella primavera del 2020, ma la stampa ha pubblicato le prime immagini soltanto a giugno, mostrando le fotografie delle impalcature intorno alla torre, e lo smontaggio di alcune componenti come CIWS (Close-In Weapon System) e apparati elettronici che saranno cambiati, modificati e spostati. Queste immagini hanno un elevato valore simbolico perché mostrano il ritorno con forza della capacità aeronavale giapponese, e il crollo definitivo del tabù sul possesso delle portaerei. Insieme a queste fotografie sono apparse in precedenza le immagini dell'ottavo cacciatorpediniere Aegis, lo Haguro, partito da Yokohama il 23 giugno, e impegnato nelle prove in mare. Invece l'entrata in servizio del capoclasse Maya è avvenuta il 19 marzo 2020, ed è stato un evento altrettanto significativo, mostrando il pieno successo nella realizzazione dei cacciatorpediniere più potenti della JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force). Questi eventi dovrebbero dare un'idea della crescente forza della Marina del Sol Levante, ma ciò è solo la parte più appariscente di una flotta che sta conoscendo un incremento e potenziamento senza precedenti. A ciò si aggiunge la notizia del cambio di strategia del Ministero della Difesa (Boeisho), che ha rinunciato alle postazioni terrestri del sistema Aegis Ashore, e starebbe considerando un ulteriore aumento dei cacciatorpediniere Aegis, con un passaggio dagli 8 attualmente costruiti, ad almeno 10, e forse anche di più. Inoltre è prevista la realizzazione entro cinque anni di 10 fregate di nuova generazione chiamate 30FFM, e le prime due saranno varate alla fine del 2020. Entro il 2032 si prevede di costruire ben 22 fregate di questo modello, contribuendo alla sostituzione delle unità più piccole e anziane, come gli Abukuma e gli Asagiri. 

Un'analisi dettagliata e approfondita dei numeri di questa crescita della Marina nipponica fornisce un quadro impressionante che merita certamente grande attenzione. All'inizio del 2020 la JMSDF disponeva di 48 cacciatorpediniere, genericamente indicati col termine goeikan (nave scorta), e precisamente 4 portaelicotteri (DDH), 8 lanciamissili (DDG), 30 multiruolo (DD), e 6 di scorta (DE). Le portaelicotteri sono rappresentate dagli Hyuga e Izumo, i lanciamissili dagli Hatakaze, Kongo, Atago e Maya, i multiruolo dagli Hatsuyuki, Asagiri, Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, e i cacciatorpediniere di scorta dagli Abukuma. A queste unità vanno aggiunti i cacciatorpediniere utilizzati come nave scuola, che però conservano l'intero armamento e sono a tutti gli effetti navi da combattimento, e infatti vengono impiegati per il pattugliamento e le esercitazioni. Questi cacciatorpediniere sono inquadrati nel Training Squadron (Renshu kantai) con sede nella base navale di Kure, a cui si è recentemente aggiunto il 19 marzo 2020, anche lo Hatakaze, sostituito dal Maya nella Escort Flotilla 1 (Dai ichi goei taigun). Il Training Squadron è quindi composto dal cacciatorpediniere lanciamissili Hatakaze, dai multiruolo Shimayuki e Setoyuki, e la nave scuola Kashima. Contando anche queste navi, la JMSDF dispone quindi di 51 cacciatorpediniere, fra i quali molti sono di nuova generazione come gli Akizuki e Asahi, e gli Aegis delle classi Atago e Maya, ma anche gli altri hanno ottime prestazioni, come i moderni Murasame e Takanami. In proposito, i cacciatorpediniere multiruolo Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, sono armati con i missili superficie-aria RIM-162 Evolved Sea Sparrow (ESSM) che costituiscono un'eccellente difesa contro i missili antinave supersonici, raggiungendo una velociatà di oltre Mach 4, ed essendo perciò perfettamente in grado di intercettare questo tipo di minaccia. Inoltre, la nuova generazione di cacciatorpediniere Akizuki e Asahi sono dotati di sistemi radar FCS-3A, che sono potenti radar AESA (Active Electronically Scanned Array) al nitruro di gallio, capaci di fornire prestazioni impressionati. Si consideri che questo sistema è superiore all'Aegis per quanto riguarda la scoperta e l'identificazione dei bersagli, la quantità di dati elaborati e la potenza di calcolo, e il numero di missili che possono essere guidati contemporaneamente contro i bersagli. Le caratteristiche dello FCS-3A indicano che il suo raggio d'azione è di 220 km, e ha una capacità di inseguire più di 380 bersagli e di attaccarne contemporaneamente circa 60. I nuovi cacciatorpediniere lanciamissili Maya sono invece dotati dei missili RIM-174 ERAM (Extended Range Active Missile), meglio noti come SM-6, ultima evoluzione della famiglia Standard, realizzati per abbattere i missili balistici a medio raggio come i cinesi DF-21D e DF-26. Le unità della JMSDF hanno quindi una dotazione particolare di armi idonee a controllare lo spazio aereo, e grazie a radar particolarmente avanzati, sono decisamente capaci nell'interdire il cielo ai velivoli nemici, garantendo contemporaneamente anche la protezione dagli attacchi missilistici. Queste caratteristiche sono molto importanti nel contesto della strategia elaborata, come vedremo più avanti, ma c'è anche da segnalare nell'ambito dell'aeronavale, come la JMSDF disponga di una dotazione ragguardevole di aeroplani, idrovolanti ed elicotteri, che la rende certamente molto prestante nel controllo, non soltanto del mare, ma anche del cielo. Un caso particolare riguarda gli aerei da pattugliamento marittimo (in giapponese Taisenshokaiki, in inglese Maritime Patrol Aircraft) da sempre un'eccellenza della JMSDF, che svolgono oltre alle normali funzioni di ricognizione e lotta ai sottamarini, anche un ulteriore ruolo, avendo notevoli capacità di attacco in superficie con i missili antinave, aria-terra, e le bombe guidate. In quest'ultimo caso, sui giornali giapponesi si è molto discusso circa le qualità di bombardiere del nuovo pattugliatore Kawasaki P-1, arrivando addirittura a paragonarlo al bombardiere medio Mitsubishi G3M Nell, noto per le sue imprese durante l'ultima guerra, soprattutto per le sue doti straordinarie di lunga autonomia e buona capacità di carico. In effetti il Kawasaki P-1 ha caratteristiche che ne fanno un ottimo bombardiere, innanzitutto perché è dotato di sensori che permettono di identificare perfettamente il bersaglio, come il radar multifunzione Toshiba HPS-108 (lo stesso adottato sui cacciatorpediniere Asahi), con una portata di 370 km, e il sensore elettro-ottico Fujitsu HAQ-2 FLIR (Forward Looking Infra-Red). L'autonomia è di circa 8.000 km, con un raggio di combattimento di 2.500 km in configurazione armata, e un carico utile massimo di 9.000 kg, che comprende bombe a guida GPS, laser e infrarossa, missili aria-terra AGM-65 Maverick, missili antinave AGM-84 Harpoon e Mitsubishi ASM-1C. Inoltre è in fase di realizzazione un missile antinave specifico per il P-1, ricavato dal mitsubishi Type 17, con una gittata di oltre 300 km. 

Importantissimo è il ruolo che questa flotta aerea di pattugliatori marittimi svolge all'interno della strategia adottata dalla JMSDF, perché riprendendo il concetto della Air-Sea Battle elaborato dagli Stati Uniti, si intendono integrare le capacità di ricognizione, raccolta di informazioni, discriminazione dei bersagli, e controllo del tiro, in modo che i dati siano condivisi da piattaforme diverse e gli attacchi possano provenire da fonti differenti che comunicano fra loro. Questo sistema è chiamato Cooperative Engagement Capability (CEC), in giapponese Kyodokosennoryoku, ed è basato sul controllo di tiro integrato attraverso l'impiego di un sofisticato network-centric warfare, realizzato attraverso l'impiego di mezzi dotati di di sensori e apparati per l'elaborazione dei dati. Il Kawasaki P-1 è dotato di Link 16 e collegamento tattico MIDS-LVT (Multifunctional Information Distribution System- Low Volume Terminal) che permette lo scambio di informazioni con i caccia F-15J ed F-35, e gli aerei radar E-767, e di collaborare con le nuove unità navali fornite di CEC, come i cacciatorpediniere Atago e Maya, e le fregate 30FFM. Un esempio concreto può far comprendere l'utilità e l'effetto di moltiplicatore di forze del CEC. Un aereo in ricognizione, come un P-1, può identificare un bersaglio, comunicarne la posizione a un cacciatorpediniere che provvede a lanciare un missile guidato dal data-link, e attraverso le informazioni fornite dal ricognitore, arrivare a colpire il target anche se è fuori dalla portata dei sensori della nave. Ciò diventa estremamente vantaggioso nel caso di navi armate con missili a lungo raggio come gli SM-6, con la possibilità di un uso duale antiaereo e antinave, ma è utile anche con i meno prestanti SM-2, e micidiale con i nuovi missili antinave Type 17 che posseggono una gittata di oltre 300 km. 


Il concetto di Multidimensional Joint Defense Force

Il principio della Cooperative Engagement Capability (CEC), che è il pilastro della Naval Intgrated Fire Control - Counter Air (NIFC-CA) sviluppato dall'US Navy, ha influenzato tantissimo la strategia elaborata dalla JMSDF, ma l'idea di integrazione fra le forze armate sta diventando basilare in questi decenni che hanno visto l'elaborazione di complesse concezioni dell'impiego dello strumento militare. Il passaggio a questa idea nella dottrina è stato graduale, ma recentemente ha subito una drastica accelerazione a causa delle tensioni geopolitiche. 

