mercoledì 9 agosto 2023

India, Cina e Giappone la realtà geopolitica dietro gli slogan

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". 

Cfr. Cristiano Martorella, India, Cina e Giappone: la realtà geopolitica dietro gli slogan, in "Panorama Difesa", n. 390, anno XXXVII, novembre 2019, pp. 42-53.  


                                                        

India, Cina e Giappone: la realtà geopolitica dietro gli slogan 

I nuovi equilibri mondiali presentano un quadro molto complesso caratterizzato da un multipolarismo caotico nel quale gli attori secondari stanno assurgendo a ruoli sempre più importanti. 

di Cristiano Martorella 

                                                 

Oggi, a dispetto dell'aumento di complessità, si assiste all'elaborazione di una visione teorica della situazione geopolitica sempre più semplificata, spinta da un'interpretazione delle questioni internazionali ridotta a facili slogan. Anche gli analisti propendono spesso, influenzati da questa tendenza, a fornire una narrazione estremamente semplificata. In contrasto con questo orientamento cercheremo di fornire una "narrazione alternativa" che descriva un quadro diverso, e perciò sicuramente più interessante, dei rapporti fra potenze, in particolare in Asia, dove sembra giocarsi il destino del mondo. La questione è cruciale perché le indagini teoriche degli analisti costituiscono gli strumenti con i quali si formano complessi di idee e giudizi, da cui derivano infine le decisioni politiche. Ma la situazione è forse anche più grave perché si assiste con frequenza a quel fenomeno che gli psicologi chiamano change blindness (cecità al cambiamento) che impedisce di vedere perfino i grossi cambiamenti in un ambiente, a causa della concentrazione su alcuni elementi isolati. Quindi non è affatto una preoccupazione esagerata porsi in maniera molto critica e polemica contro la tendenza attuale alla semplificazione. 

                                                       

Il mito del "pericolo giallo"

