giovedì 17 agosto 2023

La difesa collettiva del Giappone

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". 

Cfr. Cristiano Martorella, La difesa collettiva del Giappone, in "Panorama Difesa", n. 338, anno XXXIII, febbraio 2015,  pp. 60-65. 




La difesa collettiva del Giappone 

La schiacciante vittoria elettorale di Shinzo Abe rilancia i progetti di rafforzamento della difesa nipponica con provvedimenti legislativi, riorganizzazione e acquisizioni di sistemi d'arma che stanno imponendo il paese del Sol Levante sulla scena internazionale. 

di Cristiano Martorella  


Le elezioni svoltesi in Giappone, il 14 dicembre 2014, hanno consolidato lo schieramento che sostiene il governo di centrodestra del premier Shinzo Abe, assegnando una consistente maggioranza parlamentare, superiore ai due terzi, che adesso permetterebbe anche una possibile modifica della costituzione. Queste elezioni anticipate sono state fortemente volute dal premier con l'intenzione di ottenere una solida e ampia maggioranza, risultato ottenuto pienamente, così da poter rilanciare gli ambiziosi progetti di riforme economiche e istituzionali, con un particolare impegno nella riorganizzazione della difesa. Per quanto concerne le riforme istituzionali, una speciale importanza assume il concetto di difesa collettiva che sta cambiando radicalmente la strategia militare del Giappone. 

La difesa collettiva (in giapponese shudan teki jieiken) è una dottrina che riguarda le regole di ingaggio e impiego delle forze di autodifesa giapponesi, permettendo un intervento più esteso e in favore degli alleati, possibilità finora preclusa. Questa riforma è in fase di implementazione con il decreto del 1° luglio 2014 e i successivi provvedimenti legislativi in realizzazione. 

Già nella missione di peacekeeping in Iraq (Samawah 2004-2006) apparvero evidenti le incongruenze e gli ostacoli rappresentati dall'adeguamento ai principi pacifisti della costituzione, interpretati spesso in maniera troppo rigida ed esclusiva. Le truppe giapponesi, infatti, secondo le regoli in vigore in quel periodo, potevano rispondere al fuoco soltanto dopo essere state attaccate, e non potevano prestare soccorso agli alleati sotto il fuoco nemico. La pericolosità di questa situazione apparve evidente, mostrando l'inadeguatezza della legislazione all'attuale situazione internazionale, completamente cambiata, e tuttora in continuo mutamento. 

La costituzione, entrata in vigore nel 1947, rispondeva all'esigenza di liberare il Giappone dagli eccessi delle fazioni estremiste che avevano sconvolto la politica e le forze armate, quest'ultime non più al servizio del paese ma piegate agli interessi personali. Erroneamente si dice che la costituzione fu imposta dalle forze di occupazione americane, ma si dimentica quanto, durante la guerra, la popolazione civile abbia sofferto a causa della violenta repressione sociale imposta da alcuni militari spregiudicati. Questi personaggi arrivarono al potere tramite l'eliminazione fisica dei propri avversari, la soppressione dei politici moderati, e lo stravolgimento del regolare funzionamento delle istituzioni politiche. Perciò la costituzione del 1947 (che non ha principi molto diversi dalla costituzione del 1889, basata anch'essa su un impianto istituzionale di tipo parlamentare) fu considerata dalla maggioranza della popolazione come un ristabilimento dell'ordine sociale (non si dimentichi come nel 1936 e nel 1945 vi furono due tentativi di colpo di stato condotti da militari contro l'autorità imperiale), di condizioni di vita dignitose e dei diritti civili. 

Questa accettazione della costituzione non fu però condivisa da un gruppo di politici, chiamati dagli storici col nome di "fazione anti-Potsdam" (dal nome della conferenza che sancì la fine della guerra), che riteneva penalizzanti le condizioni della resa giapponese, e umiliante l'adozione di una carta costituzionale che riduceva la sovranità del Giappone impedendo il diritto alla belligeranza. Fra i politici che intendevano riconsiderare il ruolo militare del Giappone, spiccava Nobusuke Kishi (1896-1987), primo ministro e nonno materno dell'attuale premier Shinzo Abe. Si capisce così l'ostinazione di Abe nel riproporre la modifica della costituzione, una questione che è per lui quasi un affare di famiglia, oltre a essere un'eredità politica della propria corrente politica. Ricordiamo anche che Nobusuke Kishi fu l'artefice del consolidamento dell'alleanza militare con gli Stati Uniti, con la firma del rinnovo del Treaty of Mutual Cooperation and Security (Washington, 19 gennaio 1960), un pilastro della strategia nella regione Asia-Pacifico.  