Le National Defense Program Guidelines del 1976 prevedevano per il Giappone soltanto una Basic Defense Force (Kibanteki boei ryoku), ma nel 2010 l'esecutivo di Naoto Kan introdusse il concetto di Dynamic Defense Force (Doteki boei ryoku), a quel tempo assolutamente rivoluzionario per il paese del Sol Levante. Eppoi, le National Defense Program Guidelines del 2013, elaborate dal governo di Shinzo Abe, svilupparono il concetto ancora più ambizioso di Dynamic Joint Defense Force (Togo kido boei ryoku). Questa dottrina spinge fino all'estremo l'idea di elevata mobilità e azione congiunta tra forze terrestri, navali e aeree. Per la realizzazione di un simile obiettivo sono necesssari nuovi e differenti mezzi militari dotati di prestazioni particolari, e il completo rinnovamento delle procedure operative. Infine nelle National Defense Program Guidelines del 2018 si è ulteriormente elaborato il concetto con l'idea di una Multidimensional Joint Defense Force, ossia un sistema integrato di difesa che considera lo spazio cosmico e la dimensione cibernetica e informatica della rete come parti integranti delle forze di difesa terresti, navali e aeree. Per sostenere concretamente questa prospettiva, decisamente innovativa, si è provveduto alla creazione di un'unità spaziale chiamata Uchu sakusen tai (Space Operations Squadron), operativa dal maggio 2020. Ma il potere di controllo dello spazio non viene esercitato soltanto dalle basi spaziali, dai centri di comando, e dalle postazioni di antenne, ubicati in località sulla terraferma, al contrario, è diventato una pertinenza anche delle navi da combattimento che interagiscono con lo spazio in diversi modi, per esempio con il sistema di comunicazione satellitare, il sistema di navigazione, i sistemi di electronic warfare (EW) ed electronic support (ESM), di signals intelligence (SIGINT) ed electronics intelligence (ELINT), e infine con l'attività missilistica. In quest'ultimo caso, il missile SM-3 impiegato dalle navi Aegis, ha dimostrato di possedere capacità antisatellite quando il 14 febbraio 2008 ha abbattuto il satellite USA-193 che era in avaria. L'ultima versione denominata SM-3 Block IIA è in grado di raggiungere un'altitudine di 1.000 km, e ciò costituisce un dato decisamente impressionate che lo rende, a tutti gli effetti, una cosiddetta "arma spaziale". Ricordiamo inoltre che la JMSDF dispone di una propria rete satellitare chiamata Superbird, costituita da satelliti geostazionari, fra i quali anche il DSN-1 e DSN-2 prodotti da Mitsubishi Electric. Il lancio di questi satelliti è avvenuto utilizzando i vettori europei Ariane 4 e 5, e il giapponese H2A. Quest'ultimo è un ottimo razzo della vasta gamma di vettori nipponici a disposizione del paese, che garantiscono anche una certa autonomia nel settore spaziale. 

Il quadro che abbiamo raffigurato dovrebbe fornire una delucidazione su come le navi siano diventate molto di più che semplici mezzi galleggianti adatti alla navigazione, bensì costituiscano delle avanzate piattaforme mobili dotate delle tecnologie più sofisticate, con sensori e missili all'avanguardia, capaci di esercitare il controllo dello spazio aereo e oltre, arrivando fino all'esosfera (al di sopra dei 500 km). In conclusione, le navi da combattimento attuali hanno davvero realizzato l'integrazione del campo di battaglia, con l'unificazione di terra, mare e cielo, e sono effettivamente concepite per combattere una guerra multidimensionale. 


Strategie e battaglie

I luoghi, dove adesso si minacciano nuove battaglie, sono stati in passato lo scenario delle più cruenti battaglie navali della Seconda Guerra Mondiale, ed è perciò opportuno ricordare quali furono le strategie e gli scontri, perché ciò può fornire utili suggerimenti circa le modalità di un conflitto nell'Oceano Pacifico. Infatti, la Marina Imperiale del Giappone (Dai Nippon Teikoku Kaigun) e l'US Navy, insieme ad altri alleati come la Royal Navy e la Royal Australian Navy, furono impegnate in una complessa guerra che impiegò migliaia di mezzi su un'enorme vastita di mari e oceani, dal nord presso le isole Aleutine al sud fino all'Australia, dall'ovest nell'Oceano Indiano a est spingendosi fino alle coste della California. L'immensità del conflitto, per le difficoltà delle operazioni e la grandiosità degli epici scontri, fa apparire quasi ridicole le scaramucce nel Mar Cinese Meridionale (soprattutto se si considera che i cinesi posseggono soltano due portaerei ). All'inizio della guerra e fino al 1943, i giapponesi condussero operazioni offensive (shinko sakusen), per passare poi, a causa della carenza di mezzi, a operazioni difensive (yogeki sakusen). In questa fase iniziale della guerra, nello Stato maggiore della Marina Imperiale vi erano diverse opinioni sulle modalità con cui si sarebbe dovuto affrontare il nemico. Vi erano infatti due strategie, una ispirata al concetto di "battaglia decisiva fra flotte" (kantai kessen), e l'altra alla "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen). Il termine giapponese kessen è composto dalle parole ketsu (decisivo) e tatakai (combattimento), e indica quindi una battaglia decisiva con la quale si determinao le sorti della guerra. Il caso emblematico è la battaglia di Tsushima (27-28 maggio 1905), che portò alla conclusione della Guerra russo-giapponese. Invece, la zengen sakusen era una strategia con operazioni d'attrito che miravano a indebolire il nemico con la graduale riduzione della sua potenza. Per fare ciò era favorito l'impiego di navi veloci come incrociatori e cacciatorpediniere armati di siluri, in grado di compiere attacchi fulminanti e creare scompiglio, anche a danno delle unità più grandi. Esempi di kantai kessen (battaglia decisiva) furono la battaglia di Midway (4-6 agosto 1942), che doveva portare allo scoperto le portaerei americane, ma vide rovesciarsi rovinosamente l'andamento dello scontro, e la battaglia di Leyte (23-26 ottobre 1944), che doveva stringere in trappola la flotta americana, ma si risolse nell'annientamento totale delle navi giapponesi in quella che fu la più grande battaglia aeronavale della storia. Invece un esempio lampante di zengen sakusen (riduzione graduale) fu la battaglia dell'isola di Savo (8-9 agosto 1942), dove vennero affondati 4 incrociatori alleati senza nessuna perdita da parte giapponese, in uno scontro notturno condotto con grande abilità e perizia. 

Ritornando all'attualità, vediamo come in caso di guerra le navi cinesi vorrebbero impegnare quelle giapponesi in punti diversi per distrarle e impedirle di concentrarsi nelle zone delle operazioni anfibie e di sbarco nelle isole meridionali delle Ryukyu (in particolare le Sakishima), e queste sarebbero le azioni preliminari per un'occupazione stabile. Tuttavia questa dispersione di navi non tiene in considerazione il controllo dello spazio aereo, e come le attività marittime siano fortemente condizionate dalla limitazione della libertà di movimento provocata dalle azioni delle forze aeree avversarie. Se consideriamo inoltre la potente capacità antinave dei velivoli giapponesi, sia della JASDF che della JMSDF, c'è da ritenere inopportuna una penetrazione in profondità nei mari controllati dal Giappone, perché così l'esposizione agli aerei che partono da terra aumenterebbe in modo pericolosissimo. Anche l'idea di poter impegnare un grande numero di navi per piegare l'avversario è altrettanto pericolosa e potenzialmente catastrofica. Quando l'Impero Cinese dominato dai mongoli di Kubilai Khan tentò nel 1281 un'invasione del Giappone, poteva contare su un'immensa flotta davvero impressionante per la grandezza. Questa gigantesca flotta era composta da 4.400 navi e 142.000 uomini, e si trattava di una delle più grandi forze navali di tutti i tempi, organizzata e costruita da abili carpentieri cinesi e coreani. L'invasione però fallì perché lo sbarco e la successiva avanzata terrestre furno bloccati ad Hakata (nella battaglia di Koan, giugno-agosto 1281) dove gli invasori furono sconfitti e fermati. Le navi che dovevano supportare l'occupazione si trovarono in estrema difficoltà perché non potevano procedere e completare gli sbarchi, rimanendo in balìa degli eventi, e subendo il peggioramento delle condizioni meteorologiche affondarono a causa dei tifoni. Fu una catastrofe di immense dimensioni che segnò la storia della Cina per sempre, tanto da impedirle in seguito qualsiasi progetto di occupazione del Giappone. 

Anche attualmente le isole del  Giappone sono presidiate da soldati pronti a respingere un tentativo di invasione, e in particolare sulle Ryukyu si trovano le batterie di missili antinave Mitsubishi Type 12 SSM e antiaerei Mitsubishi Type 03 Chu-SAM, e inoltre ci sono anche batterie antibalistiche PAC-3 Patriot, insieme a migliaia di uomini ben armati e organizzati adeguatamente. Perciò le forze di invasione cinesi rischiano seriamente di rimanere vittime della "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen), perdendo lentamente un gran numero di navi. 


