sabato 26 agosto 2023

Il rinnovato concetto di potere navale in Asia

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il rinnovato concetto di potere navale in Asia, in "Panorama Difesa", n. 400, anno XXXVIII, ottobre 2020, pp.42-53.  



Il rinnovato concetto di potere navale in Asia 

Le potenze marittime, in particolare Stati Uniti, India e Giappone, stanno cambiando le loro strategie nell'ambito del controllo dell'Oceano Pacifico, sempre più minacciato dalle ambizioni egemoniche cinesi. 

di Cristiano Martorella 


Il 24 maggio 2020, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi dichiarò che Stati Uniti e Cina si trovavano ormai nella fase di una nuova Guerra Fredda a causa dell'escalation di tensioni fra i due paesi, e probabilmente questo deterioramento dei rapporti è destinato anche a peggiorare in futuro. Una affermazione così netta e chiara, da parte di un esponente politico e istituzionale tanto importante, sancisce in modo inequivocabile ciò che da tempo analisti e politologi ripetono. Lo scontro fra Pechino e Washington sembra inevitabile, e coinvolge tutte le dimensioni, incluse quelle politiche, sociali, culturali, economiche e militari, e non meno cruciale, se non addirittura fondamentale, il controllo dei mezzi di informazione. In questo contesto, il politologo che per primo ha cercato di definire la situazione è stato Graham Allison, che nel libro Destinati alla guerra del 2017 descrisse con preoccupazione il rischio di un possibile conflitto fra Stati Uniti e Cina. Graham Allison raffigurava brillantemente il dilemma coniando l'espressione "trappola di Tucidide", con la quale si indica la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una potenza emergente (nell'esempio storico Atene e Sparta). La situazione descritta dal politologo americano è però rapidamente degenerata, e in questi anni si sta assistendo a un'accelerazione impressionante con modalità impreviste. Ovviamente se questo conflitto dovesse concretizzarsi materialmente, il luogo dove avverrebbe il confronto sarebbe innanzitutto l'Oceano Pacifico dove si fronteggiano le maggiori forze dei due contendenti, Stati uniti e Cina, con la presenza di altri attori regionali di grande importanza come India e Giappone, che svolgerebbero un ruolo di primissimo piano. Ma considerando il complesso quadro geografico, ci sarebbe anche un ampio coinvolgimento degli altri paesi dell'area, che non potrebbero essere esclusi dal conflitto a causa dei contenziosi territoriali avanzati dalla Cina, che riguardano quasi tutti i vicini, come Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei, Malaysia e Indonesia, e nemmeno si può escludere la parteciapazione dell'Australia che ha chiari interessi nella regione. Queste rivendicazioni sono alla base delle gravissime tensioni nell'Oceano Pacifico, provocate dalla pretesa di Pechino di porre sotto la propria sovranità il 90% del Mar Cinese Meridionale, secondo la cosiddetta "nine-dash line" (linea dei nove punti) che demarca, in maniera assolutamente arbitraria, un immenso tratto di mare che risulta essere all'interno delle acque territoriali di altri paesi. L'ampiezza dei contenziosi è così davvero impressionate per il numero dei paesi coinvolti e l'estensione di mare, ed è perciò utile una breve analisi in dettaglio dei punti caldi: la Repubblica Popolare Cinese pretende il possesso delle Paracel contese al Vietnam, le isole Spratly alle Filippine, il Vietnam, Taiwan, la Malaysia e il Brunei, le isole Pratas a Taiwan, lo Scarborough Shoal alle Filippine, e le isole Natuna all'Indonesia. Questi sono i contenziosi nel Mar Cinese Meridionale, ma non soddisfatta Pechino ha anche altre rivendicazioni, e così è in conflitto con la Corea del Sud per il Socotra Rick (in coreano Ieodo) nel Mar Giallo, e con il Giappone per le isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale. Inoltre è sempre più esasperata la questione di Taiwan, che è de facto uno stato indipendente (le cui origini risalgono alla Repubblica Cinese, nota anche come Cina Nazionalista, proclamata nel 1912), ma viene considerata da Pechino come un territorio che deve ritornare sotto la propria sovranità, anche con l'uso della forza. Anche le tensioni sul continente sono gravi, perché vedono la Cina contendere all'India il Ladakh, parte del Kashmir, e l'Arunachal Pradesh, con esplicite richieste di immensi territori rivendicati come proprie regioni. Anche il Bhutan è coinvolto in un contenzioso con la Cina per il Doklam, e più in generale nella regione indiana del Sikkim. Questo quadro ci fa capire quanto sia sbagliato considerare il confronto fra Cina e Stati Uniti in maniera esclusiva, perché i paesi coinvolti sono molto di più, e costituiscono una situazione davvero difficile da comprendere perché estremamente intricata. La complessità di questo quadro viene putroppo molto semplificata da alcuni analisti con spiegazioni superficiali e lacunose che non colgono il punto cruciale della situazione, ovvero la molteplicità dei contenziosi fra la Cina e i suoi numerosi rivali. Ciò che sfugge. troppo spesso, è il fatto non trascurabile che nei mari rivendicati dalla Cina vivono milioni di persone che si vedono defraudate delle proprie risorse naturali, e non sarà certamente la prepotenza di chi si sente più forte a porre fine alla contesa, anzi ciò esaspererà la situazione fino a degenerare in maniera irreversibile. 