Iniziamo questa singolare attività di demistificazione trattando una delle maggiori suggestioni di tutti i tempi, il cosiddetto "pericolo giallo", ovvero la convinzione che i popoli asiatici siano destinati a dominare l'intero mondo, sovvertendo i valori e la cultura dell'Occidente. Questo mito nasce a metà dell'Ottocento, dopo le due importanti guerre che contrapposero l'Impero Britannico alla Cina, chiamate Prima e Seconda Guerra dell'Oppio, e combattute rispettivamente nel 1839-1842 e 1856-1860. Risulta interessante notare che le cause di questi conflitti sono molto simili a quelle che alimentano le attuali tensioni: l'Impero Cinese governato dalla dinastia Qing non intendeva acquistare le merci occidentali trattate dai mercanti inglesi, i quali a loro volta si erano vendicati sfruttando la dipendenza cinese dagli oppiacei, commerciandoli in maggiore quantità. La proibizione della vendita dell'oppio, con il conseguente sequestro della merce, provocò la guerra che si concluse con il completo assoggettamento della Cina al commercio occidentale, con l'apertura di nuovi porti, tra cui Canton e Shanghai, l'ottenimento di speciali concessioni, e la perdita di Hong Kong passata al Regno Unito. I pessimi rapporti fra cinesi e occidentali si amplificarono ed esplosero in ulteriori conflitti con le rivolte dei Taiping (1850-1864) e dei Boxer (1899-1901), alimentate da un esasperato sentimento xenofobo contro gli occidentali, mai sopito e ancora oggi rintracciabile nella popolazione cinese contemporanea. Curiosamente l'estrema debolezza economica, politica e militare della Cina generò un mito opposto alla realtà, creando nell'immaginario collettivo una suggestione alimentata da paure e ignoranza. Ciò che più ci interessa di questo mito è la costanza di alcune convinzioni che resistono ancora oggi, come l'idea che la supremazia cinese sarebbe determinata dall'evidente superiorità numerica della popolazione. Si sostiene, in maniera semplice e sbrigativa, che essendo i cinesi tanti, sarebbero naturalmente destinati a conquistare il mondo. In realtà, la Cina sta attualmente affrontando una gravissima crisi demografica provocata dalla politica del figlio unico che imponeva per legge un solo nascituro per ogni coppia. Nonostante il superamento di questa legislazione, la situazione è ormai compromessa, e secondo gli studi demografici più aggiornati la popolazione indiana starebbe oltrepassando numericamente quella cinese, considerata la più grande del mondo. Un'altra convinzione radicata identifica il carattere cinese con un'astuzia crudele capace di ordire subdoli intrighi e realizzare, grazie a un intelletto perfido e perverso, armi insidiose e straordinarie. Si pensi, per esempio, alla suggestione delle celebri torture cinesi, con tutto l'armamentario di strumenti per ottenere sempre più raffinate e crudeli sevizie. Questa credenza è tornata prepotentemente di moda a causa della martellante propaganda del regime di Pechino che alimenta il convincimento circa la superiorità militare cinese, in particolare nei confronti della propria popolazione a cui viene inculcata una pesante "educazione patriottica". Si è addirittura ricorso all'invenzione di espedienti retorici, come la formulazione della cosiddetta "strategia della mazza dell'assassino" (in cinese shashoujian) per sostenere un improbabile piano strategico che garantirebbe la vittoria nonostante la sproporzione fra le forze impegnate. La parola shashoujian è attestata fin dal 1995 nella terminologia militare per indicare la strategia elaborata dall'Esercito Popolare di Liberazione della Cina in un ipotetico conflitto con gli Stati Uniti, ed è apparsa anche nelle pubblicazioni occidentali a partire dal 1997, diffondendosi maggiormente dopo il 1999. Questa strategia si basa sull'idea di assestare un colpo improvviso e devastante capace di annientare le capacità di reazioni del nemico, disarticolando le sue potenzialità offensive, di coordinamento e comunicazione. Questo piano è stato concepito appositamente per contrastare forze convenzionali avversarie nettamente superiori, prendendo decisamente l'iniziativa e rovesciando le sorti del conflitto. Per la realizzazione del piano si prevede l'impiego di armi particolari e inedite, sviluppate appositamente per soddisfare le esigenze cinesi.. Fra questi armamenti spiccano sicuramente i missili balistici antinave (ASBM) del tipo Dong Feng DF-21D e DF-26, considerati la minaccia più insidiosa. Il DF-21D è una versione specializzata del missile balistico DF-21, che è stato il primo missile balistico cinese basato a terra con propulsione a combustibile solido. Lungo 10,7 m, con un peso di 14.700 kg, può raggiungere una velocità massima di Mach 10, con un raggio operativo stimato intorno a 1.500 km. La guida è in parte inerziale, mentre il missile è guidato nella fase finale da un radar e altri sensori, inclusi collegamenti satellitari. Il successivo e più potente DF-26 è un missile balistico IRBM (Intermediate Range Ballistic Missile) con un raggio d'azione fra 3.000 e 4.000 km. Tuttavia il dibattito sui missili balistici antinave è piuttosto acceso, e si dubita fortemente che questi mezzi siano in grado di garantire le prestazioni vantate. I missili DF-21D e DF-26 sembrano piuttosto il risultato dell'incapacità cinese di contrastare le flotte avversarie attraverso un dispositivo aeronavale evoluto. Infatti, la soluzione del missile balistico antinave (ASBM) è impressionante, ma anche la più semplice e rozza, ed è la meno affidabile, e in conclusione si ritiene che questi missili non possano essere guidati correttamente per colpire una flotta in navigazione. Gli ASBM richiedono un preciso e affidabile sistema di guida con elevate prestazioni, capace di gestire velocemente le informazioni fornite da numerosi sensori, e ciò dovrebbe avvenire con un bersaglio in continuo movimento, in navigazione ad almeno 20 nodi, ma anche al massimo con 30 nodi. Il sistema ha bisogno di apparati per la scoperta e l'identificazione del bersaglio, l'elaborazione delle informazioni e la comunicazione dei dati. Disturbare questa catena di comunicazioni sarebbe possibile con le contromisure elettroniche, il jamming, e le cortine fumogene contro l'individuazione ottica. Sicuramente la Cina ha a disposizione una rete satellitare sofisticata, con i satelliti di controllo Yaogan VII, VIII, IX e XVI e il sistema di navigazione satellitare Beidou, ma individuare un bersaglio non è sufficiente per colpirlo perché bisogna anche guidare correttamente il missile e ciò presenta difficoltà tecniche insormontabili. La tecnologia attuale non è capace di guidare una testata balistica con la precisione sufficiente per colpire un bersaglio mobile perché i sensori non hanno la resistenza per sopportare le sollecitazioni del rientro nell'atmosfera. Inoltre, come è ben noto, durante il rientro atmosferico si ha la formazione di gas ionizzato intorno al veicolo che impedisce ogni comunicazione, e ciò influirebbe ulteriormente sull'impossibilità di condurre correttamente l'arma sul bersaglio. Una considerazione è decisamente rivelatrice, ossia il fatto che DF-21D e DF-26 non siano mai stati sperimentati contro una nave in navigazione, ma soltanto contro bersagli terrestri fissi. Il DF-21D avrebbe colpito una grossa sagoma rettangolare a forma di ponte di portaerei tracciata nel deserto del Gobi in un test condotto nel gennaio 2013, e con ciò si sarebbe conclusa la sua sperimentazione.  