La distributed lethality 

La nuova strategia adottata da US Navy e US Marine Corps per rinsaldare la supremazia sui mari è stata chiamata distributed (letalità distribuita), e intende porre rimedio alle criticità emerse a causa della sempre crescente aggressività cinese nell'Oceano Pacifico. La distributed lethality dovrebbe garantire un aumento del potere marittimo semplicecemente incrementando le capacità offensive di ogni singola unità di superficie, e fornendo armamenti altamente distruttivi oltre che agli incrociatori e ai cacciatorpediniere, anche alle navi da combattimento costiere (Littoral Combat Ship), alle navi anfibie e alle imbarcazioni logistiche. Inoltre le unità formerebbero dei gruppi chiamati SAG (Surface Action Group), che essendo più piccoli e meglio disseminati sarebbero un bersaglio più difficile e arduo da colpire. Fra le novità comportate da questa strategia c'è anche la trasformazione delle navi anfibie in portaerei leggere dotate di una componente aerea costituita da F-35B. L'esempio di questa nuova tipologia di nave è la classe America, di cui fanno parte la capoclasse America e la Tripoli, e di cui è pianificata la costruzione di ben 11 unità. Ciò significa che l'US Navy non disporrà soltanto delle super-carrier della classe Numitz e Gerald Ford, ma avrà anche la possibilità di impiegare portaerei più piccole, ma comunque micidiali grazie alla categoria di aerei imbarcati, ossia i cacciabombardieri stealth di quinta generazione F-35B. Se questa strategia può apparentemente sembrare insufficiente e limitata, si deve però prendere in considerazione la reale capacità operativa della Marina Cinese, mettendo da parte le dichiarazioni propagandistiche del regime. Innanzitutto la composizione della flotta cinese risente ancora di un'organizzazione frettolosa che vede una prevalenza delle meno dotate fregate rispetto ai cacciatorpediniere (che sono soltanto 33), e quest'ultimi con la presenza di molti modelli vecchi e osoleti (fra cui i Sovremenny) o meno evoluti (come i Type 051). Viceversa l'US Navy ha molte più navi grandi e prestanti, tra cui 22 incrociatori Ticonderoga, 67 cacciatorpediniere Arleigh Burke, e 3 Zumwalt. Un aumento delle capacità delle unità più piccole porterebbe quindi a un vantaggio attualmente non ancora sfruttato. Il potenziamento delle LCS (Littoral Combat Ship) potrebbe facilmente permettere di eguagliare le numerose fragate cinesi, liberando così nel contempo i più grandi e potenti cacciatorpediniere. 

Un discorso particolare meritano invece le 2 portaerei denominate Type 001 e Type 001A. La Liaoning è la portaerei Type 001, che non è altro che la vecchia nave sovietica Varyag della classe Kutznetsov, varata nel 1988, e acquistata in Ucraina in maniera rocambolesca da una socieà cinese di copertura. Trasferita in Cina nei cantieri di Dalian nel 2000, ha dovuto subire interventi di riparazione e lavori di completamento, anche e soprattutto a causa delle pessime condizione in cui era giunta, e allla situazione di abbandono che ne aveva provocato il grave deterioramento. Fra i problemi tecnici che affliggono la Liaoning c'è l'apparato propulsivo costituito da 8 vecchie caldaie che generano vapore per 4 turboriduttori, con una soluzione che non è particolarmente efficiente e moderna, e spesso poco affidabile a causa dell'osolescenza degli apparati originali. Le caldai a vapore forniscono comunque una potenza di 200.000 cv, sufficiente per la grossa mole di 53.000 t di dislocamento standard, che raggiunge fra 60.000 e 66.000 t a pieno carico. La portaerei Liaoning può imbarcare 26 caccia Shenyang J-15 e 14 elicotteri, tuttavia il sistema di decollo e appontaggio costituisce un altro problema, essendo uno STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery) che utilizza un grosso trampolino (ski-jump) posto a prua con un'inclinazione di 14° gradi. La principale carenza riguarda appunto i caccia Shenyang J-15, che hanno caratteristiche e prestazioni decisamente scadenti. Lo Shenyang J-15 è una versione cinese del Sukhoi Su-33, che a causa delle grosse dimensioni, del peso eccessivo, e della scarsa potenza dell'apparato propulsivo, è costretto a gravi limitazioni per consentire il decollo dal trampolino delle portaerei. Ciò significa che per contenere il peso, e favorire quindi il decollo, viene imbarcato poco combustibile e meno armamenti. Questa situazione è chiaramente visibile con l'osservazione dei J-15 che decollano dalle portaerei con pochi missili, che sono veramente ridotti all'essenziale. Secondo alcune fonti locali cinesi, in queste condizioni lo Shenyang J-15 avrebbe un raggio di combattimento limitato a soli 120 km, un valore decisamente basso che ne compromette l'operatività, riducendone al minimo le capacità offensive. 

Ciò significa che la Type 001, e la sua copia Type 001A, sono nettamente inferiori alle navi anfibie della classe America riconfigurate come portaerei leggere, non soltanto perché quest'ultime impiegano caccia stealth di quinta generazione, ma per le prestazioni complessive, l'affidabilità, e l'efficacia di impiego.  Gli F-35Bhanno un raggio di combattimento di 935 km, e un carico utile di armamento di 6.800 kg. Le America possono trasportare da 16 a 20 di questi aerei, e nelle esercitazioni si è visto fino a 13 F-35B schierati contemporaneamente sul ponte di volo. Attualmente la capoclasse America si trova schierata nella base navale di Sasebo, presso Nagasaki, nel sud del Giappone, pronta a contrastare la Liaoning e la Shandong. La strategia della distributed lethality non riguarda solo le navi, ma interesserà anche l'organizzazione delle basi aeree e navali, come sta accadendo a Guam. Infatti, l'isola di Guam non ospiterà più i bombardieri strategici dell'USAF in maniera permanente, ma li sposterà a rotazione fra le basi aeree della regione, e così anche l'isola di Wake si sta adeguando con la costruzione di una nuova pista e il rafforzamento delle infrastrutture. L'idea è di non fornire facili obiettivi concentrando le forze in pochi punti, ma viceversa si persegue lo scopo è di mettere in difficoltà l'avversario costringendolo a scegliere fra numerosi obiettivi, e disperdendo così la sua potenza di fuoco. Forse non è superfluo osservare che parte di questa strategia riprende e rivaluta l'esperienza della sanguionosa Guerra del Pacifico (1941-1945), e ripropone quanto fatto in quel contesto aggiornandolo ai nostri tempi. 


Tradizione e innovazione dell'aeronavale indiano

Non vedere che l'Asia è composta da tanti e diversi paesi sembrebbe, come accennato all'inizio, un disturbo che purtroppo colpisce molti analisti. Per questo motivo considerare lo scontro fra Cina e Stati Uniti in maniera univoca è assolutamente fuorviante, perché ciò che si sta affermando non è un bipolarismo fra superpotenze, ma invece un multipolarismo caotico fra potenze grandi, medie e piccole. L'india, che è indiscutibilmente un gigante dell'Asia, in questo contesto svolge quindi un ruolo fondamentale, e soprattutto per l'importanza della sua forza aeronavale che avrà un ruolo sempre più consistente nei rapporti di potere marittimo.  

Un'eccellenza della forza aeronavale indiana è rappresentata dalla portaerei Vikramaditya, ex Admiral Gorshkov della classe Kiev, venduta dalla Russia nel gennaio 2004, ricostruita e modificata, e poi entrata in servizio il 14 giugno 2014. Con un dislocamento a pieno carico di 45.000 t, lunga 283 m e larga 60 m, può imbarcare fino a un massimo di 35 velivoli, fra cui i caccia Mikoyan-Gurevich MiG-29K Fulcrum e gli elicotteri Kamov Ka-31 e Ka-28. Un'altra portaerei, la nuova Vikrant (da non confondere con una precedente unità con lo stesso nome), è stata varata il 12 agosto 2013, ed entrerà in servizio verso il 2023. Lunga 262 m, con un dislocamento di circa 40.000 t, permetterà di impiegare fino a 40 velivoli. Si parla molto poco delle portaerei indiane, mentre le equivalenti unità cinesi ricevono un'attenzione spesso spropositata dalla stampa, come nel caso della modesta Liaoning. Al contrario, le portaerei indiane presentano soluzioni più moderne, come l'impiego dei MiG-29K, adottati su suggerimento russo, che dovrebbero costituire una valida alternativa al Su-33, essendo molto più leggeri e versatili (ciò permetterebbe il superamento dei problemi al decollo di cui abbiamo parlato a proposito della Liaoning). Le versioni più recenti del MiG-29, come i modelli Mig-29M e MiG-29K, hanno avuto una riprogettazione di quasi un terzo della cellula, e sono così un aereo molto diverso e più prestante, a cui si aggiunge una strumentazione e avionica molto più avanzata.    