Questo fenomeno cognitivo che impedisce di vedere correttamente la complessità non è imputabile a una semplice carenza degli analisti, bensì è un processo sensoriale noto in psicologia come "change blindness" (la cecità al cambiamento), che avviene quando si è talmente concentrati su un unico aspetto da non vedere ciò che avviene intorno, anche quando è un grosso cambiamento. Nel nostro caso gli analisti sono così concentrati sullo scontro fra Stati Uniti e Cina, da dimenticare completamente gli altri paesi, e non vedere il loro costante e consistente riarmo, tanto da cambiare concretamente gli equilibri fra potenze. 


La rinascita dell'aeronavale giapponese

Lo scorso aprile sono cominciati i lavori di ristrutturazione della portaeromobili  Izumo presso i cantieri navali della Japan Marine United (JMU) a Isogo presso Yokohama. Come previsto la conversione in portaerei per imbarcare gli F-35B era iniziata nella primavera del 2020, ma la stampa ha pubblicato le prime immagini soltanto a giugno, mostrando le fotografie delle impalcature intorno alla torre, e lo smontaggio di alcune componenti come CIWS (Close-In Weapon System) e apparati elettronici che saranno cambiati, modificati e spostati. Queste immagini hanno un elevato valore simbolico perché mostrano il ritorno con forza della capacità aeronavale giapponese, e il crollo definitivo del tabù sul possesso delle portaerei. Insieme a queste fotografie sono apparse in precedenza le immagini dell'ottavo cacciatorpediniere Aegis, lo Haguro, partito da Yokohama il 23 giugno, e impegnato nelle prove in mare. Invece l'entrata in servizio del capoclasse Maya è avvenuta il 19 marzo 2020, ed è stato un evento altrettanto significativo, mostrando il pieno successo nella realizzazione dei cacciatorpediniere più potenti della JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force). Questi eventi dovrebbero dare un'idea della crescente forza della Marina del Sol Levante, ma ciò è solo la parte più appariscente di una flotta che sta conoscendo un incremento e potenziamento senza precedenti. A ciò si aggiunge la notizia del cambio di strategia del Ministero della Difesa (Boeisho), che ha rinunciato alle postazioni terrestri del sistema Aegis Ashore, e starebbe considerando un ulteriore aumento dei cacciatorpediniere Aegis, con un passaggio dagli 8 attualmente costruiti, ad almeno 10, e forse anche di più. Inoltre è prevista la realizzazione entro cinque anni di 10 fregate di nuova generazione chiamate 30FFM, e le prime due saranno varate alla fine del 2020. Entro il 2032 si prevede di costruire ben 22 fregate di questo modello, contribuendo alla sostituzione delle unità più piccole e anziane, come gli Abukuma e gli Asagiri. 

