sabato 19 agosto 2023

Il pacifismo proattivo del Giappone

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". 

Cfr. Cristiano Martorella, Il pacifismo proattivo del Giappone, in "Panorama Difesa", n. 346, anno XXXIII, novembre 2015, pp. 62- 67. 



Il pacifismo proattivo del Giappone

L'espressione "pacifismo proattivo" usata dal premier Shinzo Abe indica una diversa considerazione del ruolo e dell'impiego delle forze di autodifesa che viene sancita da un adeguato pacchetto di provvedimenti legislativi.  

di Cristiano Martorella 

  

Il Parlamento giapponese ha approvato definitivamente la riforma che afferma il principio della "difesa collettiva" (shudan teki jieiken) con l'adozione di due leggi in proposito, realizzando quel "pacifismo proattivo" (sekkyoku teki heiwa shugi) tanto desiderato dal premier Shinzo Abe. La Camera dei Rappresentanti aveva votato i due provvedimenti legislativi il 16 luglio 2015, con l'approvazione di una maggioranza schiacciante, mentre la Camera dei Consiglieri l'ha fatto appena due mesi dopo, il 19 settembre, nonostante il duro ostruzionismo dell'opposizione e le numerose critiche dell'opinione pubblica. 

In precedenza il governo aveva già emesso un decreto, il 1° luglio 2014, che introduceva l'adozione della "difesa collettiva" e avviava l'iter legislativo. 

La prima legge riguarda la possibilità per le forze di autodifesa di intervenire in soccorso degli alleati sotto attacco nemico, una facoltà prima preclusa dalle regole di ingaggio che prevedevano la risposta al fuoco soltanto in caso di attacco diretto alle proprie unità. L'anomalia di questa modalità di impiego delle forze di autodifesa, che rischia di diventare molto pericolosa in un contesto di scontri armati reali, nasceva nell'ambito della Guerra Fredda, quando i conflitti con armi convenzionali erano considerati più rari a causa della deterrenza delle armi atomiche. 

Attualmente questa concezione è ampiamente superata perché i conflitti non sono più regolati dall'equilibrio fra le due superpotenze, ma sono molto più disordinati, spesso asimmetrici e imprevedibili, senza uno schema prefissato. Mantenere regole di ingaggio cosiffatte sarebbe catastrofico per qualsiasi paese, infatti durante l'aggressione a un alleato si dovrebbe attendere di essere a sua volta attaccati prima di reagire. 

Quindi la "difesa collettiva" è un semplice principio di buonsenso che considera praticamente l'eventualità di un conflitto e predispone l'adeguata e pronta reazione all'evento. La pretesa di vietare qualsiasi intervento contro un'aggressione risultava decisamente irresponsabile e autolesionista, oltre a essere anacronistico in un mondo dove le minacce si moltiplicano in maniera caotica. 

La seconda legge concerne la possibilità di inviare all'estero le forze di autodifesa per collaborare alle operazioni internazionali a favore delle sicurezza e del ristabilimento della pace. In passato questa capacità è stata fortemente richiesta dagli alleati del Giappone, in particolare gli Stati Uniti, considerando lo scarso impiego delle forze giapponesi in attività di peacekeeping. Si diceva spesso che il Giappone, nonostante fosse la terza potenza economica mondiale, non si comportasse adeguatamente facendosi carico anche degli impegni militari. Questa critica è destinata a scomparire perché recentemente la situazione è cambiata, e questa legge rispecchia il nuovo atteggiamento più disposto alla collaborazione con gli alleati per il mantenimento della stabilità regionale. 

 

La fine dell'ipocrisia 

Nonostante queste modifiche legislative è esagerato affermare che il Giappone non sia più un paese pacifico e abbia imboccato una strada di forte riarmo e addirittura militarismo. Questo è un giudizio estremamente severo, ma irrealistico, che purtroppo ha avuto una certa risonanza da parte dei mass media. Contrariamente a quanto scritto da alcuni commentatori, l'articolo 9 della Costituzione (il quale ribadisce il ripudio della guerra come strumento per la risoluzione delle controversie) non è stato minimamente alterato o modificato. In ogni caso il Giappone non potrà attaccare di sua iniziativa un paese oppure occuparne, nemmeno in minima parte, i territori. Ciò non è un principio astratto, ma una norma basilare garantita dalla legge, ed esistono tutti gli strumenti legali e le istituzioni perché venga rispettata. Il Giappone è una democrazia liberale, ed è bene ricordarlo, perché in un simile sistema il diritto è assolutamente tutelato,e nessuno è al di sopra della legge, nemmeno lo Stato. Tuttavia, oltre all'articolo 9 della Costituzione c'è anche l'articolo 41, il quale dichiara che il Parlamento è il più alto organo dello Stato, ed è appunto questo Parlamento medesimo che ha approvato la "difesa collettiva". Negare la dignità e il valore di questa legge sarebbe perciò assurdo e privo di senso. 