La Marina Indiana (Bharatiya Nau Sena) ha anche un'esperienza molto più lunga e una migliore preparazione, potendo vantare l'impiego della Viraat dal 1987 al 2017, con i cacciabombardieri Sea Harrier, e ancora prima con la vecchia e gloriosa Vikrant, entrata in servizio nel 1961 e radiata nel 1997, divenuta famosa durante la guerra con il Pakistan nel 1971, grazie alle operazioni dei suoi caccia Hawker Sea Hawk. Sulla base di questi fatti storici, si può affermare che l'aeronavale indiano non va affatto sottovalutato, anzi rappresenta senza dubbio una spina nel fianco della Marina Cinese, e delle sue pretese espansionistiche. Tuttavia l'aspetto più geniale della politica di potenza navale dell'India è rappresentata da un'alleanza con il Giappone che sta diventando geopoliticamente sempre più importante, soprattutto  perché realizza una tenaglia che stringe ai lati la Cina, che viene così schiacciata a Oriente dal Giappone e a Occidente dall'India. Ricordiamo brevemente in che cosa consiste questa cooperazione militare che ridisegna i rapporti di forza in Asia: il Giappone e l'India hanno stipulato un accordo chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India, firmato il 22 ottobre 2008 a Tokyo dal primo ministro giapponese Taro Aso e dall'omologo indiano Manmohan Singh. Questo accordo prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, la collaborazione dell'intelligence con lo scambio di informazioni, e possibilmente il sostegno e la compartecipazione ad attività e programmi nel settore dell'industria militare. Come è stato evidenziato in precedenza, l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e queste attività bilaterali hanno assunto sempre di più un ruolo considerevole. Le esercitazioni navali congiunte fra Giappone e India sono chiamate JIMEX (Japan-India Maritime Exercise), e si svolsero per la prima volta il 9-12 giugno 2012 nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, con l'impiego dei cacciatorpediniere giapponesi Ariake e Setogiri, e quattro navi indiane, il cacciatorpediniere Rana, la fregata Shivalik, la corvetta Karmukh e il rifornitore Shakti, inoltre partecipò anche l'aviazione navale nipponica con i pattugliatori P-3C Orion e vari elicotteri. L'esercitazione JIMEX 13 si è svolta l'anno seguente, a Chennai nel golfo del Bengala, il 19-22 dicembre 2013, con la fregata Satpura, il cacciatorpediniere Ranvijay e la corvetta Kuthar. L'esercitazione più recente è stata la JIMEX 18, svoltasi il 7-15 ottobre 2018, a Visakhapatnam, nel sud dell'India, con un dispiegamento di forze notevole che comprendeva la portaeromobili giapponese Kaga, il cacciatorpediniere multiruolo Inazuma, e la fregata indiana Satpura, la corvetta Kadmat e il rifornitore Shakti. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico, stringendo una collaborazione sempre più fruttuosa e importante. Recentemente si è assistito a un'altra prova concreta di questa collaborazione con l'esercitazione congiunta PASSEX (PASSing EXercise) svoltasi il 27 giugno 2020 presso lo stretto di Malacca, a cui hanno partecipato i cacciatopediniere giapponese Shimayuki e la nave scuola Kashima, e per la parte indiana il cacciatorpediniere Rana e la corvetta Kulish. Questo rappresenta il quindicesimo addestramento congiunto fra i due paesi negli ultimi tre anni, dimostrando un'intensità ormai considerevole. Inoltre, l'esercitazione ha anche costituito un segnale politico chiaro, dopo l'incidente alla frontiera presso la valle di Galwan (15 giugno 2020), con lo scontro fra truppe cinesi e indiane. In proposito il governo giapponese ha espresso ufficialmente la sua solidarietà all'India, e le condoglianze per i 20 soldati indiani morti, con una presa di posizione netta e insolita, che ha ignorato qualsiasi tentativo di mediazione e dialogo diplomatico. Possiamo osservare come ciò sia un atteggiamento tipico della nuova fase da Guerra Fredda in cui ci troviamo, ed è un segnale innegabile del nuovo corso della storia. 


Il controllo del mare e il pensiero strategico

Indubbiamente nell'ultimo decennio la Cina ha introdotto un nuovo concetto di potere navale, trasferendo l'idea di controllo territoriale anche al mare secondo modalità inconsuete, che apparentemente sembrerebbero una palese esibizione di forza, ma che secondo alcuni nasconderebbero una grave inesperienza. In effetti, i cinesi non hanno mai vinto una battaglia navale nella loro straordinaria storia millenaria, anzi hanno subito cocenti sconfitte. Innanzitutto ricordiamo la catastrofica spedizione del 1281, con la perdita di una immensa flotta di 4.400 navi che tentarono l'invasione del Giappone, ma ancora più importante è la Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), che vide affrontarsi le flotte dei due paesi. Ciò che mancò ai cinesi in quell'occasione non fu la potenza e il numero di navi, bensì l'addestramento. Al contrario, i giapponesi (in particolare il feudo di Satsuma), avevano appreso dagli inglesi le tecniche più avanzate di combattimento navale, ed erano in grado di applicarle correttamente, ed è ciò che condusse alla vittoria nipponica della battaglia dello Yalu (17 settembre 1894). 

Attualmente la strategia navale cinese sembra ridursi a una politica di potenza basata su un gran numero di navi pesantemente armate. Tuttavia la storia insegna che le battaglie navali non sono necessariamente vinte da chi ha più navi e armamenti, ma da chi li usa meglio. L'esempio classico è ovviamente la sconfitta della Invencible Armada di Filippo II, distrutta nel 1588 dalle meno numerose navi inglesi di Elisabetta I, ma meglio organzizzate e guidate da una strategia precisa. 

In conclusione, se dovessimo chiedere a un esperto militare quale sia la strategia cinese per il controllo del mare, ci verrebbe sicuramente ricordata la militarizzazione delle isole (la cosiddetta "collana di perle"), la creazione della A2/AD (Anti-Access/Area Denial), e lo schieramento dei missili balistici antinave, ma sull'uso delle navi e della strategia navale non saprebbe dirci niente perché i cinesi in realtà considerano le navi soltanto numericamente, stimando la forza come una mera questione di quantità. Per questo motivo la strategia navale gli appare come un inutile orpello del pensiero occidentale, e quest'ultimo è continuamente disprezzato dal regime. Semplicente i cinesi stanno applicando sul mare una strategia continentale, puramente terrestre, basata sull'ampliamento territoriale. Non vi è perciò alcuna concezione e sensibilità nei confronti della strategia navale. Però questa mancanza di pensiero strategico autenticamente marittimo potrebbe rivelarsi fatale, rivelando una carenza esiziale tenuta ben nascosta. 



   

 

Il dominio dello spazio aereo del Giappone

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". 

Cfr. Cristiano Martorella, Il dominio dello spazio aereo del Giappone, in "Panorama Difesa", n. 398, anno XXXVIII, luglio 2020, pp. 62-75.   




Il dominio dello spazio aereo del Giappone 

La Forza di Autodifesa Aerea nipponica è proiettata verso un ampio processo di rinnovamento che prevede la formazione di nuovi reparti e l'acquisizione di innovative capacità prima impensabili. 

di Cristiano Martorella 


La questione del dominio dello spazio aereo è un argomento sensibile nel Paese del Sol Levante, essendo risaputo che chi domina i cieli controlla anche il campo di battaglia. Questo principio non sfugge certo neanche allo Stato Maggiore della Forza di Autodifesa Aerea, in giapponese Koku Jieitai, e infatti in questi anni ha sostenuto con decisione il rinnovamento della linea di aerei da combattimento, introducendo contestualmente un cambiamento delle tattiche, delle procedure e dell'impiego dei mezzi. Chiamata più spesso col suo nome in inglese, la JASDF (Japan Air Self-Defense Force) si presenta quindi come una forza armata impegnata in una profonda riorganizzazione, anche concettuale, che sta richiedendo non solo uno sforzo economico considerevole (si pensi all'acquisto degli F-35), ma anche un impegno di vasta portata che implica una riconsiderazione del modus operandi, e l'elaborazione di una dottrina militare all'altezza delle sfide del XXI secolo. 


L'organizzazione della JASDF

Creata il 1° luglio 1954, l'aeronautica militare del Giappone è una delle tre componenti delle Forze di Autodifesa (Jieitai), che in precedenza non esisteva come entità a sé stante, perché l'Esercito e la Marina Imperiale avevano ciascuno una propria aviazione. Attualmente la JASDF conta un numero di 46.936 effettivi, e una dotazione di circa 805 aeromobili. I dodici reparti da caccia, chiamati Tactical Fighter Squadron, sono equipaggiati con 304 aerei che possiamo così elencare in dettaglio: 155 F-15J (di cui 68 F-15J Kai), 45 F-15DJ (di cui 34 F-15DJ Kai), 62 F-2A, 25 F-2B, 17 F-35A (questi dati sono aggiornati al marzo 2020). I 304 caccia giapponesi sono così distribuiti in 7 Air Wing (Kokudan), articolati a loro volta in 12 Tactical Fighter Squadron (Hikotai), a cui si aggiungono altri 2 Air Wing impiegati per l'addestramento. La Northen Air Defense Force è composta dal 2nd Air Wing costituito dal 201st Tactical Figther Squadron e 203rd Tactical Fighter Squadron con gli F-15J/DJ sulla base di Chitose a Hokkaido, e dal 3rd Air Wing con il 301st e 302 nd Tactical Fighter Squadron dotati di F-35A, presso la base di Misawa ad Aomori; la Central Air Defense Force con il 6th Air Wing  composto dal 303rd e 306 Tactical Fighter Squadron di F-15J/DJ a Komatsu nella prefettura di Ishikawa, e dal 7th Air Wing con il 3rd Tactical Fighter Squadron  di F-2A/B a Hyakuri nella prefettura di Ibaraki; la Western Air defense Force è formata dal 5th Air Wing con il solo 305th Tactical Fighter Squadron di F-15J/DJ a Nyutabaru sull'isola di Kyushu, e l'8th Air Wing con il 6th e 8th Tactical Fighter Squadron di F-2A/B a Tsuiki presso Fukuoka; infine la South Western Air Defense Force è rappresentata dal 9th Air Wing con il 204th e 304th Tactical Fighter Squadron di F-15J/DJ a Naha sull'isola di Okinawa. A questi 7 Air Wing dedicati puramente alle attività di intercettazione e interdizione svolte dai caccia, si aggiungono altri 2 Air Wing, precisamente il 1st Air Wing con il 31st e 32nd Training Squadron di T-4 ad Hamamatsu, e il 4th Air Wing con l'11th Squadron "Blue Impulse" (pattuglia acrobatica nazionale) e il 21st Fighter Trainnig Squadron (dotato di caccia F-2B), entrambi a Matsushima nella prefettura di Miyagi. Un caso particolare riguarda invece il 23rd Fighter Trainig Squadron (Dai nisan hikotai) che non fa parte di un Air Wing indicato con un numero, ma del Tactical Fighter Training Group (Hiko kyoku kokutai), ed è dotato di F-15J/DJ operativi sulla base di Nyutabaru nella prefettura di Miyazaki. Un'altra eccezione riguarda anche gli F-15J/DJ dello Hiko kyodogun, un "adversary squadron" che svolge l'attività di Aggressor Group per l'addestramento e lo sviluppo di tattiche di combattimento, che fa parte dell'Air Tactis Development Wing, ed è schierato sulla base aerea di Komatsu. 