 

La nascita delle forze di autodifesa 

Nel periodo dell'immediato dopoguerra, le critiche alla costituzione non furono un'esclusiva di un gruppo limitato di politici giapponesi, anzi divennero l'oggetto di una puntuale riflessione degli analisti stranieri. Con lo scoppio della guerra di Corea (1950-1953) furono gli americani ad accorgersi per primi delle gravi limitazioni imposte della costituzione giapponese. Prima del 1954, in caso di conflitto che avesse coinvolto il Giappone, le forze armate statunitensi sarebbero state investite completamente dal compito di difendere il paese senza poter richiedere alcuna partecipazione dei giapponesi. La costituzione, infatti, vieta l'esistenza e l'impiego della forze armate (il termine usato è rikukaikugun ovvero esercito, marina e aeronautica militare). Quindi, per aggirare tale ostacolo si organizzò inizialmente un corpo di riserva della polizia (keisatsu yobitai), poi si trovò una soluzione nella particolarità della cultura giapponese per la quale la "forma" è "sostanza". Ricorrendo a un artificio linguistico, che salvava le apparenze formali, si istituirono le forze di autodifesa (in giapponese jieitai) che non sono un esercito (rikugun), almeno dal punto di vista linguistico. Si passò così dalla formazione del corpo di riserva della polizia (keisatsu yobitai) nel 1950, al corpo di sicurezza (hoantai) nel 1952, alle definitive forze di autodifesa (jieitai) nel 1954. 

Tuttavia i compiti delle jieitai furono severamente regolamentati per non provocare una accusa di incostituzionalità. Infatti, le forze di autodifesa, fino a qualche anno fa, erano concepite esclusivamente per la difesa del Giappone. Per queste ragioni gli armamenti subirono limitazioni con una selezione qualitativa che escludeva i missili balistici a medio e lungo raggio, i bombardieri pesanti strategici e le portaerei d'attacco. Furono scelte dettate dall'onestà di rispettare i principi della costituzione, ma non sono in alcun modo vincolanti. Il Giappone potrebbe comunque dotarsi tranquillamente di portaerei se fossero giustificate dall'esigenza di proteggere la flotta. Potrebbe addirittura dotarsi di missili balistici se minacciato direttamente da un paese dotato di armi simili, ipotesi che con le minacce della Corea del Nord è stata valutata seriamente prima che il paese realizzasse un efficace scudo antimissile. 

La costituzione, anche se descritta come "pacifista", non vieta in alcun modo al Giappone di difendersi se attaccato, perché essa afferma semplicemente che il paese rinuncia alla guerra come diritto sovrano e all'uso della forza come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali. Viceversa la costituzione non prevede in alcun modo che il Giappone debba arrendersi senza combattere a qualsiasi aggressione militare, perché in tal caso non sarebbe intesa come "pacifista", ma come "masochista". Molte critiche alla rinnovata politica della difesa giapponese cadono in questa contraddizione, difendendo le pretese degli aggressori che fanno un uso spregiudicato e violento della propria forza militare. 

Per questi motivi le forze di autodifesa giapponesi sono pienamente costituzionali, e rappresentano una fondamentale istituzione dello stato pienamente inserita nella vita sociale del paese, considerando anche il ruolo di soccorso che esse svolgono durante le numerose calamità naturali.  

 

Un paese che vuole essere "normale" 

Il concetto di "paese normale" fu introdotto negli anni '90 da Ichiro Ozawa, già ministro degli Interni nel 1985, e influente politico che ha esercitato un ruolo importante nelle dinamiche del paese. Nel volume Nihon kaizo keikaku (Piano di ristrutturazione del Giappone) del 1993, Ozawa sosteneva che il Giappone dovesse abbandonare la politica pacifista e di disarmo tipica del dopoguerra, rinunciando alla concezione di "paese amante della pace" (heiwa kokka) e divenendo un "paese normale" (futsu no kuni). L'idea è entrata prepotentemente nel dibattito culturale mostrando una sua indubbia validità alla luce dello scenario internazionale contemporaneo, e trovando molti sostenitori capaci di elaborarla, arricchendo la discussione con puntuali approfondimenti e osservazioni sulla situazione concreta del Giappone. Fra gli analisti che hanno discusso l'argomento, Kuni Miyake merita indubbiamente una particolare attenzione, per la straordinaria competenza e l'acutezza mentale, mettendo in evidenza aspetti sociali spesso trascurati. Secondo Kuni Miyake, la nuova generazione di giapponesi ritiene che le preghiere per la pace non siano sufficienti per scongiurare un conflitto, mentre sarebbe più opportuno scoraggiare i molti potenziali aggressori, e ciò può essere fatto efficacemente soltanto con un dispositivo militare adeguato alla minaccia e con strategie all'altezza del compito. 