Queste difficoltà tecniche hanno impedito alle grandi potenze come Russia e Stati Uniti, ma anche agli altri paesi, di sviluppare gli ASBM perché ritenuti inutilmente costosi e inaffidabili. In questi anni, d'altronde, i missili cruise sono diventati sempre più piccoli, manovrabili e insidiosi, divenendo l'arma per eccellenza per condurre un attacco. In proposito, le forze armate cinesi registrano un sensibile ritardo essendo dotate di missili cruise che sotto molti punti di vista sono nettamente inferiori a quelli occidentali, avendo un profilo di volo poco insidioso, prestazioni mediocri e dimensioni ancora ingombranti. 

Tuttavia la minaccia cinese dei missili ASBM ha comunque provocato la pronta reazione statunitense che ha portato alla realizzazione di più evoluti missili antibalistici, come gli SM-6, anche noti come RIM-174 Standard ERAM (Extended Range Active Missile), in grado di neutralizzare efficacemente i missili DF-21D e DF-26, fornendo un ragionevole margine di sicurezza. 

Tutto ciò ci indica come la retorica sulle "nuove armi cinesi" sia un diversivo, e in conclusione una mistificazione, che nasconde un grave punto di debolezza che si vuole nascondere in ogni modo, anche ricorrendo a una buona dose di retorica e alla suggestione del "pericolo giallo". 

                                                                   

Le guerre commerciali 

Molto più seria e pericolosa è invece la questione delle guerre commerciali perché, come abbiamo osservato in precedenza, i conflitti fra Cina e Occidente provocate dalle tensioni su diatribe economiche sono stati devastanti. Le due Guerre dell'Oppio, la rivolta dei Boxer, e l'assoggettamento politico ed economico, hanno avviato la Cina alla decadenza, impedendo qualsiasi processo democratico, e soprattutto portando successivamente il paese alla guerra civile fra nazionalisti e comunisti, all'occupazione militare giapponese, e infine al regime autoritario della dittatura maoista. Soltanto le riforme operate dal segretario Deng Xiaoping, con l'apertura all'Occidente e la creazione della formula del "socialismo di mercato con caratteristiche cinesi", risollevarono il paese stremato. Purtroppo la leadership autocratica, dirigista e illiberale del presidente Xi Jinping ha ricondotto la Cina sulla via dello scontro, convinta di una supposta superiorità sull'Occidente, e sicura di poter dettare le proprie condizioni. 

In proposito è utile ricordare come l'economia sia considerata dai cinesi come un fattore competitivo di straordinario valore militare, e venga inquadrata nell'ambito di una concezione multidimensionale della guerra. Fra gli strateghi che hanno messo in risalto tale aspetto, meritano di essere citati Wang Xiangsui e Qiao Liang, autori del libro Guerra senza limiti, scritto nel 1999, in cui si sosteneva la necessità per la Cina di affrontare gli Stati Uniti in una guerra non convenzionale, sfruttando l'economia, manipolando la finanza e ottenendo il controllo dei media. Questo approccio è molto radiicato nel pensiero cinese, e può essere rintracciato nella tradizione, a partire dal classico L'arte della guerra di Sun Tzu, ma soprattutto con I metodi si Sima (Sima Fa), dove si ribadisce come la guerra sia uno strumento di governo, che il potere derivi dall'autorità, e che ogni mezzo sia lecito per mantenerlo. Ciò si ricollega anche al pensiero della Scuola del Legalismo (Fajia), che fu più importante perfino del pensiero di Confucio, e affermava la sua concezione politica secondo la quale la supremazia dello stato sull'individuo deve essere assoluta, ed è da perseguire con qualsiasi mezzo e metodo. 