La JASDF ha anche una dotazione cospicua di aerei radar, rappresentata da 4 Boeing E-767, 13 Grumman E-2C Hawkeye, e 3 Northrop Grumman E-2D Advanced Hawkeye (l'ordinativo completo prevede un'acquisto di 13 E-2D). L'Airborne Early Warning Group può contare quindi su 3 squadron, ossia il 601st Squadron di Misawa ad Aomori con gli E-2C/D, il 602nd Squadron di Hamamatsu con gli E-767, e il 603rd Squadron di Naha a Okinawa con gli E-2C. 

Per il rifornimento in volo sono disponibili 4 Boeing KC-767, e 2 Lockheed KC-130 Hercules, ma altri 4 esemplari di Boeing KC-46 Pegasus sono stati già ordinati, e saranno presto consegnati. Attualmente i KC-767 sono in servizio nel 404th Tactical Airlift Squadron con base a Komaki nella prefettura di Aichi. 

La JASDF svolge anche un importante servizio di trasporto aereo, divenuto fondamentale con la creazione delle Rapid Deployment Forces istituite dalla JGSDF (Japan Ground Self-Defense Force). Per questi compiti esistono il 1st/2nd/3rd Tactical Airlift Group. In particolare, ricordiamo 1st Tactical Airlift Group con il 401st Squadron a Komaki, che impiega i cargo C-130H, il 2nd Tactical Airlif Group con base a Iruma presso Saitama, con il 402nd Squadron dotato dei Kawasaki C-1, e il 3rd Tactical Airlift Group con il 403rd Squadron a Miho nella prefettura di Tottori, che ha già effettuato la conversione con i nuovissimi Kawasaki C-2. 

Adibiti alla guerra elettronica e allo spionaggio sono l'Electronic Warfare Squadron (Denshi senkun renshienki) con gli EC-1 e gli YS-11EA, presso la base di Iruma,  e l'Electronic Intelligence Squadron (Denshi soku teiki) con gli YS-11EB, anch'esso sulla base di Iruma. 

Una novità nell'organizzazione della JASDF riguarda la creazione di un nuovo Tactical Fighter Squadron, che porterebbe a 13 gli squadron da caccia. Il nuovo reparto nascerebbe dalla radiazione degli RF-4E ed RF-4EJ (versione da ricognizione ottenuta modificando gli F-4EJ già in servizio) che erano operativi nel 501st Tactical Reconnaissance Squadron sulla base di Hyakuri, nella prefettura di Ibaraki nei pressi di Tokyo. Il 501st ha cessato l'attività il 26 marzo 2020, ed è attesa l'entrata in servizio nel 2021 dell'aeromobile a pilotaggio remoto Northrop Grumman RQ-4 Global Hawk, destinato a sostituire gli aerei da ricognizione. L'RQ-4 è in grado di fornire prestazioni nettamente superiori, grazie a un'autonomia di 36 ore (equivalenti a 22.780 km), una tangenza di 20.000 metri, e l'impiego di un radar ad apertura sintetica e camere a infrarossi (EO/IR). I sensori gli permettono di sorvegliare un'area di circa 100.000 chilometri quadrati durante una singola missione, ed è quindi più simile a un Lockheed U-2, fornendo perciò alla JASDF un salto qualitativo notevole. I piloti del 501st Squadron potrebbero essere quindi utilizzati per formare il nuovo reparto da caccia, basato su alcuni dei 147 F-35 che sono in fase di acquisizione. Negli anni '90 la JASDF era la forza aerea più potente in Estremo Oriente, sia per il numero consistente dei velivoli della sua flotta aerea, sia per la modernità e potenza dei mezzi impiegati, e oggi si vuole ritornare a quei giorni gloriosi rinnovando adeguatamente l'aeronautica con l'introduzione in servizio dei nuovi caccia di quinta generazione. 


La disposizione delle basi aeree

Un discorso particolare merita la disposizione delle basi aeree, che in Giappone sono numerose e distribuite su un lungo e ampio territorio. Come appare evidente dalla sua conformazione geografica, l'arcipelago nipponico si estende per migliaia di chilometri, dal nord-est del freddo siberiano nell'isola di Hokkaido fino al sud-ovest nelle profondità dei mari tropicali delle isole Ryukyu. L'estensione geografica del Giappone, costituito da ben 6.852 isole, non si limita soltanto alle terre emerse, ma implica anche il controllo di ampie zone di mare. Ciò ha sempre comportato gravi implicazioni militari, fin dal XIX secolo, quando apparve evidente che il Giappone poteva sopravvivere come nazione unicamente diventando una grande potenza navale, e puntualmente è quanto avvenne nel Novecento, e si ripropone anche adesso con la corsa al riarmo nell'Oceano Pacifico. Tuttavia la difesa aerea delle isole richiede pure una presenza locale dell'aeronautica, e le basi militari sono dunque fondamentali. L'esistenza di numerose e diverse basi aeree, localizzate in punti molto distanti fra loro, costituisce una difficoltà per chi vuole attaccare il Giappone perché non si può garantire una immediata e completa distruzione di tutti gli aeroporti e le strutture militari della JASDF, o almeno ciò risulta davvero impegnativo e rischioso. Vedremo questo argomento più avanti, adesso limitiamoci a elencare le basi aeree più importanti, per averne almeno una conoscenza indicativa. 

Sull'isola di Hokkaido, la più settentrionale del Giappone, troviamo la base aerea di Chitose, con due piste in cemento lunghe 3.000 m e 2.700 m. Nella parte settentrionale dell'isola di Honshu, nella prefettura di Aomori, c'è la base aerea di Misawa, che ospita oltra ai reparti della JASDF, anche il 35th Air Wing dell'USAF, con il 13th e 14th Fighter Squadron di F-16C/D. Un impianto più piccolo si trova invece ad Akita, nella regione del Tohoku, con un aeroporto dotato di una pista di 2.500 m. Sempre nel Tohoku (regione settentrionale di Honshu), si trova la base di Matsushima con due piste da 2.700 e 1.500 m. La base di Niigata è più modesta, e ha due piste da 2.500 m e 1.300 m. Più importante è invece la base aerea di Komatsu nella prefettura di Ishikawa, con una pista di 2.700 m. Molto famosa è la base di Hyakuri che è posizionata presso la città di Omitama, nella prefettura di Ibaraki, nella regione del Kanto, poco distante da Tokyo. I motivi della notorietà della Hyakuri Air Base sono indubbiamente attribuibili all'attività dei fotografi appassionati, che immortalavano gli F-4EJ Phantom particolarmente attivi sulla pista. Poco distante si trova anche la base aerea di Iruma, presso la città di Sayama, nella prefettura di Saitama. Nei pressi della città di Yaizu, nella prefettura di Shizuoka, c'è la piccola base aera di Shizuhama, dove si svolgono attività addestrative. Nella stessa prefettura di Shizuoka, nei pressi del monte Fuji, c'è la base aerea di Hamamatsu, nell'omonima città, dotata di una pista di 2.550 m. Storicamente la base di Hamamatsu ha una certa importanza, essendo stata creata nel 1925 dall'Esercito Imperiale, ed essendo quindi fra le prime del paese. Ancora sull'isola di Honshu, nella prefettura di Aichi, è localizzata la base aera di Komaki, nei pressi di Nagoya. La base aerea di Gifu, presso la città di Kakamigahara, è impiegata dall'Air Development and Test Wing (Hikokaihatsu jikken dan), che ha il compito di sperimentare i prototipi dei nuovi velivoli e l'integrazione dei nuovi armamenti sui modelli già esistenti. La base aerea di Miho è posta presso la città di Yonago, nella prefettura di Tottori sull'isola di Honshu, ed è dotata di una pista di 2.500 m. Nella prefettura di Yamaguchi, nella zona meridionale di Honshu, presso la città di Hofu, si trova la base aerea di Hofu Kita, con due piste, una di 1.180 m e l'altra di 1.480 m. Nell'isola meridionale di Kyushu, è localizzata la base aerea di Ashiya, con una pista di 1.640 m, adibita all'addestramento. Nei pressi di Fukuoka, sempre sull'isola di Kyushu, si trova la base aerea di Kasuga. Molto importante è invece la base aerea di Tsuiki, che sempre nella prefettura di Fukuoka, offre una pista di 2.400 m, utilizzata dai cacciabombardieri F-2A. Altrettanto nota è la base aerea di Nyutabaru, presso la città di Shintomi, nella prefettura di Miyazaki a Kyushu, che offre una pista di 2.700 m usata prevalentemente dagli F-15J. In una località quasi sperduta, si trova la base di Iwo Jima, nell'omonima isola (nel giapponese moderno Iojima), che fa parte delle isole Ogasawara. La base ha un personale di circa 400 addetti, ed è fornita di una pista di 2.650 m  che può essere impiegata anche dai cacciabombardieri. Infine, sull'isola di Okinawa c'è la base aerea di Naha, con un grande aeroporto e una lunga pista di 3.000 m. Questo aeroporto è utilizzato non soltanto dalla JASDF con i suoi caccia intercettori F-15J/DJ e gli aerei radar E-2C, ma anche dalla JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force) con i suoi aerei pattugliatori P-3C Orion. 