Un'analisi dettagliata e approfondita dei numeri di questa crescita della Marina nipponica fornisce un quadro impressionante che merita certamente grande attenzione. All'inizio del 2020 la JMSDF disponeva di 48 cacciatorpediniere, genericamente indicati col termine goeikan (nave scorta), e precisamente 4 portaelicotteri (DDH), 8 lanciamissili (DDG), 30 multiruolo (DD), e 6 di scorta (DE). Le portaelicotteri sono rappresentate dagli Hyuga e Izumo, i lanciamissili dagli Hatakaze, Kongo, Atago e Maya, i multiruolo dagli Hatsuyuki, Asagiri, Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, e i cacciatorpediniere di scorta dagli Abukuma. A queste unità vanno aggiunti i cacciatorpediniere utilizzati come nave scuola, che però conservano l'intero armamento e sono a tutti gli effetti navi da combattimento, e infatti vengono impiegati per il pattugliamento e le esercitazioni. Questi cacciatorpediniere sono inquadrati nel Training Squadron (Renshu kantai) con sede nella base navale di Kure, a cui si è recentemente aggiunto il 19 marzo 2020, anche lo Hatakaze, sostituito dal Maya nella Escort Flotilla 1 (Dai ichi goei taigun). Il Training Squadron è quindi composto dal cacciatorpediniere lanciamissili Hatakaze, dai multiruolo Shimayuki e Setoyuki, e la nave scuola Kashima. Contando anche queste navi, la JMSDF dispone quindi di 51 cacciatorpediniere, fra i quali molti sono di nuova generazione come gli Akizuki e Asahi, e gli Aegis delle classi Atago e Maya, ma anche gli altri hanno ottime prestazioni, come i moderni Murasame e Takanami. In proposito, i cacciatorpediniere multiruolo Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, sono armati con i missili superficie-aria RIM-162 Evolved Sea Sparrow (ESSM) che costituiscono un'eccellente difesa contro i missili antinave supersonici, raggiungendo una velociatà di oltre Mach 4, ed essendo perciò perfettamente in grado di intercettare questo tipo di minaccia. Inoltre, la nuova generazione di cacciatorpediniere Akizuki e Asahi sono dotati di sistemi radar FCS-3A, che sono potenti radar AESA (Active Electronically Scanned Array) al nitruro di gallio, capaci di fornire prestazioni impressionati. Si consideri che questo sistema è superiore all'Aegis per quanto riguarda la scoperta e l'identificazione dei bersagli, la quantità di dati elaborati e la potenza di calcolo, e il numero di missili che possono essere guidati contemporaneamente contro i bersagli. Le caratteristiche dello FCS-3A indicano che il suo raggio d'azione è di 220 km, e ha una capacità di inseguire più di 380 bersagli e di attaccarne contemporaneamente circa 60. I nuovi cacciatorpediniere lanciamissili Maya sono invece dotati dei missili RIM-174 ERAM (Extended Range Active Missile), meglio noti come SM-6, ultima evoluzione della famiglia Standard, realizzati per abbattere i missili balistici a medio raggio come i cinesi DF-21D e DF-26. Le unità della JMSDF hanno quindi una dotazione particolare di armi idonee a controllare lo spazio aereo, e grazie a radar particolarmente avanzati, sono decisamente capaci nell'interdire il cielo ai velivoli nemici, garantendo contemporaneamente anche la protezione dagli attacchi missilistici. Queste caratteristiche sono molto importanti nel contesto della strategia elaborata, come vedremo più avanti, ma c'è anche da segnalare nell'ambito dell'aeronavale, come la JMSDF disponga di una dotazione ragguardevole di aeroplani, idrovolanti ed elicotteri, che la rende certamente molto prestante nel controllo, non soltanto del mare, ma anche del cielo. Un caso particolare riguarda gli aerei da pattugliamento marittimo (in giapponese Taisenshokaiki, in inglese Maritime Patrol Aircraft) da sempre un'eccellenza della JMSDF, che svolgono oltre alle normali funzioni di ricognizione e lotta ai sottamarini, anche un ulteriore ruolo, avendo notevoli capacità di attacco in superficie con i missili antinave, aria-terra, e le bombe guidate. In quest'ultimo caso, sui giornali giapponesi si è molto discusso circa le qualità di bombardiere del nuovo pattugliatore Kawasaki P-1, arrivando addirittura a paragonarlo al bombardiere medio Mitsubishi G3M Nell, noto per le sue imprese durante l'ultima guerra, soprattutto per le sue doti straordinarie di lunga autonomia e buona capacità di carico. In effetti il Kawasaki P-1 ha caratteristiche che ne fanno un ottimo bombardiere, innanzitutto perché è dotato di sensori che permettono di identificare perfettamente il bersaglio, come il radar multifunzione Toshiba HPS-108 (lo stesso adottato sui cacciatorpediniere Asahi), con una portata di 370 km, e il sensore elettro-ottico Fujitsu HAQ-2 FLIR (Forward Looking Infra-Red). L'autonomia è di circa 8.000 km, con un raggio di combattimento di 2.500 km in configurazione armata, e un carico utile massimo di 9.000 kg, che comprende bombe a guida GPS, laser e infrarossa, missili aria-terra AGM-65 Maverick, missili antinave AGM-84 Harpoon e Mitsubishi ASM-1C. Inoltre è in fase di realizzazione un missile antinave specifico per il P-1, ricavato dal mitsubishi Type 17, con una gittata di oltre 300 km. 

Importantissimo è il ruolo che questa flotta aerea di pattugliatori marittimi svolge all'interno della strategia adottata dalla JMSDF, perché riprendendo il concetto della Air-Sea Battle elaborato dagli Stati Uniti, si intendono integrare le capacità di ricognizione, raccolta di informazioni, discriminazione dei bersagli, e controllo del tiro, in modo che i dati siano condivisi da piattaforme diverse e gli attacchi possano provenire da fonti differenti che comunicano fra loro. Questo sistema è chiamato Cooperative Engagement Capability (CEC), in giapponese Kyodokosennoryoku, ed è basato sul controllo di tiro integrato attraverso l'impiego di un sofisticato network-centric warfare, realizzato attraverso l'impiego di mezzi dotati di di sensori e apparati per l'elaborazione dei dati. Il Kawasaki P-1 è dotato di Link 16 e collegamento tattico MIDS-LVT (Multifunctional Information Distribution System- Low Volume Terminal) che permette lo scambio di informazioni con i caccia F-15J ed F-35, e gli aerei radar E-767, e di collaborare con le nuove unità navali fornite di CEC, come i cacciatorpediniere Atago e Maya, e le fregate 30FFM. Un esempio concreto può far comprendere l'utilità e l'effetto di moltiplicatore di forze del CEC. Un aereo in ricognizione, come un P-1, può identificare un bersaglio, comunicarne la posizione a un cacciatorpediniere che provvede a lanciare un missile guidato dal data-link, e attraverso le informazioni fornite dal ricognitore, arrivare a colpire il target anche se è fuori dalla portata dei sensori della nave. Ciò diventa estremamente vantaggioso nel caso di navi armate con missili a lungo raggio come gli SM-6, con la possibilità di un uso duale antiaereo e antinave, ma è utile anche con i meno prestanti SM-2, e micidiale con i nuovi missili antinave Type 17 che posseggono una gittata di oltre 300 km. 