Questa prospettiva è stata ripresa nei nostri tempi, e secondo i precetti della guerra asimmetrica e non convenzionale, è stata riproposta nel progetto della cosiddetta "Nuova Via della Seta", ufficialmente definita come Belt and Road Initiative. Il piano è nato da una proposta di Wang Jisi, preside della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Pechino, che nel 2012 suggerì sulle pagine del Global Times di "orientare a ovest" lo sforzo diplomatico ed economico della Cina, creando collegamenti più forti con l'Africa, il Medio Oriente e l'Europa. La Cina intende così costruire nuove infrastrutture (porti, ferrovie e strade) per sfruttare le risorse energetiche e minerarie dell'Africa e del Medio Oriente, e incrementare le esportazioni verso l'Europa. Inoltre si vuole ottenere il controllo completo del sistema logistico, dei mezzi di trasporto e comunicazione, affermando così la propria supremazia. Tuttavia gli accordi commerciali presentati come estremamente vantaggiosi, ma utili soltanto per conseguire i progetti della Cina, nascondono anche obiettivi militari come la creazione di nuove basi militari all'estero, e soprattutto di porti in grado di ospitare le navi da guerra, oltre che nel Sud-Est Asiatico e nell'Oceano Indiano, anche nel Mediterraneo. 

                                                        

La crisi della Cina 

L'immagine della Cina come uno stato sovrano impassibile, invincibile e immutabile, dotato di una forza gigantesca pari soltatno alla sua spietatezza, costituisce però soltanto una suggestione alimentata dalla propaganda del regime, e soprattutto dalla diffusione in Occidente di una controinformazione anti-establishment che vede nei regimi autoritari stranieri un'alternativa all'ordine mondiale delle democrazie liberali. In realtà la Cina ha giganteschi problemi sia interni sia esterni, e sono ovviamente soltanto quest'ultimi che possiamo conoscere a causa della stringente censura del regime. Tuttavia analisti, sociologi, ed economisti sono riusciti comunque a fornire un quadro del paese molto differente dall'immagine ufficiale presentata dalla classe politica dominante, nonostante la chiusura e le difficoltà ad accedere alle informazioni, così da poter conoscere meglio anche la situazione interna del paese. L'economia cinese è infatti ben lontana dall'essere quel gigante invincibile così come è rappresentata dai media mainstream. Il prodotto interno lordo cinese nel 2019 è cresciuto soltanto del 6% circa, ed è in continuo rallentamento. Ciò significa che il tanto sbandierato superamento dell'economia americana si fa sempre più lontano e arduo, quasi impossibile considerando che gli Stati Uniti continuano a crescere a livelli sostenuti. Inoltre, il continuo rallentamento della Cina significa che fra qualche anno avrà gli stessi indici dell'Occidente, ben lontana quindi dai trionfali tassi di crescita a due cifre di inzio secolo. Ma sono altri i fattori che preoccupano. La Cina in questi anni è diventata un paese sempre più chiuso e inaccessibili, e recentemente si sta assistendo a una fuga dei capitali degli investitori stranieri. La legislazione è infatti sempre più severa e svantaggiosa per gli operatori economici stranieri. Ancora oggi è impossibile aprire da soli un'azienda in Cina, ma si può soltanto avere attività in joint venture con aziende cinesi, viceversa è ancora vietato agli stranieri l'acquisto di aziende cinesi, mantendo così il mercato chiuso alla penetrazione occidentale. Inoltre una normativa unica e pesantemente restrittiva impedisce l'accesso al mercato dell'informatica, all'high tech e al web, penalizando ed escludendo i colossi stranieri, e fornendo un enorme vantaggio alle aziende locali. Ciò impedisce qualsiasi competizione leale, ed è una grave distorsione del mercato che così non è affatto libero. Questa situazione si protrae da molti anni, e sta divenendo insostenibile, anche perché simili restrizioni non esistono in Occidente (ma cominciano a manifestarsi con la politica dei dazi di Donald Trump). 

Le distorsioni del mercato cinese non danneggiano soltanto l'Occidente, ma anche la Cina perché provocano mancanza di competizione, clientelismo e corruzione, con una cattiva gestione che genera una commistione perversa fra stato, partito comunista ed economia. Ciò si ripercuote sui sistemi del finanziamento con una preoccupante crescita dei debiti di famiglie e imprese. Il governo di Pechino ha incentivato in modo eccessivo il ricorso al credito per stimolare la domanda interna, ma l'abbondanza di investimenti ha provocato sprechi e inefficienze, frutto di una corsa per accaparrarsi i finanziamenti ottenuti tramite la corsa alla crescita. 

Queste sono le cause di un indebitamento senza freni, e inoltre si deve notare che questi debiti risultano molto più pesanti per le famiglie cinesi perché dispongono di un Pil pro capite, e soprattuto di un reddito medio, molto più basso di quello occidentale. Un cinese in media possiede un reddito che è un quarto di quello americano, e meno della metà di quello europeo. Così diventa difficilissimo per la Cina raggiungere gli standard occidentali, diventando un'economia avanzata, ma rischia viceversa di rimanere nella categoria dei paesi in via di sviluppo. Infine, a causa di queste distorsioni del mercato, gli investimenti in Cina producono sempre meno profitti, e ciò spiega un altro fenomeno, ovvero la fuga dei capitali dalla Cina e gli enormi investimenti cinesi all'estero. 