Queste sono le principali basi della JASDF, ma ovviamente ne abbiamo omesse tante altre più piccole che non è il caso di elencare tutte, ma è comunque sufficiente ricordare che sulle isole Ryukyu sono presenti numerose altre piste impiegabili dalle Forze di Autodifesa, e ciò ne rende difficile e impraticabile l'invasione. La JASDF può in qualunque momento e luogo trasferire unità e reparti per contrastare qualsiasi tentativo di penetrazione e occupazione del territorio nazionale. 


La protezione delle basi aeree

Si è detto che il numero e la disposizione delle basi aeree del Giappone ne rende più difficile l'attacco e la distruzione, ma ciò non significa che siano completamente sguarnite e prive di protezione, anzi al contrario, esse costituiscono un pilastro della difesa aerea e una parte essenziale dello scudo antimissile chiamato BMD (Ballistic Missile Defense). Infatti, alla JASDF è assegnato il compito di gestire le batterie di missili Patriot PAC-3 per la difesa terminale, e presto del nuovo sistema Aegis Ashore per l'intercettazione dei missili nella fase intermedia di volo. Ricordiamo che il Giappone dispone di un Air Defense Missile Training Group (Kosha kyodo gun) ad Hamamatsu, e 6 Air Defense Missile Groups (Kosha gun) pronti al combattimento in qualunque momento. La Northern Air Defense Force schiera il 3rd Air Defense Missile Group a Chitose e il 6th Air Defense Missile Group a Misawa; la Central Air Defense Force è composta dal 1st Air Defense Missile Group a Iruma e il 4th Air Defense Missile Group a Gifu; il Western Air Defense Force ha in servizio il 2nd Air Defense Missile Group a Kasuga; e infine la South Western Air Force ha in dotazione il 5th Air Defense Missile Group a Naha. Come accennato in precedenza, presso la base di Hamamatsu, nella prefettura di Shizuoka vicino al monte Fuji, è dislocato un Air Defense Missile Training Group. Questi 6 gruppi sono composti ciascuno da 4 batterie (Koshatai), per un totale di 24 batterie, e considerando che ciascuna batteria possiede 5 veicoli lanciatori, si ottiene un numero complessivo di 120 veicoli. Le piattaforme di lancio sono gli M902 per i missili PAC-3, capaci di montare quattro canister quadrupli per 16 PAC-3, oppure gli M901 con quattro canister singoli per PAC-2. In Giappone si preferisce schierare frequentemente i lanciatori con soltanto due canister per ogni veicolo, ma il numero di lanciatori e missili può essere variato e aumentato secondo le esigenze. Un minor numero di canister per ogni veicolo favorisce indubbiamente il trasporto aereo e marittimo, e considerando la quantità di piattaforme di lancio disponibili, ciò non costituisce un problema perché si può bilanciare la disponibilità di missili con un numero maggiore di batterie.  

A queste forze, già cospicue, si aggiungono le due postazioni fisse terrestri del sistema Aegis Ashore, in costruzione nelle prefetture di Akita e Yamaguchi, che saranno dotate di lanciatore VLS (Vertical Launching System), con una dotazione minima per ciascuna di 24 missili intercettori SM-3 Block IIA, oppure con altri missili come gli SM-6, secondo le esigenze del caso.  Le prestazioni dei missili Standard sono eccezionali, e ricordiamo infatti che i nuovi SM-3 Block IIA, sviluppati da Raytheon e Mitsubishi Heavy Industries, forniscono un raggio d'azione di 2.500 km, raggiungono un'altitudine di 1.500 km, e una velocità di Mach 15. 

I sistemi PAC-3 e Aegis Ashore sono studiati per contrastare le minacce dei missili balistici, ma le basi aeree della JASDF sono protette anche dagli attacchi di velivoli ed elicotteri ostili, essendo dotate di mezzi armati con missili aria-aria. Il più moderno di questi sistemi in dotazione alla JASDF è il Type 11 Surface-to-Air Missile (Hitohito shiki tankyori chi tai ku yudodan). Questo missile prodotto da Toshiba fornisce una valida difesa contro aerei e missili supersonici, utilizzando un sistema di guida radar attiva, con la capacità di essere guidato anche tramite data link nella fase di mid-course. Il raggio d'azione massimo è stimato intorno a 18 km. Inoltre la JASDF dispone anche dei più vecchi Type 81 Surface-to-Air Missile (Hachiichi shiki tankyori chi tai ku yudodan), prodotti sempre da Toshiba, che pur offrendo prestazioni inferiori sono comunque disponibili in gran numero. Tuttavia all'epoca dell'entrata in servizio erano assolutamente innovativi, e perciò sono tuttora un validissimo sistema d'arma che offre un raggio d'azione di 14 km, una velocità di Mach 2,5, e un'altitudine massima di 3.000 m. 

Per quanto riguarda un possibile attacco alle basi aeree giapponesi, si deve comunque aggiungere un aspetto strategico non trascurabile. Infatti, qualsiasi aggressione alle basi aeree della JASDF coinvolgerebbe direttamente anche le Forze Armate degli Stati Uniti che si trovano dislocate in loro prossimità, e spesso condividono le piste di decollo e atterraggio. Ciò significa che non è possibile attaccare la JASDF sul territorio giapponese senza provocare un gravissimo incidente con gli Stati Uniti, e una prevedibile ritorsione militare, senza considerare che ciò potrebbe generare una grave escalation che condurrebbe a un conflitto di ampie dimensioni. 


Le postazioni radar

La JASDF gestisce un insieme di impianti radar molto esteso e complesso che fornisce non soltanto il controllo dello spazio aereo, ma riveste anche un ruolo fondamentale nel sistema di difesa antimissile BMD (Ballistic Missile Defense), essendo molti di questi radar dotati di funzioni per l'intercettazione dei missili balistici. Ciò fornisce un importante supporto per i sistemi missilistici giapponesi, e tuttavia rappresenta anche una fondamentale risorsa del dispositivo antibalistico degli Stati Uniti, che può ricevere immediate informazioni su qualunque lancio proveniente dalla Cina, dalla Russia o dalla Corea del Nord. Possiamo anche in questo caso elencare in dettaglio queste stazioni radar nelle rispettive basi militari: la Northern Air Defense Force dispone di un radar J/FPS-7 nella base di Wakkanai, un J/FPS-4 nella base di Abashiri, un J/FPS-2 a Nemuro, un J/FPS-3 nella base di Tobetsu, un J/FPS-6 a Erimo, un J/FPS-5 a Ominato, un J/FPS-2 a Yamada, un J/FPS-3 a Kamo e un J/FPS-4 a Okushirito; la Central Air Defense Force possiede un radar J/FPS-3 a Otakineyama, un J/FPS-5 sull'isola di Sado, un J/FPS-4 a Mineokayama, un J/FPS-3 a Wajima, un J/FPS-2 a Omaezaki, un J/FPS-3 a Kyogamisaki, un J/FPS-3 a Kasatoriyama, e un J/FPS-6 a Kushimoto; la Western Air Defense Force impiega un radar J/FPS-4 a Takaoyama, un J/FPS-7 a Mishima, un J/FPS-2 a Unishima, un J/FPS-3 a Sefurisan, un J/FPS-4 a Fukuejima, un J/FPS-5 a Shimoshikijima, e un J/FPS-7 a Takahatayama; infine al South Western Air Defense Force dispone sulle isole Ryukyu di un radar J/FPS-7 a Okinoerabujima, un J/FPS-4 a Kume, un J/FPS-5 a Yozadake e un J/FPS-7 a Miyako. Bisogna notare che le stazioni radar della JASDF impiegano radar molto avanzati e moderni, progettati e fabbricati in Giappone. Il J/FPS-3, prodotto da Mitsubishi Elecctric, fu infatti il primo radar basato a terra a utilizzare la tecnologia AESA (Active Electronically Scanned Array). Anche il J/FPS-4, prodotto da Toshiba, è un altro ottimo radar, con una portata di 550 km e un'altitudine massima di 30 km, mentre il Mitsubishi Electric J/FPS-5, noto con il soprannome di Gamera (un mostro a forma di tartaruga), è un radar in banda L/S capace di individuare e tracciare i missili balistici a oltre 1.000 km di distanza. Un altro radar giapponese è il J/FPS-7, progettato da NEC, che fornisce prestazioni leggermente inferiori al J/FPS-5, ma è molto più economico ed ha ricevuto dei recenti aggiornamenti che gli consentono di intercettare anche i missili balistici. 