Il concetto di Multidimensional Joint Defense Force

Il principio della Cooperative Engagement Capability (CEC), che è il pilastro della Naval Intgrated Fire Control - Counter Air (NIFC-CA) sviluppato dall'US Navy, ha influenzato tantissimo la strategia elaborata dalla JMSDF, ma l'idea di integrazione fra le forze armate sta diventando basilare in questi decenni che hanno visto l'elaborazione di complesse concezioni dell'impiego dello strumento militare. Il passaggio a questa idea nella dottrina è stato graduale, ma recentemente ha subito una drastica accelerazione a causa delle tensioni geopolitiche. 

Le National Defense Program Guidelines del 1976 prevedevano per il Giappone soltanto una Basic Defense Force (Kibanteki boei ryoku), ma nel 2010 l'esecutivo di Naoto Kan introdusse il concetto di Dynamic Defense Force (Doteki boei ryoku), a quel tempo assolutamente rivoluzionario per il paese del Sol Levante. Eppoi, le National Defense Program Guidelines del 2013, elaborate dal governo di Shinzo Abe, svilupparono il concetto ancora più ambizioso di Dynamic Joint Defense Force (Togo kido boei ryoku). Questa dottrina spinge fino all'estremo l'idea di elevata mobilità e azione congiunta tra forze terrestri, navali e aeree. Per la realizzazione di un simile obiettivo sono necesssari nuovi e differenti mezzi militari dotati di prestazioni particolari, e il completo rinnovamento delle procedure operative. Infine nelle National Defense Program Guidelines del 2018 si è ulteriormente elaborato il concetto con l'idea di una Multidimensional Joint Defense Force, ossia un sistema integrato di difesa che considera lo spazio cosmico e la dimensione cibernetica e informatica della rete come parti integranti delle forze di difesa terresti, navali e aeree. Per sostenere concretamente questa prospettiva, decisamente innovativa, si è provveduto alla creazione di un'unità spaziale chiamata Uchu sakusen tai (Space Operations Squadron), operativa dal maggio 2020. Ma il potere di controllo dello spazio non viene esercitato soltanto dalle basi spaziali, dai centri di comando, e dalle postazioni di antenne, ubicati in località sulla terraferma, al contrario, è diventato una pertinenza anche delle navi da combattimento che interagiscono con lo spazio in diversi modi, per esempio con il sistema di comunicazione satellitare, il sistema di navigazione, i sistemi di electronic warfare (EW) ed electronic support (ESM), di signals intelligence (SIGINT) ed electronics intelligence (ELINT), e infine con l'attività missilistica. In quest'ultimo caso, il missile SM-3 impiegato dalle navi Aegis, ha dimostrato di possedere capacità antisatellite quando il 14 febbraio 2008 ha abbattuto il satellite USA-193 che era in avaria. L'ultima versione denominata SM-3 Block IIA è in grado di raggiungere un'altitudine di 1.000 km, e ciò costituisce un dato decisamente impressionate che lo rende, a tutti gli effetti, una cosiddetta "arma spaziale". Ricordiamo inoltre che la JMSDF dispone di una propria rete satellitare chiamata Superbird, costituita da satelliti geostazionari, fra i quali anche il DSN-1 e DSN-2 prodotti da Mitsubishi Electric. Il lancio di questi satelliti è avvenuto utilizzando i vettori europei Ariane 4 e 5, e il giapponese H2A. Quest'ultimo è un ottimo razzo della vasta gamma di vettori nipponici a disposizione del paese, che garantiscono anche una certa autonomia nel settore spaziale. 

Il quadro che abbiamo raffigurato dovrebbe fornire una delucidazione su come le navi siano diventate molto di più che semplici mezzi galleggianti adatti alla navigazione, bensì costituiscano delle avanzate piattaforme mobili dotate delle tecnologie più sofisticate, con sensori e missili all'avanguardia, capaci di esercitare il controllo dello spazio aereo e oltre, arrivando fino all'esosfera (al di sopra dei 500 km). In conclusione, le navi da combattimento attuali hanno davvero realizzato l'integrazione del campo di battaglia, con l'unificazione di terra, mare e cielo, e sono effettivamente concepite per combattere una guerra multidimensionale. 