Comunque, ciò che è cambiato con il principio della "difesa collettiva" risulta evidente dalla profonda crisi delle istanze pacifiste. L'idea di poter garantire la pace soltanto con il disarmo unilaterale e la proposta del dialogo, si scontra con una realtà molto più dura e cinica. L'uso della forza militare per imporre la propria volontà rimane un'opzione molto praticata dai regimi autoritari e dagli estremisti, e purtroppo il dialogo non è possibile con un interlocutore che non è intenzionato ad ascoltarti. Attualmente la pace non può essere mantenuta soltanto con le buone intenzioni, ma bisogna scoraggiare i potenziali aggressori. Questo aspetto è stato evidenziato da Kuni Miyake, un analista giapponese molto attento ai problemi della difesa, un eccellente saggista e un consigliere politico apprezzato. Soprattutto Kuni Miyake ha mostrato che le nuove generazioni in Giappone hanno una percezione differente della questione, essendo meno influenzate dagli eventi tragici della Seconda guerra mondiale. I giovani, infatti, ritengono che le preghiere non siano sufficienti ad allontanare una possibile aggressione militare, e con pragmatismo chiedono una adeguata capacità reattiva contro tale pericolo. 

Anche il sociologo Hiroki Azuma ha riconosciuto un diverso atteggiamento dei giovani giapponesi, identificando in particolare un nuovo tipo di nazionalismo nella cultura popolare contemporanea del Giappone. Questa tendenza rielabora stili antichi fondendoli alla modernità, e riconsidera anche il ruolo delle forze armate ritenute indispensabili. Il fenomeno è ampiamente riscontrabile nelle parate delle forze di autodifesa e nelle esibizioni dell'aeronautica, sempre affollatissime e piene di entusiasmo, ma anche nei prodotti dell'industria dell'intrattenimento come videogiochi, fumetti e cartoni animati, dove appaiono celebrati i mezzi militari e i personaggi inerenti (si osservi, per esempio, la serie Kantai Collection emblematica per capire il genere). In questo modo si crea una forma di affezionamento ad aspetti del mondo militare che prima erano rigettati in nome del pacifismo. Esiste perciò un notevole mutamento emotivo nei confronti degli argomenti inerenti alla difesa, sicuramente complesso e ambivalente, ma anche meno drastico e assoluto. 

 

Comprendere le contraddizioni 

Gli studiosi specialisti della cultura giapponese sottolineano frequentemente un aspetto della mentalità nipponica chiamato aimai (ambiguità) per indicare la tendenza a non distinguere un'idea o un pensiero in maniera univoca. Questo tratto culturale si rispecchia anche nell'atteggiamento dell'odierno orientamento pacifista del Giappone contemporaneo, una forma di "identità delle contraddizioni" che si manifesta in una nazione dotata di un potente apparato industriale e militare, ma che continua a professarsi pacifica e contraria a ogni guerra. Si ricordi che nel settore della difesa lavorano aziende di grande importanza e notevoli dimensioni come Mitsubishi, Kawasaki, Hitachi, Toshiba, Ishikawajima, e nonostante ciò i giapponesi percepiscono il proprio paese come "pacifista". 

Esistono varie espressioni per spiegare questo atteggiamento ambivalente, per esempio omote (facciata) e ura (retro), ma soprattutto tatemae (il comportamento pubblico esteriore) e honne (i veri sentimenti). Quindi in Giappone è diventata consuetudine dichiararsi pacifista, stigmatizzando anche il tragico passato militarista, mentre è radicata l'intima convinzione che la pace può essere garantita soltanto da un valido ed efficiente sistema di difesa. 