La crisi della Cina non è però soltanto economica, ma anche politica come dimostrano le rivolte a Hong Kong. Iniziate il 31 marzo 2019 come manifestazioni pacifiche contro la legge sull'estradizione, a giugno sono diventate proteste violente con scontri durissimi con la polizia, e l'intervento del governo di Pechino che ha condannato gli eventi definendoli "atti terroristici". Gli scontri a Hong Kong hanno mostrato un vulnus della politica interna della Cina, e quanto sia debole la capacità di mediare le istanze della popolazione con le esigenze del potere politico, determinando una pericolosa spaccatura sociale con gravissime implicazioni. 

                                               

La danza di Shiva 

Se la Cina è immensamente sopravvalutata, l'India a sua volta subisce il pregiudizio opposto, con una sottovalutazione incomprensibile e assolutamente distante dai dati macroeconomici. Eppure in anni recenti l'India ha registrato tassi di crescita superiori a quelli cinesi, ed è previsto che divenga una delle potenze più grandi, con un prodotto interno lordo che si posizionerà in un prossimo futuro al quarto posto, dopo Cina e Giappone. Ma secondo altri economisti, già fra un decennio l'India potrebbe essere la terza potenza economica mondiale, diventando una seria minaccia per la Cina, e tallonandola da vicino per il sorpasso. D'altronde l'India non conosce il problema della crisi demografica che attanaglia la Cina e altri paesi, e può contare su margini di crescita ancora elevati e migliorabili. Quindi, l'economia indiana è destinata a galoppare, o meglio usando una metafora più appropriata, a ballare la danza benevola del dio Shiva, però se dovesse essere trascinata in guerra, lasciando viceversa che la danza sia condotta dalla ferale dea Kali, potrebbe disporre di un arsenale non trascurabile. L'India è infatti una ragguardevole potenza militare dotata di armi atomiche, che possiede attualmente 140 testate nucleari, ma ha già accumulato plutonio weapons-grade per fabbricare altri 150-200 ordigni, e dispone di una riserva di più di 8 tonnellate di plutonio per uso civile, sufficiente a ricavare un migliaio di testate. La triade si basa sul potere aereo, navale e terrestre, con l'aeronautica che fornisce capacità di bombardamento atomico con i cacciabombardieri Dassault Mirage 2000 e SEPECAT Jaguar, la marina con i sottomarini lanciamissili della classe Arihant, e l'esercito con i missili balistici a corto raggio Prithvi, a medio raggio Agni-I e Agni-II, intermedio Agni-III e Agni-IV, e intercontinentale Agni-V. 

In questi anni la crescita dei missili balistici indiani è stata davvero impressionante, ed è perciò interessante analizzare in dettaglio queste armi. L'Agni-V è un missile intercontinentale (ICBM) lungo 17,5 m, con un diametro di 2 m, e un peso di 50 t, cpapace di trasportare una testata pesante 1,5 t. Composto da tre stadi propulsi da motori a razzo a combustibile solido, raggiunge nella fase terminale di volo una velocità massima di Mach 24. Il raggio d'azione è stimato intorno a 5.500-5.800 km, ma secondo alcuni analisti la gittata sarebbe ben superiore, raggiungendo 8.000 km. In ogni caso il missile sarebbe in grado di colpire qualsiasi bersaglio in Cina comprese città come Pechino e Shanghai. Una versione più potente, chiamata Agni-VI, sarebbe in fase di sviluppo dal 2014. L'Agni-VI è più grande, dotato di una gittata di 8.000-12.000 km, e capace di trasportare almeno 10 testate MIRV. Un altro missile ICBM, presumibilmente in fase di sviluppo, è chiamato Surya, e avrebbe una gittata di 12.000 km, e capacità di trasporto per 3-10 MIRV. 

La famiglia dei missili Agni può comunque vantare vettori di qualità che sono attualmente già in servizio, e che costituiscono certamente armi micidiali. Così come l'Agni-IV, un missile intermedio (IRBM) a due stadi, con un raggio d'azione di 4.000 km, e l'Agni-III, un altro missile intermedio a due stadi, con gittata di 3.500-5.000 km. Invece il missile a medio raggio (MRBM) Agni-II ha una gittata di 2.000-3.500 km, e può colpire obiettivi nella Cina meridionale, mentre l'Agni-I è un missile a corto raggio (SRBM) che ha soltanto un raggio d'azione di 700-900 km. 