Strategie e battaglie

I luoghi, dove adesso si minacciano nuove battaglie, sono stati in passato lo scenario delle più cruenti battaglie navali della Seconda Guerra Mondiale, ed è perciò opportuno ricordare quali furono le strategie e gli scontri, perché ciò può fornire utili suggerimenti circa le modalità di un conflitto nell'Oceano Pacifico. Infatti, la Marina Imperiale del Giappone (Dai Nippon Teikoku Kaigun) e l'US Navy, insieme ad altri alleati come la Royal Navy e la Royal Australian Navy, furono impegnate in una complessa guerra che impiegò migliaia di mezzi su un'enorme vastita di mari e oceani, dal nord presso le isole Aleutine al sud fino all'Australia, dall'ovest nell'Oceano Indiano a est spingendosi fino alle coste della California. L'immensità del conflitto, per le difficoltà delle operazioni e la grandiosità degli epici scontri, fa apparire quasi ridicole le scaramucce nel Mar Cinese Meridionale (soprattutto se si considera che i cinesi posseggono soltano due portaerei ). All'inizio della guerra e fino al 1943, i giapponesi condussero operazioni offensive (shinko sakusen), per passare poi, a causa della carenza di mezzi, a operazioni difensive (yogeki sakusen). In questa fase iniziale della guerra, nello Stato maggiore della Marina Imperiale vi erano diverse opinioni sulle modalità con cui si sarebbe dovuto affrontare il nemico. Vi erano infatti due strategie, una ispirata al concetto di "battaglia decisiva fra flotte" (kantai kessen), e l'altra alla "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen). Il termine giapponese kessen è composto dalle parole ketsu (decisivo) e tatakai (combattimento), e indica quindi una battaglia decisiva con la quale si determinao le sorti della guerra. Il caso emblematico è la battaglia di Tsushima (27-28 maggio 1905), che portò alla conclusione della Guerra russo-giapponese. Invece, la zengen sakusen era una strategia con operazioni d'attrito che miravano a indebolire il nemico con la graduale riduzione della sua potenza. Per fare ciò era favorito l'impiego di navi veloci come incrociatori e cacciatorpediniere armati di siluri, in grado di compiere attacchi fulminanti e creare scompiglio, anche a danno delle unità più grandi. Esempi di kantai kessen (battaglia decisiva) furono la battaglia di Midway (4-6 agosto 1942), che doveva portare allo scoperto le portaerei americane, ma vide rovesciarsi rovinosamente l'andamento dello scontro, e la battaglia di Leyte (23-26 ottobre 1944), che doveva stringere in trappola la flotta americana, ma si risolse nell'annientamento totale delle navi giapponesi in quella che fu la più grande battaglia aeronavale della storia. Invece un esempio lampante di zengen sakusen (riduzione graduale) fu la battaglia dell'isola di Savo (8-9 agosto 1942), dove vennero affondati 4 incrociatori alleati senza nessuna perdita da parte giapponese, in uno scontro notturno condotto con grande abilità e perizia. 

Ritornando all'attualità, vediamo come in caso di guerra le navi cinesi vorrebbero impegnare quelle giapponesi in punti diversi per distrarle e impedirle di concentrarsi nelle zone delle operazioni anfibie e di sbarco nelle isole meridionali delle Ryukyu (in particolare le Sakishima), e queste sarebbero le azioni preliminari per un'occupazione stabile. Tuttavia questa dispersione di navi non tiene in considerazione il controllo dello spazio aereo, e come le attività marittime siano fortemente condizionate dalla limitazione della libertà di movimento provocata dalle azioni delle forze aeree avversarie. Se consideriamo inoltre la potente capacità antinave dei velivoli giapponesi, sia della JASDF che della JMSDF, c'è da ritenere inopportuna una penetrazione in profondità nei mari controllati dal Giappone, perché così l'esposizione agli aerei che partono da terra aumenterebbe in modo pericolosissimo. Anche l'idea di poter impegnare un grande numero di navi per piegare l'avversario è altrettanto pericolosa e potenzialmente catastrofica. Quando l'Impero Cinese dominato dai mongoli di Kubilai Khan tentò nel 1281 un'invasione del Giappone, poteva contare su un'immensa flotta davvero impressionante per la grandezza. Questa gigantesca flotta era composta da 4.400 navi e 142.000 uomini, e si trattava di una delle più grandi forze navali di tutti i tempi, organizzata e costruita da abili carpentieri cinesi e coreani. L'invasione però fallì perché lo sbarco e la successiva avanzata terrestre furno bloccati ad Hakata (nella battaglia di Koan, giugno-agosto 1281) dove gli invasori furono sconfitti e fermati. Le navi che dovevano supportare l'occupazione si trovarono in estrema difficoltà perché non potevano procedere e completare gli sbarchi, rimanendo in balìa degli eventi, e subendo il peggioramento delle condizioni meteorologiche affondarono a causa dei tifoni. Fu una catastrofe di immense dimensioni che segnò la storia della Cina per sempre, tanto da impedirle in seguito qualsiasi progetto di occupazione del Giappone. 

Anche attualmente le isole del  Giappone sono presidiate da soldati pronti a respingere un tentativo di invasione, e in particolare sulle Ryukyu si trovano le batterie di missili antinave Mitsubishi Type 12 SSM e antiaerei Mitsubishi Type 03 Chu-SAM, e inoltre ci sono anche batterie antibalistiche PAC-3 Patriot, insieme a migliaia di uomini ben armati e organizzati adeguatamente. Perciò le forze di invasione cinesi rischiano seriamente di rimanere vittime della "strategia di riduzione graduale" (zengen sakusen), perdendo lentamente un gran numero di navi. 