D'altronde i settanta anni di pace goduti dal Giappone sono stati garantiti dall'impegno degli Stati Uniti che ponevano la nazione sotto l'ombrello protettivo della ritorsione nucleare, precludendo la possibilità di qualsiasi intervento ostile. Il Trattato di Sicurezza (Japan-US Security Treaty) prevede, fin dall'entrata in vigore nel 1952, una immediata reazione delle forze armate statunitensi contro qualsiasi aggressione al Giappone, con una risposta di pari intensità all'attacco dell'eventuale nemico. 

Il caso più eclatante di questa ambiguità è riscontrabile nella maggioranza che sostiene il governo del premier Shinzo Abe, composta dal suo partito, il Jiyuminshuto (Partito Liberaldemocratico), e il Komeito (Partito dell'Onestà). Ebbene, il Komeito è una formazione di ispirazione buddhista nota per essere l'espressione di organizzazioni religiose che fanno del pacifismo il loro principio fondamentale. Tuttavia questi "pacifisti" hanno fedelmente sostenuto il governo, fino al punto di permettere l'approvazione delle leggi sulla "difesa collettiva", anche con i loro voti. Questo è l'aspetto più delicato su cui si dovrebbe riflettere, tanto da indurci a comprendere come dietro il pacifismo di facciata ci siano altre esigenze come la sicurezza del paese, la politica estera e la collaborazione internazionale che risultano infine molto più forti. 

In questo contesto le forze di autodifesa sono considerate indispensabili e un loro rafforzamento è visto come necessario, e ciò appare come una convinzione radicata anche in chi si dichiara "pacifista". 

In conclusione, l'espressione "pacifismo proattivo" coniata dall'esecutivo riassume molto bene, anche se involontariamente, questa ambiguità fra il desiderio di continuare a godere della pace e la necessità di difendere il paese, anche con le armi, dalle numerose minacce di un mondo sempre più caotico e complesso. 

 

Il ruolo nei programmi internazionali 

Può sembrare insolito, ma il Ministero della Difesa (Boeisho) fu creato soltanto il 9 gennaio 2007 grazie a un precedente provvedimento legislativo del governo di Jun'ichiro Koizumi dell'8 giugno 2006. Prima che fosse attuato questo cambiamento, gli stessi compiti erano svolti da un'agenzia (cho) con poteri più limitati e ridotto spessore politico. La creazione del Ministero della Difesa ha costituito un'importante svolta. Il Giappone si liberava così dai precedenti vincoli ideologici e dalle remore prodotte dall'impostazione pacifista della carta costituzionale. Soprattutto costituiva un importante cambiamento pratico, oltre che ideologico, perché permetteva di gestire l'amministrazione e l'organizzazione della difesa in maniera più coerente e razionale, abbandonando quel ruolo subordinato e bistrattato provocato dallo status di agenzia. 

Nonostante ci sia stata dal 2003 fino al 2012 una contrazione delle risorse finanziarie destinate alla difesa, recentemente è avvenuta una significativa inversione con un sensibile incremento del budget. Così dal 2013 al 2015 c'è stato un aumento annuale intorno al 2% circa, superando ampiamente la cifra record di 4.960 miliardi di yen raggiunta nel 2002. Ciò ha permesso di stabilire nuovi programmi e acquisizioni di sistemi d'arma come i cacciabombardieri Lockheed Martin F-35 Lightning II e i convertiplani Bell Boeing V-22 Osprey. 

Fondamentale è anche la collaborazione fra Mitsubishi e Raytheon per lo sviluppo della versione Block IIA del missile RIM-161 Standard  SM-3, un eccellente miglioramento del noto ABM (Anti-Ballistic Missile). Ormai il progetto è in una fase molto avanzata e sembra coronato dal pieno successo. 

Un altro programma sul quale è stata avviata una valida intesa è la possibilità di costruire una versione aggiornata del missile aria-aria MBDA Meteor studiata appositamente per le esigenze degli F-35. Il 17 luglio 2014, il Consiglio di Sicurezza Nazionale ha approvato una ricerca congiunta con la Gran Bretagna per la costruzione della nuova versione del Meteor. Con questa collaborazione Mitsubishi fornirebbe la tecnologia per realizzare il seeker del missile, attingendo alla straordinaria esperienza nel settore. 

Questi fatti delineano quanto il Giappone stia diventando importante nel contesto internazionale, e come sarà cruciale nei futuri scenari della difesa, nel mantenimento della pace e nella risposta alle minacce alla sicurezza mondiale, fornendo un contributo non trascurabile.