In conclusione l'India ha a disposizione i missili balistici Agni-II, Agni-III e Agni-IV in grado di colpire la Cina con testate atomiche, a cui si aggiunge il nuovo Agni-V più performante, e in futuro avrà anche l'Agni-VI dotato di testate MIRV. Questo sviluppo dei missili balistici indiani è destinato a subire un'ulteriore accelerazione a causa delle gravi tensioni nella regione asiatica, e soprattutto della rivalità geopolitica fra Cina e India che sicuramente aumenterà ancora. 

Impressionante è anche la realizzazione della nuova classe di sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare chiamata Arihant, che vale davvero la pena analizzare in dettaglio. Il capoclasse Arihant è entrato in servizio nell'agosto 2016, seguito da una seconda unità varata nel novembre 2017 col nome Arighat, che sarà operativa verso la fine del 2019, o poco dopo, mentre sono pianificati altri due battelli da costruire, per un totale di 4 sottomarini. Gli Arihant hanno un dislocamento di 6.000 t in emersione, con una lunghezza di 112 m e larghezza di 11 m, propulsi da un reattore nucleare pressurizzato che consente una velocità massima di 24 nodi. L'armamento principale è composto da quattro tubi lanciamissili che possono ospitare 12 missili K-15 Sagarika con una gittata di 750 km, oppure 4 missili K-4 con un raggio d'azione di 3.500 km. Questi SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) sono in grado di minacciare obiettivi militari cinesi, ma anche le più importanti città. In particolare, il K-4 ha una testata del peso di 2,5 t, stimata di una potenza massima di 250 chilotoni. I sottomarini Arihant sono stati realizzati grazie al fondamentale aiuto russo, e in effetti sembrerebbe che siano basati sulla classe Akula, ma hanno comunque molti componenti originali indiani che dimostrano come sia stata raggiunta un'avanzata tecnologia. 

Un'altra eccellenza è costituita dall'aeronavale con la portaerei Vikramaditya, ex Admiral Gorshkov della classe Kiev, venduta dalla Russia nel gennaio 2004, ricostruita e modificata, e poi entrata in servizio nel 2014. Con un dislocamento a pieno carico di 45.000 t, lunga 283 m e larga 60 m, può imbarcare fino a un massimo di 35 velivoli, fra cui i caccia Mikoyan MiG-29K Fulcrum e gli elicotteri Kamov Ka-31 e Ka-28. Un'altra portaerei, la nuova Vikrant (da non confondere con una precedente unità con lo stesso nome), è stata varata il 12 agosto 2013, ed entrerà in servizio verso il 2023. Con un dislocamento di circa 40.000 t, permetterà di impiegare fino a 40 velivoli. Si parla molto poco delle portaerei indiane, mentre le equivalenti unità cinesi ricevono un'attenzione spesso spropositata dalla stampa, come nel caso della modesta Liaoning. Però la Marina Indiana ha tuttavia un'esperienza molto più lunga e una migliore preparazione, potendo vantare l'impiego della Viraat dal 1987 al 2017, con i cacciabombardieri Sea Harrier, e ancora prima con la vecchia e gloriosa Vikrant, entrata in servizio nel 1961 e radiata nel 1997, divenuta famosa durante la guerra con il Pakistan nel 1971, grazie alle operazioni dei suoi caccia Hawker Sea Hawk. 

Un altro importante successo militare indiano è rappresentato dalla missione Shakti, avvenuta il 27 marzo 2019, con il lancio dal poligono dell'isola Abdul Kalam, nel Golfo del Bengala, di un missile ASAT che ha intercettato e distrutto un satellite a 300 km di altitudine. Così l'India è divenuta il quarto paese dopo Stati Uniti, Russia e Cina, ad aver sperimentato un missile antisatellite. Questo missile ASAT dovrebbe essere una versione modificata del Prithvi Defense Vehicle (PDV), un intercettore antibalistico esoatmosferico che opera nella fase di midcourse, e chiamata semplicemente Prithvi Defense Vehicle Mk 2. 