La distributed lethality 

La nuova strategia adottata da US Navy e US Marine Corps per rinsaldare la supremazia sui mari è stata chiamata distributed (letalità distribuita), e intende porre rimedio alle criticità emerse a causa della sempre crescente aggressività cinese nell'Oceano Pacifico. La distributed lethality dovrebbe garantire un aumento del potere marittimo semplicecemente incrementando le capacità offensive di ogni singola unità di superficie, e fornendo armamenti altamente distruttivi oltre che agli incrociatori e ai cacciatorpediniere, anche alle navi da combattimento costiere (Littoral Combat Ship), alle navi anfibie e alle imbarcazioni logistiche. Inoltre le unità formerebbero dei gruppi chiamati SAG (Surface Action Group), che essendo più piccoli e meglio disseminati sarebbero un bersaglio più difficile e arduo da colpire. Fra le novità comportate da questa strategia c'è anche la trasformazione delle navi anfibie in portaerei leggere dotate di una componente aerea costituita da F-35B. L'esempio di questa nuova tipologia di nave è la classe America, di cui fanno parte la capoclasse America e la Tripoli, e di cui è pianificata la costruzione di ben 11 unità. Ciò significa che l'US Navy non disporrà soltanto delle super-carrier della classe Numitz e Gerald Ford, ma avrà anche la possibilità di impiegare portaerei più piccole, ma comunque micidiali grazie alla categoria di aerei imbarcati, ossia i cacciabombardieri stealth di quinta generazione F-35B. Se questa strategia può apparentemente sembrare insufficiente e limitata, si deve però prendere in considerazione la reale capacità operativa della Marina Cinese, mettendo da parte le dichiarazioni propagandistiche del regime. Innanzitutto la composizione della flotta cinese risente ancora di un'organizzazione frettolosa che vede una prevalenza delle meno dotate fregate rispetto ai cacciatorpediniere (che sono soltanto 33), e quest'ultimi con la presenza di molti modelli vecchi e osoleti (fra cui i Sovremenny) o meno evoluti (come i Type 051). Viceversa l'US Navy ha molte più navi grandi e prestanti, tra cui 22 incrociatori Ticonderoga, 67 cacciatorpediniere Arleigh Burke, e 3 Zumwalt. Un aumento delle capacità delle unità più piccole porterebbe quindi a un vantaggio attualmente non ancora sfruttato. Il potenziamento delle LCS (Littoral Combat Ship) potrebbe facilmente permettere di eguagliare le numerose fragate cinesi, liberando così nel contempo i più grandi e potenti cacciatorpediniere. 

Un discorso particolare meritano invece le 2 portaerei denominate Type 001 e Type 001A. La Liaoning è la portaerei Type 001, che non è altro che la vecchia nave sovietica Varyag della classe Kutznetsov, varata nel 1988, e acquistata in Ucraina in maniera rocambolesca da una socieà cinese di copertura. Trasferita in Cina nei cantieri di Dalian nel 2000, ha dovuto subire interventi di riparazione e lavori di completamento, anche e soprattutto a causa delle pessime condizione in cui era giunta, e allla situazione di abbandono che ne aveva provocato il grave deterioramento. Fra i problemi tecnici che affliggono la Liaoning c'è l'apparato propulsivo costituito da 8 vecchie caldaie che generano vapore per 4 turboriduttori, con una soluzione che non è particolarmente efficiente e moderna, e spesso poco affidabile a causa dell'osolescenza degli apparati originali. Le caldai a vapore forniscono comunque una potenza di 200.000 cv, sufficiente per la grossa mole di 53.000 t di dislocamento standard, che raggiunge fra 60.000 e 66.000 t a pieno carico. La portaerei Liaoning può imbarcare 26 caccia Shenyang J-15 e 14 elicotteri, tuttavia il sistema di decollo e appontaggio costituisce un altro problema, essendo uno STOBAR (Short Take-Off But Arrested Recovery) che utilizza un grosso trampolino (ski-jump) posto a prua con un'inclinazione di 14° gradi. La principale carenza riguarda appunto i caccia Shenyang J-15, che hanno caratteristiche e prestazioni decisamente scadenti. Lo Shenyang J-15 è una versione cinese del Sukhoi Su-33, che a causa delle grosse dimensioni, del peso eccessivo, e della scarsa potenza dell'apparato propulsivo, è costretto a gravi limitazioni per consentire il decollo dal trampolino delle portaerei. Ciò significa che per contenere il peso, e favorire quindi il decollo, viene imbarcato poco combustibile e meno armamenti. Questa situazione è chiaramente visibile con l'osservazione dei J-15 che decollano dalle portaerei con pochi missili, che sono veramente ridotti all'essenziale. Secondo alcune fonti locali cinesi, in queste condizioni lo Shenyang J-15 avrebbe un raggio di combattimento limitato a soli 120 km, un valore decisamente basso che ne compromette l'operatività, riducendone al minimo le capacità offensive. 