Da queste considerazioni emerge come il pacifismo del Giappone nasconda una profonda ipocrisia occultata nella consapevolezza che la pace può essere mantenuta soltanto con un sistema di difesa efficiente. Il pacifismo del Giappone è quindi, in ultima istanza, una espressione linguistica che non corrisponde agli autentici sentimenti che si ritiene opportuno di non poter esprimere esplicitamente, condizione che in giapponese si chiama "ura to omote". Per comprendere meglio ciò, è utile ricordare un'altra espressione, heiwa boke, che significa letteralmente "rimbambito dalla pace". Questo strano termine, che poteva nascere solo in un paese di guerrieri, indica quella condizione di sottovalutazione del pericolo provocata dalla assuefazione a un clima di pace. Heiwa boke è dunque chi non vuole riconoscere la minaccia di una aggressione militare e si illude di poter evitare il conflitto. Il Giappone non vuole assolutamente cadere nell'errore dell'heiwa boke, e si sta prodigando nell'evitare una simile prospettiva. 

 

La riorganizzazione della difesa 

La difesa collettiva (shudan teki jieiken) attraverso una diversa interpretazione della costituzione permette un impiego più esteso, consentendo l'intervento in difesa di forze amiche e in zone di interesse strategico, ampliando la collaborazione con gli alleati e favorendo le missioni internazionali. Tuttavia la difesa collettiva è soltanto un tassello di una più ampia strategia che il Giappone sta perseguendo da qualche anno. Con la pubblicazione delle National Defense Program Guidelines nel 2011, si è passati dal criterio di basic defense forces (kiban teki boei ryoku), ovvero il mantenimento di risorse necessarie esclusivamente per l'autodifesa, al nuovo concetto adottato di dynamic defense forces (do teki boei ryoku). Questa dottrina prevede il mantenimento di capacità militari, anche offensive, tali da contribuire alla sicurezza e stabilità regionale, e inoltre pone una maggiore attenzione alla mobilità e alla capacità di intervento rapido. 

L'applicazione di questa dottrina appare con particolare evidenza nella riorganizzazione della Forza terrestre di autodifesa (Rikujo jieitai) che sarà ristrutturata con una maggiore mobilità e interoperabilità  con le altre forze. Soprattutto ci sarà la creazione di una nuova componente di impiego rapido basata su tre divisioni e quattro brigate ad alta prontezza, una divisione corazzata e una brigata aeromobile, una brigata elicotteri e una brigata anfibia. Quest'ultima unità sarà dotata di 52 veicoli anfibi AAV-7A1 (Assault Amphibious Vehicle) e 17 convertiplani Bell Boeing V-22 Osprey, e inoltre sarà equipaggiata  con il nuovo blindato Type 15 MCV (Maneuver Combat Vehicle, in giapponese Kidosentosha), un mezzo prodotto dalla Mitsubishi  che permetterà una notevole mobilità e potenza di fuoco con il cannone da 105 mm, ed è anche aviotrasportabile grazie alle capacità del cargo Kawasaki C-2. 

La Forza di autodifesa aerea (Koku jieitai) sta realizzando la transizione agli aerei stealth di quinta generazione, cominciando con l'adozione del Lockheed Martin F-35A, fra breve in servizio, e sviluppando il caccia intercettore Mitsubishi F-3 (attualmente allo stadio di prototipo noto come ATD-X Shinshin). Inoltre c'è un potenziamento degli armamenti dei velivoli con missili, come gli AAM-4B e AAM-5, dalla prestazioni nettamente migliori. 

La Forza di autodifesa marittima (Kaijo jieitai) è senza dubbio quella che sta ricevendo il maggiore rafforzamento, e secondo i piani stabiliti si prevede di formare una componente principale di superficie articolata in quattro flottiglie con basi a Yokosuka, Sasebo, Maizuru e Kure. Ogni flotta sarà composta essenzialmente da una portaeromobili DDH, un caccia lanciamissili DDG, un cacciatorpediniere DD di nuova generazione, e cinque cacciatorpediniere DD convenzionali. Le unità da combattimento conteranno un totale di 54 cacciatorpediniere, e i sottomarini aumenteranno fino a 22 battelli. Questi numeri mostrano come la marina giapponese, dopo l'US Navy, sia la più forte in Estremo Oriente. 

Nel contesto multipolare del mondo contemporaneo, la potenza militare del Giappone assume perciò un ruolo rilevante, in grado di spostare gli equilibri fra le nazioni. Il paese del Sol Levante avrà quindi un'importanza sempre più grande, rappresentando un baluardo della democrazia e un paese amico dell'Occidente in una regione cruciale nel presente come nel futuro.