                                                    

Le dispute territoriali 

I rapporti fra India e Cina sono pessimi, e in questi anni sono peggiorati a causa delle consuete dispute territoriali che il governo di Pechino fomenta con la sua politica espansionista, assertiva e autoritaria, all'origine infine di tutti i conflitti con i paesi confinanti, e motivo della corsa al riarmo in Asia. Le diatribe fra India e Cina sono ormai storiche, e sono addirittura sfociate in uno scontro di vaste dimensioni, la cosiddetta Guerra Sino-Indiana del 1962. Questa guerra fu sospesa da un armistizio, ma non fu mai firmato un trattato di pace perché Nuova Delhi rivendica ancora 38.000 chilometri quadrati di territorio, e Pechino addirittura 90.000. Significa, quindi, che i due paesi sono formalmente ancora in guerra. L'esperienza di questo conflitto ha reso l'India molto guardinga nei confronti della Cina, che è considerata il principale avversario dopo il Pakistan, e soprattutto ha spinto alla realizzazione del programma nucleare come deterrente essenziale. La Cina, infatti, minaccia ancora i territori al confine indiano, in particolare Arunachal Pradesh e Ladakh, e non nasconde le proprie rivendicazioni sulla regione himalayana. In tempi recenti si sono verificati frequenti scontri fra truppe indiane e cinesi, fra cui ricordiamo l'incidente avvenuto nell'aprile 2013 nella valle di Dapsang nel Ladakh, e un altro il 16 giugno 2017 nel Doklam, al confine col Bhutan, dove 270 soldati indiani allontanarono i cinesi che avevano sconfinato. Queste tensioni sono destinate a salire vertiginosamente considerando i progetti cinesi inerenti alla "Nuova Via della Seta", e l'intenzione di costruire strade e ferrovie anche in zone contese. Ciò non dovrebbe sorprendere perché la "Nuova Via della Seta" è principalmente un progetto militare che sfrutta le motivazioni commerciali come pretesto, ma fondamentalmente ha lo scopo di estendere il controllo politico e militare della Cina. Per questa ragione la "Nuova Via della Seta" sarà certamente la causa dell'acuirsi di ulteriori conflitti, e non porterà nessun vantaggio economico ai paesi coinvolti che sono destinati a subire semplicemente l'oppressione del potere autoritario cinese. 

Un'altra disputa che oppone Nuova Delhi e Pechino riguarda l'Oceano Indiano, dove la presenza delle navi da guerra cinesi sta gravemente irritando gli indiani, che però hanno trovato nella collaborazione con i giapponesi un'ottima occasione per contenere le ambizioni del pericoloso rivale. 

                                                           

Lo specchio di Amaterasu 

Il Giappone e l'India hanno stipulato un importante accordo chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India, firmato il 22 ottobre 2008 a Tokyo dal primo ministro giapponese Taro Aso e dall'omologo indiano Manmohan Singh. Questo accordo prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, la collaborazione dell'intelligence con lo scambio di informazioni, e possibilmente il sostegno e la compartecipazione ad attività e programmi nel settore dell'industria militare. Il Giappone si trova in una fase delicata, come nella leggenda della dea del sole Amaterasu che vide riflesso nello specchio la sua immagine splendente e ne venne attratta, uscendo dalla grotta in cui si era rifugiata privando il mondo della luce, così la nazione deve interrogarsi sul suo ruolo geopolitico, guardare se stessa e decidere come impegnarsi, accettando le sfide del mondo contemporaneo. Infatti, il ruolo del Giappone in Asia è determinante poiché geograficamente si pone in una posizione, che insieme all'India, stringe la Cina da entrambi i lati, come in una tenaglia, e soprattutto può condizionare il controllo marittimo fra l'Oceano Indiano e il Pacifico. La flotta giapponese è decisamente imponente, e recentemente i cacciatorpediniere sono arrivati al numero di 47, e si prevede che raggiungeranno in futuro le 54 unità. Queste unità, indicate genericamente in giapponese come goeikan (nave scorta), e in inglese come destroyer, includono diverse tipologie di navi che possono essere così elencate insieme al loro numero: 4 cacciatorpediniere portaelicotteri (DDH), 8 lanciamissili (DDG), 29 multiruolo (DD), e 6 cacciatorpediniere di scorta (DE). I cacciatorpediniere portaelicotteri sono costituiti dalle classi Izumo e Hyuga, i lanciamissili dagli Hatakaze, Kongo e Atago, i multiruolo dagli Hatsuyuki, Asagiri, Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi, e di scorta dagli Abukuma. A questi 47 cacciatorpediniere vanno aggiunte altre 3 unità della classe Hatsuyuki, che nonostante conservino l'armamento completo, sono impiegate come navi scuola per l'addestramento. Quindi la Marina giapponese ha in realtà ben 50 cacciatorpediniere in servizio, a cui si aggiungeranno presto quelli già in costruzione, realizzando quel piano di riorganizzazione e potenziamento annunciato da tempo. Il maggiore rafforzamento della flotta è avvenuto recentemente con l'ingresso in servizio dei multiruolo della classe Asahi, ossia il capoclasse Asahi (Sole del mattino) e lo Shiranui (Fosforescenza marina). Inizialmente presentati come una versione più economica degli Akizuki, sono stati poi modificati durante l'allestimento divenendone un vistoso potenziamento. Dotati di radar multifunzione OPY-1 e del sistema di controllo di tiro FCS-3, sono armati con 64 missili Evolved Sea Sparrow (ESSM) capaci di abbattere ogni velivolo, i missili cruise subsonici altamente manovrabili a bassa quota e al livello del mare, i più veloci missili supersonici, e infine anche i missili balistici a corto raggio. Il sistema FCS-3 consente di inseguire e tracciare più di 300 bersagli e di attaccarne contemporaneamente 60 circa, garantendo prestazioni nettamente superiori rispetto ad altri sistemi radar. Quasi completati sono anche i due grossi cacciatorpediniere lanciamissili della classe Maya da 10.250 t a pieno carico, con il capoclasse Maya che sarà operativo nel marzo 2020, e lo Haguro che entrerà in servizio l'anno successivo. Queste due poderose navi impiegheranno i missili antiaerei SM-6 specializzati per l'abbattimento dei missili balistici a medio raggio, come i cinesi DF-21D e DF-26, ma avranno anche gli SM-3 Block IIA con capacità ancora superiori di intercettazione nella fase di volo intermedia (midcourse) dei missili. Inoltre le due portaelicotteri della classe Izumo saranno modificate e convertite in portaerei, rispettivamente nel 2020 e nel 2022, e potranno così imbarcare i caccia Lockheed Martin F-35B Lightning II. 