Ciò significa che la Type 001, e la sua copia Type 001A, sono nettamente inferiori alle navi anfibie della classe America riconfigurate come portaerei leggere, non soltanto perché quest'ultime impiegano caccia stealth di quinta generazione, ma per le prestazioni complessive, l'affidabilità, e l'efficacia di impiego.  Gli F-35Bhanno un raggio di combattimento di 935 km, e un carico utile di armamento di 6.800 kg. Le America possono trasportare da 16 a 20 di questi aerei, e nelle esercitazioni si è visto fino a 13 F-35B schierati contemporaneamente sul ponte di volo. Attualmente la capoclasse America si trova schierata nella base navale di Sasebo, presso Nagasaki, nel sud del Giappone, pronta a contrastare la Liaoning e la Shandong. La strategia della distributed lethality non riguarda solo le navi, ma interesserà anche l'organizzazione delle basi aeree e navali, come sta accadendo a Guam. Infatti, l'isola di Guam non ospiterà più i bombardieri strategici dell'USAF in maniera permanente, ma li sposterà a rotazione fra le basi aeree della regione, e così anche l'isola di Wake si sta adeguando con la costruzione di una nuova pista e il rafforzamento delle infrastrutture. L'idea è di non fornire facili obiettivi concentrando le forze in pochi punti, ma viceversa si persegue lo scopo è di mettere in difficoltà l'avversario costringendolo a scegliere fra numerosi obiettivi, e disperdendo così la sua potenza di fuoco. Forse non è superfluo osservare che parte di questa strategia riprende e rivaluta l'esperienza della sanguionosa Guerra del Pacifico (1941-1945), e ripropone quanto fatto in quel contesto aggiornandolo ai nostri tempi. 


Tradizione e innovazione dell'aeronavale indiano

Non vedere che l'Asia è composta da tanti e diversi paesi sembrebbe, come accennato all'inizio, un disturbo che purtroppo colpisce molti analisti. Per questo motivo considerare lo scontro fra Cina e Stati Uniti in maniera univoca è assolutamente fuorviante, perché ciò che si sta affermando non è un bipolarismo fra superpotenze, ma invece un multipolarismo caotico fra potenze grandi, medie e piccole. L'india, che è indiscutibilmente un gigante dell'Asia, in questo contesto svolge quindi un ruolo fondamentale, e soprattutto per l'importanza della sua forza aeronavale che avrà un ruolo sempre più consistente nei rapporti di potere marittimo.  

Un'eccellenza della forza aeronavale indiana è rappresentata dalla portaerei Vikramaditya, ex Admiral Gorshkov della classe Kiev, venduta dalla Russia nel gennaio 2004, ricostruita e modificata, e poi entrata in servizio il 14 giugno 2014. Con un dislocamento a pieno carico di 45.000 t, lunga 283 m e larga 60 m, può imbarcare fino a un massimo di 35 velivoli, fra cui i caccia Mikoyan-Gurevich MiG-29K Fulcrum e gli elicotteri Kamov Ka-31 e Ka-28. Un'altra portaerei, la nuova Vikrant (da non confondere con una precedente unità con lo stesso nome), è stata varata il 12 agosto 2013, ed entrerà in servizio verso il 2023. Lunga 262 m, con un dislocamento di circa 40.000 t, permetterà di impiegare fino a 40 velivoli. Si parla molto poco delle portaerei indiane, mentre le equivalenti unità cinesi ricevono un'attenzione spesso spropositata dalla stampa, come nel caso della modesta Liaoning. Al contrario, le portaerei indiane presentano soluzioni più moderne, come l'impiego dei MiG-29K, adottati su suggerimento russo, che dovrebbero costituire una valida alternativa al Su-33, essendo molto più leggeri e versatili (ciò permetterebbe il superamento dei problemi al decollo di cui abbiamo parlato a proposito della Liaoning). Le versioni più recenti del MiG-29, come i modelli Mig-29M e MiG-29K, hanno avuto una riprogettazione di quasi un terzo della cellula, e sono così un aereo molto diverso e più prestante, a cui si aggiunge una strumentazione e avionica molto più avanzata.    