La rivoluzione dell'F-35

Un ruolo decisivo nella modernizzazione della JASDF sarà svolto dal nuovo caccia stealth di quinta generazione Lockheed Martin F-35 Lightning II, che sarà acquisito in 147 esemplari (105 F-35A e 42 F-35B) per sostituire i McDonnell Douglas F-4EJ Kai Phantom II, ormai già radiati, e un centinaio di McDonnell Douglas F-15J/DJ, che non hanno ricevuto gli aggiornamenti più recenti, e perciò definiti pre-MSIP (Multi-Stage Improvement Program). Attualmente gli F-35A sono operativi con il 301st e 302nd Tactical Fighter Squadron presso la base di Misawa nella prefettura di Aomori. Questo aereo rappresenta per la JASDF un salto qualitativo significativo perché permette capacità di strike prima impensabili per una Forza di Autodifesa estremamente limitata in tal senso, e fornisce anche qualità di networking estremamente utili nella definizione di una diversa strategia basata sull'integrazione di assetti differenti. Un aspetto assolutamente non trascurabile rivelato dall'F-35, è la capacità di eludere con facilità i radar cinesi. Ciò è avvenuto quando il 20 gennaio 2019,  gli F-35I Adir israeliani hanno distrutto in combattimento un radar cinese JY-27 usato dall'antiaerea presso l'aeroporto di Damasco in Siria. Gli F-35I hanno lanciato missili antiradar AGM-88E che si sono rivelati micidiali. La notizia è sorprendente perché il radar JY-27 è stato progettato specificamente per individuare gli aerei stealth come l'F-35, ed è perciò il più avanzato fra quelli fabbricati dai cinesi. Prodotto da CETC, il JY-27 è un radar in banda VHF a lungo raggio, con una portata di 390 km. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, sembrerebbe che pur riuscendo a individuare l'aereo, il JY-27 non sia riuscito a tracciarlo, e in questo modo non ha potuto guidare i missili dell'antiaerea. Dal punto di vista strategico, significa che gli F-35 giapponesi possono penetrare le difese cinesi della A2/AD (Anti-Access/Area Denial) come un coltello che penetra nel burro, e questa rappresenta una vulnerabilità sostanziale. 

Un'altra caratteristica dell'F-35 indispensabile per la JASDF, è la sua integrazione nel sistema di difesa aeronavale che considera l'inpiego congiunto delle forze terrestri, navali e aeree. L'F-35 può operare infatti con il CEC (Cooperative Engagement Capability) installato sulle nuove navi come i cacciatorpediniere Maya, ma anche sugli Atago che hanno ricevuto un aggiornamento montando un'antenna AN/USG-2 che permette di operare nella nuova modalità. Questa innovazione è di notevole importanza perché il sistema CEC, che fa parte del NIFC-CA (Naval Integrated Fire Control - Counter Air), permette di comunicare e coordinare il tiro con altre piattaforme, e ciò consente di guidare missili lanciati da altri mezzi, come batterie costiere, navi e aerei da combattimento, fino a colpire i bersagli designati. Per esempio, un aereo da ricognizione come un pattugliatore P-3C o P-1, oppure un aereo radar E-767 o E-2C/D, ma anche appunto un caccia F-35, possono ingaggiare un bersaglio, segnalarlo al cacciatorpediniere, e guidare il missile lanciato dalla nave fino a colpire l'obiettivo anche se fuori dalla portata dei suoi sensori. Significa che i cacciatorpediniere possono sparare oltre la linea dell'orizzonte, ma anche che gli F-35 non sono più limitati nella loro azione dal numero di missili aria-aria imbarcati, potendo contare in qualsiasi momento sui missili del lanciatore di una nave. 

Questo modo di operare rientra perfettamente nell'idea del piano di difesa chiamato Dynamic Defense Plan, che vede fra i suoi maggiori ispiratori lo stratega Yosuke Isozaki. Secondo le National Defense Program Guidelines del 2013 si ritiene necessario introdurre il concetto di Dynamic Joint Defense Force (Togo kido boei ryoku) per definire un diverso approccio operativo delle Forze di Autodifesa, che si devono integrare fra loro e operare in maniera congiunta, spingendo fino all'estremo l'idea di elevata mobilità e interoperabilità fra mezzi terrestri, navali e aerei. Con le National Defense Program Guidelines del 2018 si è introdotto anche il concetto di Multidimensional Joint Defense Force, che aggiunge lo spazio cosmico e lo spazio cibernetico come parti integranti delle dimensioni tradizionali terrestri, marittime e aeree. Ciò significa una completa rivoluzione nel modo di operare, e soprattutto la necessità di impiegare mezzi come l'F-35 in grado di offrire capacità per gestire questo nuovo modo di concepire le procedure e le tattiche di combattimento. 

Infine, l'F-35 può svolgere un altro ruolo fondamentale grazie alla potenza dei suoi sensori. Si è dimostrato che l'AN/AAQ-37 DAS (Distributed Aperture System) è talmente sensibile da rilevare il lancio di un missile balistico da una distanza di 1.300 km. In questo modo l'F-35 potrebbe effettuare missioni di ricognizione per comunicare un immediato allarme nel momento stesso della partenza del missile, ovvero prima che questo sia localizzato dai radar delle basi terrestri. Ovviamente una simile capacità costituisce un vantaggio davvero ragguardevole. 


I missili ipersonici

Recentemente l'ATLA (Acquisition, Technology & Logistic Agency), l'agenzia del Ministero della Difesa che si occupa di acquisizioni e sviluppo tecnologico, ha comunicato ufficialmente che gli ingegneri nipponci sono al lavoro per la realizzazione di due modelli di missili ipersonici, chiamati rispettivamente Hypersonic Cruise Missile (HCM) e Hyper Velocity Gliding Projectile (HVGP). L'HCM è simile a un missile tradizionale, ma è dotato di propulsione basata su uno scramjet che permette elevate velocità ipersoniche e una gittata a lungo raggio (superiore a 1.000 km). Invece, l'HVGP è fornito di un motore a razzo a combustibile solido, che poi si separa sganciandolo ad alta quota, e possiede sistemi di controllo basati su propulsori di manovra e una piccola deriva. Entrambe le armi potranno utilizzare due modelli di testate: una variante antinave chiamata Sea Buster, composta da due stadi di detonazione (carica cava anti-corazza e carica perforante principale), e una testata del tipo penetrante multipla o Multiple Explosively Formed Penetrator (MEFP), ad alta densità, costituita da una carica sagomata formata da proiettili autoforgianti che al momento dell'esplosione creano uno sciame di frammenti che colpiscono diversi obiettivi. Si prevede che i prototipi saranno realizzati fra il 2024 e 2028, così che questi missili possano entrerare in servizio nel 2030.    

Dal missile cruise HCM potrebbe essere sviluppata una versione lanciata da un veicolo terrestre, ma è possibile che sia realizzata anche una versione aviolanciabile. Infatti, la JASDF sta studiando da tempo la possibilità di impiegare missili ipersonici per i suoi caccia. Un tentativo in tal senso è stato lo sviluppo dello XASM-3 da parte di Mitsubishi Heavy Industries. Lo XASM-3 è un prototipo di missile antinave supersonico aviolanciabile, e nasce da un progetto allo studio fin dal 2002, ma ha accusato notevoli ritardi, tanto da rimandarne l'entrata in servizio prevista per il 2016. Anche se il missile è stato completato definitivamente nel gennaio 2018, assumendo la denominazione di ASM-3, si è rinviata la produzione in massa prevista per lo stesso anno perché i requisiti sono stati drasticamente cambiati. L'attuale versione dell'ASM-3 ha una gittata di 200 km e una velocità di Mach 3, ma verrà migliorato per ottenere un raggio d'azione di oltre 400 km e una velocità ipersonica intorno a Mach 5. Il nuovo missile, chiamato ASM-3 Extended Range (ma anche indicato come ASM-3 Kai), dovrebbe così garantire prestazioni eccellenti in grado di mantenere un assoluto vantaggio sulle forze navali nemiche. 

Il prototipo XASM-3 è lungo 5,25 m, ha un diametro di 35 cm e un'apertura alare di 1,2 m, con un peso di circa 900 kg. La propulsione è fornita da un integral rocket ramjet, ossia uno statoreattore che impiega un razzo integrato nella camera di combustione. Il sistema di guida include la navigazione inerziale, il sistema satellitare GPS, e infine la guida radar attiva/passiva. Lo XASM-3 è stato sperimentato in alcuni test di lancio nel 2017 che ne hanno confermato la validità, tuttavia come si è precedentemente detto, requisiti più ambiziosi ne hanno richiesto un miglioramento. Si prevede che la nuova versione ASM-3 Kai (Modificata) sarà pronta nel 2025. Il nuovo missile, che sarà dotato di una gittata di oltre 400 km e una velocità ipersonica intorno a Mach 5, sarà quindi anche il missile antinave che armerà i futuri caccia della JASDF, compreso il nuovo caccia di sesta generazione in fase di sviluppo. 