Come è stato evidenziato in precedenza, l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e queste attività bilaterali hanno assunto sempre di più un ruolo considerevole. Le esercitazioni navali congiunte fra Giappone e India sono chiamate JIMEX (Japan-India Maritime Exercise), e si svolsero per la prima volta il 9-12 giugno 2012 nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, con l'impiego dei cacciatorpediniere giapponesi Ariake e Setogiri, e quattro navi indiane, il cacciatorpediniere Rana, la fregata Shivalik, la corvetta Karmukh e il rifornitore Shakti, inoltre partecipò anche l'aviazione navale nipponica con i pattugliatori P-3C Orion e vari elicotteri. L'esercitazione JIMEX 13 si è svolta l'anno seguente, a Chennai nel golfo del Bengala, il 19-22 dicembre 2013, con la fregata Satpura, il cacciatorpediniere Ranvijay e la corvetta Kuthar. L'esercitazione più recente è stata la JIMEX 18, svoltasi il 7-15 ottobre 2018, a Visakhapatnam, nel sud dell'India, con un dispiegamento di forze notevole che comprendeva la portaeromobili giapponese Kaga, il cacciatorpediniere multiruolo Inazuma, e la fregata indiana Satpura, la corvetta Kadmat e il rifornitore Shakti. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico, stringendo una collaborazione sempre più fruttuosa e importante. 

                                                     

Mistificazione e verità 

La crescita dell'India come potenza economica e militare, la crisi politica, economica e sociale della Cina, il riarmo e il ritorno del Giappone sulla scena geopolitica, sono tutti argomenti che sembrano usciti fuori da un mondo alternativo inimmaginabile, e fanno parte di una narrazione molto differente dal discorso mainstream. A questo punto sorge spontanea una domanda: dov'è la verità? In una società dove sono stati elaborati concetti come post-verità e fake-news è un po' difficile concepire un'idea "forte" di verità, ma per fortuna l'antica filosofia greca ci può ancora aiutare. La parola greca che indica la verità è aletheia che significa letteralmente "non nascosto". Questo significato autentico della verità ci indica che qualsiasi analisi, anche geopolitica e militare, deve partire dal tentativo di "demistificare" ciò che si crede vero, per cercare appunto il nascosto. Ed è questo il compito che gli analisti dovrebbero sforzarsi di realizzare, perché un'analisi basata esclusivamente su un elenco o una corrispondenza non scende mai in profondità, e soprattutto non vede il contesto, le relazioni fra le parti, e i rapporti di forze. Se oggi lo scenario geopolitico è quasi incomprensibile, o appare come tale, ciò è soprattutto imputabile a una carenza di approfondimento. Se la questione è molto complessa, allora bisogna affinare gli strumenti intellettuali, perché l'unico modo di ridurre la complessità a livelli comprensibili è quello di utlizzare appropriati strumenti di comprensione.