La Marina Indiana (Bharatiya Nau Sena) ha anche un'esperienza molto più lunga e una migliore preparazione, potendo vantare l'impiego della Viraat dal 1987 al 2017, con i cacciabombardieri Sea Harrier, e ancora prima con la vecchia e gloriosa Vikrant, entrata in servizio nel 1961 e radiata nel 1997, divenuta famosa durante la guerra con il Pakistan nel 1971, grazie alle operazioni dei suoi caccia Hawker Sea Hawk. Sulla base di questi fatti storici, si può affermare che l'aeronavale indiano non va affatto sottovalutato, anzi rappresenta senza dubbio una spina nel fianco della Marina Cinese, e delle sue pretese espansionistiche. Tuttavia l'aspetto più geniale della politica di potenza navale dell'India è rappresentata da un'alleanza con il Giappone che sta diventando geopoliticamente sempre più importante, soprattutto  perché realizza una tenaglia che stringe ai lati la Cina, che viene così schiacciata a Oriente dal Giappone e a Occidente dall'India. Ricordiamo brevemente in che cosa consiste questa cooperazione militare che ridisegna i rapporti di forza in Asia: il Giappone e l'India hanno stipulato un accordo chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India, firmato il 22 ottobre 2008 a Tokyo dal primo ministro giapponese Taro Aso e dall'omologo indiano Manmohan Singh. Questo accordo prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, la collaborazione dell'intelligence con lo scambio di informazioni, e possibilmente il sostegno e la compartecipazione ad attività e programmi nel settore dell'industria militare. Come è stato evidenziato in precedenza, l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e queste attività bilaterali hanno assunto sempre di più un ruolo considerevole. Le esercitazioni navali congiunte fra Giappone e India sono chiamate JIMEX (Japan-India Maritime Exercise), e si svolsero per la prima volta il 9-12 giugno 2012 nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, con l'impiego dei cacciatorpediniere giapponesi Ariake e Setogiri, e quattro navi indiane, il cacciatorpediniere Rana, la fregata Shivalik, la corvetta Karmukh e il rifornitore Shakti, inoltre partecipò anche l'aviazione navale nipponica con i pattugliatori P-3C Orion e vari elicotteri. L'esercitazione JIMEX 13 si è svolta l'anno seguente, a Chennai nel golfo del Bengala, il 19-22 dicembre 2013, con la fregata Satpura, il cacciatorpediniere Ranvijay e la corvetta Kuthar. L'esercitazione più recente è stata la JIMEX 18, svoltasi il 7-15 ottobre 2018, a Visakhapatnam, nel sud dell'India, con un dispiegamento di forze notevole che comprendeva la portaeromobili giapponese Kaga, il cacciatorpediniere multiruolo Inazuma, e la fregata indiana Satpura, la corvetta Kadmat e il rifornitore Shakti. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico, stringendo una collaborazione sempre più fruttuosa e importante. Recentemente si è assistito a un'altra prova concreta di questa collaborazione con l'esercitazione congiunta PASSEX (PASSing EXercise) svoltasi il 27 giugno 2020 presso lo stretto di Malacca, a cui hanno partecipato i cacciatopediniere giapponese Shimayuki e la nave scuola Kashima, e per la parte indiana il cacciatorpediniere Rana e la corvetta Kulish. Questo rappresenta il quindicesimo addestramento congiunto fra i due paesi negli ultimi tre anni, dimostrando un'intensità ormai considerevole. Inoltre, l'esercitazione ha anche costituito un segnale politico chiaro, dopo l'incidente alla frontiera presso la valle di Galwan (15 giugno 2020), con lo scontro fra truppe cinesi e indiane. In proposito il governo giapponese ha espresso ufficialmente la sua solidarietà all'India, e le condoglianze per i 20 soldati indiani morti, con una presa di posizione netta e insolita, che ha ignorato qualsiasi tentativo di mediazione e dialogo diplomatico. Possiamo osservare come ciò sia un atteggiamento tipico della nuova fase da Guerra Fredda in cui ci troviamo, ed è un segnale innegabile del nuovo corso della storia. 


Il controllo del mare e il pensiero strategico

Indubbiamente nell'ultimo decennio la Cina ha introdotto un nuovo concetto di potere navale, trasferendo l'idea di controllo territoriale anche al mare secondo modalità inconsuete, che apparentemente sembrerebbero una palese esibizione di forza, ma che secondo alcuni nasconderebbero una grave inesperienza. In effetti, i cinesi non hanno mai vinto una battaglia navale nella loro straordinaria storia millenaria, anzi hanno subito cocenti sconfitte. Innanzitutto ricordiamo la catastrofica spedizione del 1281, con la perdita di una immensa flotta di 4.400 navi che tentarono l'invasione del Giappone, ma ancora più importante è la Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), che vide affrontarsi le flotte dei due paesi. Ciò che mancò ai cinesi in quell'occasione non fu la potenza e il numero di navi, bensì l'addestramento. Al contrario, i giapponesi (in particolare il feudo di Satsuma), avevano appreso dagli inglesi le tecniche più avanzate di combattimento navale, ed erano in grado di applicarle correttamente, ed è ciò che condusse alla vittoria nipponica della battaglia dello Yalu (17 settembre 1894). 

Attualmente la strategia navale cinese sembra ridursi a una politica di potenza basata su un gran numero di navi pesantemente armate. Tuttavia la storia insegna che le battaglie navali non sono necessariamente vinte da chi ha più navi e armamenti, ma da chi li usa meglio. L'esempio classico è ovviamente la sconfitta della Invencible Armada di Filippo II, distrutta nel 1588 dalle meno numerose navi inglesi di Elisabetta I, ma meglio organzizzate e guidate da una strategia precisa. 

In conclusione, se dovessimo chiedere a un esperto militare quale sia la strategia cinese per il controllo del mare, ci verrebbe sicuramente ricordata la militarizzazione delle isole (la cosiddetta "collana di perle"), la creazione della A2/AD (Anti-Access/Area Denial), e lo schieramento dei missili balistici antinave, ma sull'uso delle navi e della strategia navale non saprebbe dirci niente perché i cinesi in realtà considerano le navi soltanto numericamente, stimando la forza come una mera questione di quantità. Per questo motivo la strategia navale gli appare come un inutile orpello del pensiero occidentale, e quest'ultimo è continuamente disprezzato dal regime. Semplicente i cinesi stanno applicando sul mare una strategia continentale, puramente terrestre, basata sull'ampliamento territoriale. Non vi è perciò alcuna concezione e sensibilità nei confronti della strategia navale. Però questa mancanza di pensiero strategico autenticamente marittimo potrebbe rivelarsi fatale, rivelando una carenza esiziale tenuta ben nascosta.