L'unità per le operazioni spaziali 

Le ambizioni della JASDF non si limitano all'intenzione di acquisire missili ipersonici e caccia di sesta generazione, ma guardano ben oltre arrivando perfino allo spazio siderale. Infatti è probabile che la stessa definizione di Japan Air Self-Denfense Force venga cambiata in Japan Aerospace Self-Defense Force a partire dall'anno fiscale 2021. Intanto, già a partire dal 2020 è stata creata un'unità spaziale, a cui è stato dato il nome provvisorio di Uchu sakusen tai (Unità per le operazioni spaziali), destinato molto probabilmente a essere modificato come ha ammesso lo stesso ministro della Difesa Taro Kono. La nuova unità della JASDF è stata ospitata nella base aerea militare di Fuchu, nell'area metropolitana di Tokyo, dove è già presente l'Air Weather Service Group, con utili impianti radio che potranno essere in seguito ampliati. Il personale iniziale è di 20 fra militari, che saranno aumentati fino a raggiungere il numero completo nel 2022. Il budget per l'anno fiscale 2020 dispone di una cifra decisamente consistente, con 50,6 miliardi di yen (426 milioni di euro) che saranno impiegati per i lavori iniziali. L'unità spaziale collaborerà innanzitutto con la JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency), l'agenzia spaziale giapponese, ma avrà anche una relazione molto stretta con l'US Space Force, creata nel dicembre 2019, e fortemente voluta dal presisdente americano Trump. Non è sbagliato supporre che la costituzione dell'unità spaziale in Giappone sia stata sollecitata anche dall'alleato, ma si deve anche considerare che con le National Defense Program Guidelines del 2018 si è introdotto il concetto di Multidimensional Joint Defense Force, che aggiunge lo spazio cosmico e lo spazio cibernetico come parti integranti delle dimensioni tradizionali terrestri, marittime e aeree. Ciò significa una completa rivoluzione nel modo di operare, e soprattutto la necessità di implementare nuove funzionalità, procedure e tattiche, riorganizzando i precedenti assetti della difesa. Lo scopo dell'unità spaziale sarà innanzitutto la protezione dei satelliti da qualsiasi minaccia, come l'attacco diretto tramite missili o altri satelliti e veicoli spaziali, oppure l'interferenza tramite l'emissione di onde elettromagnetiche. Inoltre dovrà fornire il supporto alle altre forze terrestri, marittime e aeree, gestendo il flusso di dati indispensabili per le operazioni. Si comprende così che l'incarico assegnato è davvero impegnativo e cruciale. Però il Giappone può vantare una buona tradizione nel settore spaziale, ricordando il suo esordio grazie al genio dello scienziato Hideo Itokawa, autentico pioniere dell'astronautica. Nel 1970 il razzo Lamda 4S mise in orbita il satellite artificiale Osumi, il primo di una lunga serie di successi che si sono alternati negli anni. Dal 1975 al 1985 i lanci continuarono con il vettore N-I composto da un razzo Thor di McDonnel Douglas per il primo stadio, e un razzo di Mitsubishi Heavy Industries per il secondo. Questo vettore fu seguito dal modello N-II dotato di due o tre stadi, rimasto in servizio fino al 1987. Da queste esperienze fu derivato lo H-I, operativo dal 1986 al 1991. Poi nel 1994 arrivò lo H-II (o H2), considerato il maggior successo nipponico, un vettore sviluppato da Nissan e Mitsubishi Heavy Industries. La famiglia di questi razzi si arricchì con ulteriori modelli, come lo H-IIA e lo H-IIB, fino a giungere al nuovo H3 ancora in fase di sviluppo. Insieme a questi razzi si è vista anche la realizzazione di altri vettori, come la famiglia Mu, inizialmente sviluppata da Nissan e poi da Ishikawajima Harima (IHI). Questi fortunati razzi a combustibile solido videro alternarsi diversi modelli, dal 1966 al 2006, con i razzi M-1, M-3, M-4, e il più potente M-5 (o M-V). Oggi, la famiglia dei razzi Mu è stata sostituita dal nuovo razzo Epsilon, inaugurato nel 2013, che è in grado di trasportare 1,2 tonnellate di carico nell'orbita terrestre bassa. Ricordiamo anche un altro successo, ottenuto con il razzo J-1, che nel 1996 riuscì a lanciare il veicolo HYFLEX (Hypersonic Flight Experiment), un prototipo dimostratore di lifting body space plane, equivalente agli attuali hypersonic glide vehicle (HGV). Come si può intuire da questa breve carrellata, al Giappone non mancano certo i mezzi e le capacità per dominare anche lo spazio. 


Gestione della ADIZ giapponese

Nel settembre 1969 le autorità giapponesi istituirono una ADIZ (Air Defense Identification Zone) che stabilisce lo spazio aereo nel quale i velivoli transitanti devono rispettare le procedure per il controllo del traffico aereo, facilitando inoltre il riconoscimento anche da parte della difesa aerea. In caso contrario, è prevista l'intercettazione con i caccia della JASDF, l'identificazione e l'adeguata reazione in caso di comportamento ostile. La ADIZ giapponese copre gran parte della sua EEZ (Exclusive Economic Zone), e tutela quindi i legittimi interessi del paese. Ovviamente la ADIZ giapponese è stata riconosciuta dai paesi alleati, in primo luogo gli Stati Uniti, e infatti la zona di identificazione così creata riprendeva quasi lo stesso spazio aereo stabilito nel 1945 dal GHQ (General Headquarters) delle forze di occupazione alleate. Me nel tempo la ADIZ giapponese ha subito un ampliamento, il primo nel 1972, quando furono incluse le isole Ryukyu restituite al Giappone dagli Stati Uniti, e nel 2010 per aumentare l'estensione sull'isola di Yonaguni, nell'estremo sud-occidentale. 

La ADIZ giapponese è divenuta motivo di aspro scontro a causa del tentativo cinese di imporre unilateralmente una propria ADIZ sul Mar Cinese Orientale. Il 23 novembre 2013, il governo di Pechino annunciò perentoriamente di aver instaurato una zona di identificazione della difesa aerea, e minacciò gravi conseguenze per i trasgressori che non avessero rispettato le regole imposte dalla Cina. Però la ADIZ cinese si sovrapponeva sulle preesistenti ADIZ giapponese e coreana, in particolare copriva le isole contese Senkaku, amministrate dal Giappone, e la scogliera Socotra Rock (in coreano Ieodo) che rientra nella zona economica esclusiva coreana. Ciò provocò un aspro scontro diplomatico che infiammò gli animi. Nei giorni seguenti decine di F-15J giapponesi e F-15K sudcoreani ignorarono le intimidazioni cinesi, e senza alcun riguardo penetrarono nello spazio aereo della presunta ADIZ cinese. Nella mattina del 26 novembre 2013, due bombardieri Boeing B-52H dell'USAF partiti da Guam volarono indisturbati per 2 ore e 22 minuti nella ADIZ cinese, compiendo una plateale azione dimostrativa. L'imbarazzo delle autorità cinesi si tramutò così in un riservato silenzio che sostituì le intimidazioni e i comunicati roboanti. Negli anni seguenti Pechino ha continuato a cercare di imporre la sua ADIZ con la forza, aumentando la presenza di caccia cinesi, ma ha ottenuto il risultato esattamente opposto perché Tokyo ha risposto raddoppiando, il 31 gennaio 2016, la presenza di F-15J su Okinawa presso la base aerea di Naha, creando il 9th Air Wing con 2 squadron e 40 aerei da caccia. In questo modo la disponibilità di un maggior numero di aerei ha permesso di realizzare gli scramble necessari, garantendo la persistenza e integrità della ADIZ del Giappone. 


Lo scontro impraticabile

La tendenza alla semplificazione della stampa mainstream descrive la Repubblica Popolare Cinese come la superpotenza che dominerà il XXI secolo, ma questa è una esagerazione utile per scrivere titoli roboanti, ma che risulta a una attenta analisi piuttosto lontana dalla realtà, che è molto più complessa e articolata. Infatti, in Estremo Oriente esistono altre grandi potenze, come l'India e il Giappone, che stringono ai fianchi il cosiddetto Regno di Mezzo (traduzione letterale di Zhongguo, il nome in cinese della Cina), e inoltre quasi tutti gli altri paesi asiatici sono ormai fortemente ostili nei confronti dello scomodo vicino, che rivendica territori al di fuori dei suoi confini geografici. Ciò sta destabilizzando l'Asia, ed è all'origine di laceranti tensioni, e infine di un riarmo nella regione senza precedenti. La realtà ci mostra un multipolarismo caotico con una pluralità di attori, e una complessità che non può essere ridotta a uno schema predefinito. In conclusione, in questo quadro la Cina è causa di instabilità piuttosto che di ordine e armonia, e soprattutto non può essere considerata in alcun modo un fattore di equilibrio, anzi è assolutamente destabilizzante, provocando contrasti e conflitti. 

Nel settore della difesa, nonostante la crescita continua della spesa militare cinese, si possono riscontrare ancora molte limitazioni e lacune provocate da un processo di modernizzazione disomogeneo e incoerente, e questi problemi sono evidenti anche nella PLAAF (People's Liberation Army Air Force) e nella PLANAF (People's Liberation Army Navy Air Force), ovvero le forze aeree dell'Aeronautica e Marina cinesi. Sebbene la PLAAF disponga di un gran numero di caccia, un'analisi dettagliata della composizione di questa forza aerea, mostra che ci sono ancora in servizio moltissimi caccia obsoleti e fatiscenti, come 388 Chengdu J-7 (copia del MiG-21) e 96 Shenyang J-8 (versione migliorata con fusoliera rinnovata del MiG-21), simboli evidentemente di un'organizzazione ancora troppo disomogenea. 

Un'altra gravissima carenza riguarda i caccia Shenyang J-15 imbarcati sulle portaerei cinesi, che hanno caratteristiche e prestazioni decisamente scadenti. Lo Shenyang J-15 è una versione cinese del Sukhoi Su-33, che a causa delle grosse dimensioni, del peso eccessivo, e della scarsa potenza dell'apparato propulsivo, è costretto a gravi limitazioni per consentire il decollo dal trampolino (ski-jump) delle portaerei cinesi di tipo STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery), come la Liaoning e la Shandong. Ciò significa che per contenere il peso, e favorire quindi il decollo, veiene imbarcato poco combustibile e meno armamenti. Questa situazione è chiaramente visibile con l'osservazione dei J-15 che decollano dalle portaerei con pochi missili, che sono veramente ridotti all'essenziale. Secondo alcune fonti cinesi, in queste condizioni lo Shenyang J-15 avrebbe un'autonomia limitata a soli 120 km, un valore decisamente basso che ne compromette l'operatività, riducendone al minimo le capacità offensive. 

Da un punto di vista logistico, ciò significa che la JASDF possiede ampiamente mezzi e competenze per contrastare l'aviazione e l'aeronavale cinesi, conservando l'assoluto dominio dello spazio aereo del Giappone. Così la strategia della "collana di perle", senza il controllo della prima catena di isole, risulta ancora un'utopia e un sogno irraggiungibile, essendo impraticabile uno scontro diretto con la JASDF.